Affossiamo le misure del governo sulle pensioni
No all'innalzamento della pensione a 67 anni. Abrogare la legge Fornero. Pensione di garanzia per i giovani. Superare la disparità di genere, valorizzare il lavoro di cura
Sciopero generale di 8 ore e manifestazione nazionale a Roma per piegare il governo Gentiloni sulle pensioni e la legge di bilancio

Non c'è spazio per contrattare sulle pensioni. A parte qualche piccolissima “concessione”, il governo Gentiloni tira dritto per la sua strada. Potrebbe essere questa la sintesi della trattativa che si è sviluppata in queste ultime settimane tra i sindacati confederali e i rappresentanti dell'esecutivo in carica. Il susseguirsi di tavoli, riunioni, discussioni si è presto ridotto attorno ad alcuni “aggiustamenti” che non vanno ad intaccare l'attuale sistema previdenziale e nemmeno il micidiale meccanismo partorito dalla controriforma Fornero che automaticamente fa salire l'età per raggiungere la pensione sulla base dell'aumento dell'aspettativa di vita calcolato dall'Istat. Meccanismo inserito da Prodi nel 2007 e successivamente confermato e inasprito dal governo Monti.
Aspettativa di vita che tende gradualmente a salire, quantunque frenata dalla feroce crisi economica e dal conseguente taglio alle spese sanitarie ai danni delle masse popolari. Lo scorso anno, difatti, i dati relativi a fine 2014 ci informavano che gli uomini vivevano in media 2 mesi in meno e le donne 3 rispetto alla rilevazione precedente. Ma la legge Fornero è a senso unico rispetto a questa eventualità e non prevede un adeguamento al ribasso, ma solo al rialzo.
La previdenza rimane uno dei settori su cui i governi contano di attuare i maggiori tagli alla spesa pubblica. Il presidente dell'Inps Tito Boeri è stato chiaro: “se non si facesse l’adeguamento a 67 anni adesso e lo si facesse nel 2021, come prevede la clausola di salvaguardia della legge Fornero, senza più aggiornamenti successivi, da qui al 2040 la somma degli aggravi di costo arriverebbe a 140 miliardi di euro”. Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, non lascia spazio ad aperture "c'è una legge e la legge si applica”, dello stesso tenore le dichiarazioni di Gentiloni: “c'è una legge in vigore e la rispetteremo". Perfino l'ex ministro del Lavoro Fornero, che all'annuncio della “riforma” pianse lacrime di coccodrillo in TV, ha avuto la sfrontatezza d'invocare il pugno di ferro del governo nell'aumentare l'età pensionabile.
Solo su alcune categorie di lavoratori il governo è stato disponibile a fare un'eccezione bloccando, una tantum, l'innalzamento a 67 anni. Sarà questa l'età da raggiungere per poter ottenere la pensione di vecchiaia (per raggiunti limiti di età) con una contribuzione effettiva minima di almeno 20 anni. L'aumento è di ben 5 mesi rispetto all'attuale normativa che ne prevedeva 66 e 7 mesi. L'innalzamento, anche se in pochi ne parlano, riguarda in egual misura anche la pensione “anticipata”, ovvero l'ex pensione di anzianità contributiva. Dal 2019 non basteranno più 42 anni e 10 mesi bensì 43 anni e tre mesi.
Sono state individuate 15 categorie su cui applicare il blocco dell'innalzamento, tra queste: operai dell'industria estrattiva, dell'edilizia, conduttori di grandi macchinari, di convogli ferroviari e mezzi pesanti, insegnanti d'asilo, infermieri e ostetriche, assistenti a persone non autosufficienti, facchini, addetti alle pulizie e alla raccolta di rifiuti. In un secondo momento sono stati aggiunti gli operai siderurgici addetti alla fusione, marinai, operai agricoli, marittimi. Il è ben al di sotto del 10% del totale.
Bisogna inoltre considerare che il governo si baserà sulle risorse che vi ha destinato, le eventuali richieste in eccedenza saranno respinte. Questo è già successo per l'Ape Social prevista per i cosiddetti lavoratori precoci che si trovano in particolari situazioni di difficoltà come parziale invalidità, assistenza a persone disabili, lavori usuranti, per cui si può chiedere di andare in pensione 22 mesi prima. L'Inps ne ha respinte ben 44mila, cioè più di due terzi del totale.
Il lungo tira e molla tra governo e sindacati è terminato con l'incontro del 21 novembre dove Gentiloni e i suoi ministri hanno messo sul tavolo le ultime “concessioni” che l'esecutivo è disposto a fare. L'estensione del blocco per le 15 categorie di lavori considerati gravosi alle pensioni di anzianità contributiva (e non solo a quelle di vecchiaia), l'istituzione di un fondo per i potenziali risparmi di spesa con l'obiettivo di consentire la proroga e la messa a regime dell'Ape sociale, una modesta revisione del meccanismo di calcolo dell'età pensionabile. Il ministro dell'Economia Padoan li ha definiti “sforzi importanti”, ma siamo ben lontani dal blocco dell'innalzamento.
