Di Maio: “Faremo noi la rivoluzione liberale di Berlusconi”

Una dietro l'altra Luigi Di Maio continua a riempire con dichiarazioni di destra le caselle del suo già cospicuo curriculum di aspirante premier “moderato”, ligio alle istituzioni dello Stato borghese, difensore delle “forze dell'ordine” e delle patrie frontiere dall'“invasione” dei migranti, non ostile all'imperialismo americano e alla Nato e interlocutore affidabile per i potentati economici, la grande finanza e la massoneria internazionale. Ma per quanto abituati da tempo al suo continuo riposizionarsi sempre più a destra, era difficile immaginare che ora si dichiarasse addirittura pronto a realizzare nientemeno che il programma di Berlusconi.
Proprio così. Per il ducetto unto da Grillo e Casaleggio il M5S, se andrà al governo, farà quella “rivoluzione liberale” che Berlusconi aveva promesso nel '94 ma non è riuscito a fare in vent'anni. La prima parte del sorprendente (ma non poi tanto) annuncio l'ha fatta il 25 novembre in risposta alle accuse di Berlusconi che il M5S è un “pericolo per l'Italia” ed è “nemico degli imprenditori”: “Abbiano ancora il coraggio di dire che siamo contro le imprese. Mio padre (Antonio di Maio, impresario edile e importante dirigente del MSI e poi di AN nella zona di Pomigliano, ndr) votava Berlusconi perché credeva nella rivoluzione liberale di cui parlava. In vent’anni non l’ha fatta”, ha detto infatti a margine dell’inaugurazione di Vi.vite, una manifestazione di aziende vinicole cooperative a Milano.
La seconda parte, che completa il suo pensiero, l'ha rilasciata il giorno successivo ai microfoni di “6 su Radio 1”. “Sono una decina di giorni che Berlusconi e Renzi mi attaccano continuamente perché sanno di stare dietro nei sondaggi ma anche nel Paese, ha detto. E poi ha aggiunto: “Loro mi attaccano ma io non gli rispondo. Mio padre votava Berlusconi perché aspettava la rivoluzione liberale, quella dell’abbassamento delle tasse e della sburocratizzazione. In 20 anni Berlusconi non è stato capace. La faremo noi questa rivoluzione, porteremo avanti quel disegno che lui voleva portare avanti per le imprese ma non è stato capace”.
E a dimostrazione che la sua non è stata un'uscita improvvida, destinata magari ad essere ridimensionata il giorno dopo, bensì una vera e propria sfida programmatica al cavaliere piduista per contendergli il suo elettorato di riferimento, Di Maio ha ribadito il concetto anche sulla sua pagina Facebook, con un video in cui ha detto: “Lei presidente Berlusconi è stato votato da mio padre perché si aspettava la rivoluzione liberale in Italia. Lei non ha messo mano alla tassa di successione, alle tasse per le imprese, e non ha fatto quello che si doveva fare per la casa... è ridicolo quando dice che noi vogliamo introdurre la tassa di successione, una patrimoniale e un'imposta sulla casa. L'imposta sulla casa ce l'ha messa lei sotto i governi Monti e Letta. Noi già nel programma del 2013 avevamo l'abolizione dell'Imu. Noi non vogliamo introdurre una patrimoniale, che non è nel programma del M5S. E soprattutto anche per noi la tassa di successione è una tassa illiberale”.
Dunque, ora sappiamo che Di Maio vuole abolire la tassa di successione a tutti, quindi anche ai miliardari, come ha fatto Trump. Evidentemente il recente viaggio a Washington sta dando i suoi frutti. E sappiamo anche che non ne vuol sentir parlare di patrimoniale sulle grandi ricchezze, proprio come Berlusconi e Renzi. E allora, tanto per capire, con che cosa pensa il M5S di finanziare il suo cosiddetto “reddito di cittadinanza”?
La risposta ce la fornisce nell'intervista al “Corriere della Sera” del 29 novembre, in cui, alla domanda di come pensa di coniugare la “rivoluzione liberale” con “una misura assistenziale come il reddito di cittadinanza” e di convincere le imprese su questo punto, le rassicura così: “Semplicemente mostro loro le coperture che abbiamo in mente: non introduciamo nuove tasse né patrimoniali ma agiamo in regime di spending review . I primi a chiedere la spending review sono soprattutto le grandi associazioni di industriali. Liberale è libertà. E libertà è migliorare la qualità della vita dei cittadini”.
E quanto alle accuse al movimento di essere “nemico” degli industriali, Di Maio li rassicura altresì: “Il Movimento li incontrerà. Incontreremo tutti gli stakeholders (portatori di interessi economici, ndr). Io spero di potermi confrontare con le loro realtà regionali. Nei miei incontri sento spesso dire: 'Noi non credevamo foste così'. Il Movimento è avvertito da tanti come una minaccia ingiustificata invece ci sono molti punti di convergenza su molti temi”.
Quindi niente patrimoniali, né tasse ai ricchi e agli industriali, con i quali c'è anzi ampia convergenza, ma tagli alla spesa pubblica e allo Stato sociale: questo c'è nell'agenda reale di un ipotetico governo M5S guidato dal rampollo di Grillo. Non avevamo dubbi, ma sentirglielo dire così, papale papale, fa pur sempre un certo effetto. Non per nulla queste dichiarazioni hanno messo non poco in imbarazzo la corrente più “movimentista” che fa capo a Roberto Fico, ostile alla maggioranza sempre più spostata a destra di Di Maio. Interrogato in proposito da Floris a “Di martedì” su La7, Fico ha infatti cercato minimizzare in tutti i modi la portata politica delle dichiarazioni di Di Maio, arrivando a sostenere, senza apparire molto convinto neanche lui, che nel M5S “non c'è la rivoluzione liberale nel senso in cui viene usato questo termine”.
 

20 dicembre 2017