L'Ordine nazionale dei giornalisti tace
Libertà di stampa in pericolo. Giornalisti perquisiti per “violazione di segreto di ufficio”
Gli ultimi casi riguardano due giornalisti del “Sole-24ore” e de “La verità”, autori di un'inchiesta sui soldi dei servizi segreti

Una serie di decisioni arbitrarie e illegali di alcune procure della Repubblica stanno pesantemente violando, gli articoli 200 e 256 del codice di procedura penale che sanciscono - a beneficio, tra l’altro, dei giornalisti iscritti all’Albo - il principio del segreto professionale e pongono precisi limiti ai sequestri.
L’operato di tali procure, tra l’altro, viola il principio di diritto stabilito costantemente dalla stessa Cassazione e contrasta con quanto costantemente affermato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, perché in gioco c’è il diritto di informazione e quindi la tenuta stessa dello Stato democratico, a meno che anche l’Italia non voglia seguire la strada tracciata da tiranni come il turco Erdogan.
La sera del 17 novembre gli uomini della guardia di finanza si sono presentati contemporaneamente, su ordine del procuratore capo di Roma, nella redazione del “Sole 24 Ore” a Milano in quella de “La Verità” a Roma: al “Sole 24 ore” hanno proceduto al sequestro di una chiavetta USB e del disco rigido del computer del giornalista Nicola Borzi, che aveva firmato due articoli, dei quali l’ultimo uscito la mattina stessa del 17 novembre, nei quali si trattava approfonditamente di movimenti dei conti correnti dei servizi segreti presso la Banca Popolare di Vicenza, mentre alla redazione de “La Verità” i finanzieri hanno sequestrato al giornalista Francesco Bonazzi, che aveva scritto anche egli un articolo sullo stesso argomento, solo una chiavetta USB.
Entrambi i giornalisti sono inoltre stati interrogati a lungo dai finanzieri.
Il chiaro obiettivo della procura di Roma è identificare chi ha fornito i documenti al giornalista, in quanto tale informatore avrebbe violato - secondo la stessa procura - il segreto di Stato, un grave reato che può costare fino a dieci anni di carcere, ma il giornalista d’altra parte ha l’assoluto dovere non soltanto di non rendere nota tale sua fonte, ma addirittura di impedirne l’identificazione con qualsiasi strumento, fino al punto di trasferire la documentazione coperta dal segreto in un luogo occulto o addirittura in territorio estero, precisamente in uno Stato che, sulla base degli accordi internazionali noti, il giornalista ha la ragionevole certezza che non collaborerà con l’autorità italiana per eventuali rogatorie.
Di fronte a tale plateale e arbitraria violazione della legge da parte delle procure della Repubblica, violazione che mette a rischio la libertà di stampa, colpisce la vigliaccheria dimostrata sia dai direttori dei due giornali, che non hanno finora accennato alla minima protesta per quanto accaduto, sia dell’Ordine nazionale dei giornalisti, che parimenti non ha speso una parola a favore dei due colleghi, limitandosi a riportare una nota, peraltro assai moderata, dell’Ordine dei giornalisti di Milano.
La stessa indifferenza l’Ordine nazionale lo aveva dimostrato quando, il 30 giugno e il 21 luglio scorsi, erano rispettivamente state perquisite su ordine di altre procure la casa del direttore de “Il Fatto Quotidiano” Marco Lillo e quella del redattore de “La Stampa” Gianluca Paolucci.
Gli articoli di Borzi e di Bonazzi erano relativi ad un vecchio conto corrente chiuso nel 2014, intestato alla presidenza del Consiglio dei ministri e nel quale erano gestiti fondi in uso ai servizi segreti italiani, della Banca Nuova, appartenente al gruppo della Banca Popolare di Vicenza, una banca che di certo non ha brillato per chiarezza e trasparenza nell’ultimo periodo.
Tra coloro che hanno beneficiato di tale conto corrente ci sono i nomi di contabili del ministero dell’Interno, di personale della Protezione civile, di funzionari del Consiglio superiore della Magistratura, di ufficiali di tutti i corpi di polizia, di avvocati, di dirigenti medico-ospedalieri, di vertici di autorità portuali, oltre che di responsabili di istituzioni culturali e di persone del mondo dello spettacolo.
Quello che è emerso dagli articoli, insomma, è che Banca Nuova, che fa parte del gruppo Banca Popolare di Vicenza, è stata sicuramente fino al 2014 la cassaforte dei servizi segreti italiani, e i giornalisti hanno quindi il preciso dovere di svolgere inchieste relative all’impiego del denaro pubblico in tale banca, e quindi di informare liberamente il popolo italiano, anche alla luce degli scandali che hanno investito proprio la discussa Banca Popolare di Vicenza.
La redazione de “Il Bolscevico” esprime la sua solidarietà ai colleghi Nicola Borzi e Francesco Bonazzi e si batte contro questa grave intimidazione che ha per obiettivo l'occultamento di ogni verità sui loschi rapporti intercorsi tra lo Stato italiano e la Banca Popolare di Vicenza. Banca che, non lo si dimentichi, ha truffato e gettato nel lastrico migliaia di piccoli risparmiatori che aspettano verità e risarcimenti, ben più importanti e prioritari rispetto alle ragioni vantate da qualsiasi procura della Repubblica.

6 dicembre 2017