Le ultime briciole concesse dal governo sono bastate al segretario della Cisl, Anna Maria Furlan, per idurla ad affermare che “i due nuovi aspetti aggiunti oggi dal presidente Gentiloni sono per noi assolutamente importanti e di non poco conto”. Un giudizio più cauto da parte della Uil che si aspetta improbabili ulteriori modifiche prima che il pacchetto pensioni sia inserito in legge di Bilancio. Di fatto si é spaccato il fronte sindacale con la Cgil che per bocca della Camusso le ha invece definite di "grande insufficienza" annunciando la mobilitazione per sabato 2 dicembre con manifestazioni di piazza in 5 città: Roma, Torino, Palermo, Bari e Cagliari.
La Furlan (Cisl) e Barbagallo (Uil) si sono dimenticati presto anche dei giovani e delle donne. Eppure verso di loro, seppur in forma blanda e insufficiente, avevano avanzato delle richieste nella piattaforma unitaria dei sindacati confederali presentata a settembre. Hanno detto sì all'accordo benché le dichiarazioni del governo Gentiloni sulla pensione di garanzia e sulla valorizzazione del lavoro di cura si siano rivelate solo delle vuote promesse.
Eppure è sotto gli occhi di tutti la necessità di un assegno di garanzia per i giovani sotto il quale non si può scendere, assieme all'abbassamento dell'età e dei requisiti economici, altrimenti si ritroveranno a rovistare nei cassonetti per sopravvivere. L'attuale sistema previdenziale prevede la pensione di vecchiaia con le stesse regole del sistema misto (67 anni e almeno 20 anni di contributi) con una cifra che deve essere almeno una volta e mezzo l'assegno sociale, attualmente di 445 euro, oppure 71 anni e almeno 5 anni di contributi effettivi. Requisiti che a causa del sistema contributivo e di una carriera lavorativa nella maggioranza dei casi precaria e discontinua, assicureranno solo una pensione da fame.
Disattese anche le aspettative delle donne. L'Istat viene tirata in ballo solo quando fa comodo ma i dati dello stesso istituto di statistica dicono che le famiglie italiane devono far fronte alle carenze dei servizi pubblici e in particolare di quelli assistenziali, con relativi costi economici e ricadute che costringono alla mancata occupazione o al ritiro anticipato dal lavoro, sorte che generalmente tocca alle donne. Per motivi economici solo in un caso su 10 si ricorre a collaboratori domestici, e quando si rimane in famiglia nel 90,4% dei casi sono le donne ad occuparsi di un anziano o un disabile, senza contare che su di loro grava anche la maggior parte del lavoro domestico e di cura.
L'anticipo pensionistico di 5 anni per le donne rispetto agli uomini, azzerato dal nuovo sistema pensionistico, non era quindi un “privilegio”, ma un riconoscimento verso la componente femminile rispetto ai compiti gravosi a cui sopperisce in ambito familiare e di supplenza delle carenze dello Stato. Un riconoscimento che deve essere riconosciuto valorizzando il lavoro di cura che esse svolgono e non possono bastare le piccole elemosine del governo fatte in base al numero dei figli.
Le posizioni accondiscendenti di Cisl e Uil sono inaccettabili ma anche quella della Cgil è palesemente insufficiente rispetto alla gravità della situazione. Non si possono in alcun modo accettare le giustificazioni sulle esigenze del bilancio dello Stato, del controllo sul debito pubblico, dei vincoli dell'Unione Europea e permettere che si faccia cassa solo su lavoratori e pensionati. Il blocco dell'aumento dell'età pensionabile per tutti doveva rappresentare la richiesta minima nei confronti del governo, ma nemmeno su questo si è stati decisi ad andare sino in fondo. Lo stesso Gentiloni il 20 novembre, durante un incontro con gli industriali di Vercelli ha affermato: “L'adeguamento della pensione alle aspettative di vita è un dato di fatto accettato da tutti, anche dai sindacati”.
Il governo si dimostra inflessibile sul fronte delle pensioni mentre rimane di manica larga nel concedere contributi alle aziende e non si sogna nemmeno di tassare i patrimoni e mettere la stretta alla grande evasione fiscale. Qualche “aggiustamento” non può bastare, le misure del governo vanno respinte. Occorre chiedere il blocco dell'innalzamento dell'età pensionabile per tutti i lavoratori, una pensione di garanzia per i giovani e per chi ricade nel sistema contributivo, il riconoscimento del lavoro di cura e della particolare condizione delle lavoratrici.
Le manifestazioni indette al sabato non bastano, occorre lo sciopero generale di 8 ore con manifestazione nazionale a Roma per piegare il governo Gentiloni sulle pensioni e la legge di Bilancio e per chiedere l'abrogazione della legge Fornero. Siamo sicuri che su obiettivi chiari la mobilitazione dei sindacati otterrebbe il pieno sostegno delle lavoratrici e dei lavoratori, stanchi di subire continue vessazioni e assistere a “trattative” che non portano ad alcun risultato.

29 novembre 2017