Nasce a sinistra del PD il partito borghese e riformista di D'Alema e Bersani per riportare nelle istituzioni gli astensionisti delusi da Renzi
Essere “Liberi e Uguali” nel capitalismo è impossibile per i lavoratori
I rinnegati del comunismo, compresi Vendola e Fratoianni, si coprono dietro il magistrato borghese e liberale di sinistra Grasso. Come fecero col democristiano Prodi
Questi vecchi imbroglioni politici e quelli di tutti gli altri partiti del regime vanno spazzati via elettoralmente per riaprire la lotta di classe per il socialismo

Il 3 dicembre con un'assemblea nazionale a Roma si è costituito ufficialmente Liberi e Uguali, il nuovo partito nato dalla fusione di Articolo 1 – Movimento democratico e popolare di Bersani e D'Alema, Sinistra Italiana di Fratoianni, Vendola e Fassina, e Possibile di Civati. Una fusione fatta espressamente sotto l'incalzare delle vicine elezioni politiche la cui campagna è già in atto. Presidente della nuova formazione politica, nonché candidato premier, è il vicepresidente della Camera ed ex procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, che ha da poco lasciato il PD, nelle cui liste era stato eletto senatore alle elezioni del 2013. Prima di Natale è attesa l'adesione anche della presidente della Camera, Laura Boldrini, che aspetta solo l'approvazione della legge di Bilancio per formalizzarla.

Chi è il leader di Liberi e Uguali
Pietro Grasso, classe 1945, ha iniziato la sua lunga carriera di magistrato negli anni '70 a Palermo, dove per 12 anni ha svolto le funzioni di sostituto procuratore. In quella veste si è occupato anche dell'omicidio del presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella, fratello dell'attuale capo dello Stato. Nel 1985 è stato nominato giudice a latere nel primo maxiprocesso contro Cosa nostra, di cui fu anche l'estensore della sentenza.
Nel febbraio 1989 divenne consulente della Commissione parlamentare Antimafia, e due anni dopo fu chiamato dal giudice Falcone a far parte del suo team al ministero della Giustizia. Nel 1993 diventò procuratore aggiunto alla Direzione nazionale antimafia, diretta da Pier Luigi Vigna. In quest'occasione seguì da vicino le inchieste sulle stragi del 1992-93. Nel 1999 tornò a Palermo come procuratore capo, subentrando a Giancarlo Caselli. In quel discusso periodo ci furono profonde spaccature e discordie che avvelenarono il clima di quella procura, le cui cause alcuni magistrati che avevano lavorato con Caselli, come per esempio Antonio Ingroia, attribuirono proprio ai sistemi di Grasso, più autoritari e meno corali e collaborativi di quelli del suo predecessore.
Polemiche ci furono anche per la sua successiva nomina, nel 2005, a procuratore nazionale antimafia al posto di Vigna, posto per il quale era favorito Caselli, ma che un emendamento di Alleanza nazionale riuscì a stoppare introducendo un limite di età che lo escludeva. Emendamento che fu poi bocciato dalla Consulta, ma quando ormai i giochi erano fatti. Tanto che Grasso fu confermato una seconda volta e all'unanimità. A fine 2012 lasciò la magistratura per accettare l'offerta di Bersani di presentarsi candidato senatore alle elezioni del febbraio 2013 in una lista PD “sicura” nel Lazio.

Il suo zelo nell'agevolare le “riforme” in Senato
Entrato in parlamento, il 16 marzo 2013 venne eletto presidente del Senato dopo un ballottaggio con il berlusconiano Schifani e grazie anche ai voti di un gruppo di senatori siciliani del M5S. Nel suo discorso di insediamento invocò la “concordia”, e la “pace sociale di cui il Paese ha ora disperatamente bisogno”, rivolgendo al M5S e al “centro-destra” che non lo avevano votato un chiaro invito all'unità di tutte le forze in parlamento perché – volle sottolineare espressamente - “dobbiamo avviare un cammino a lungo termine, dobbiamo davvero iniziare una nuova fase costituente che sappia stupire e stupirci”. Tant'è che lo stesso Berlusconi si alzò per andare a stringergli la mano e complimentarsi per la sua elezione.
Del resto del suo opportunismo “bipartisan” aveva già dato prova l'anno prima, quando in una trasmissione radiofonica ammise che il governo Berlusconi si sarebbe meritato un premio per la lotta alla mafia. Cancellando così con un tratto di penna quanto nel 2010 aveva dichiarato di fronte ai familiari delle vittime di via dei Georgofili, e cioè che la mafia aveva messo le bombe per “agevolare l'avvento di nuove realtà politiche che potessero esaudire le sue richieste”, alludendo a Forza Italia di Berlusconi e Dell'Utri.
Quindi, già dal suo insediamento nella seconda poltrona più alta della Repubblica, Grasso aveva in mente di guidare l'intero Senato verso l'approvazione di quella controriforma neofascista, presidenzialista e piduista della Costituzione che di lì a un anno il nuovo duce Renzi, dopo averla messa a punto insieme a Berlusconi col patto del Nazareno, avrebbe presentato in parlamento. Cosa che ha fatto con il massimo zelo, agevolandone in tutti i modi il cammino in Senato, con le sedute ad oltranza, le “ghigliottine” sugli interventi, i “canguri” per sfoltire gli emendamenti, e tollerando l'approvazione con il voto di fiducia di quasi tutte le “riforme” di Renzi. Dunque la motivazione che ha addotto per giustificare l'abbandono del PD per entrare nel nuovo partito alla sua sinistra, cioè il dissenso con Renzi dopo l'approvazione della legge elettorale “rosatellum”, appare alquanto pretestuosa e fuori tempo massimo.

L'obiettivo è catturare i voti degli astensionisti
Chiamando alla guida di Liberi e Uguali il magistrato borghese e liberale di sinistra Pietro Grasso, i rinnegati del comunismo e i riformisti fuoriusciti dal PD guidati da Bersani e D'Alema, e quelli di SI di Vendola e Fratoianni, compiono la stessa operazione che l'allora PDS di D'Alema e Veltroni fece con Prodi, chiamato a risollevare le sorti del “centro-sinistra” dopo la batosta elettorale del 1994: coprirsi dietro un uomo delle istituzioni per attirare i voti di chi si era nauseato degli intrighi e dei fallimenti dei politicanti di professione della “sinistra” borghese e cominciava ad orientarsi verso l'astensionismo.
In questo caso si cerca di sfruttare a questo scopo il suo prestigio di seconda carica istituzionale e il suo passato di magistrato antimafia. Bruciando sul tempo l'iniziativa di Montanari e Falcone che avevano tentato invano, con l'assemblea del Brancaccio, di riunire le forze di sinistra che si erano impegnate nei Comitati per il NO al referendum costituzionale, con lo stesso obiettivo di recuperare i voti degli astensionisti, ma tagliando fuori gli squalificati vecchi leader dei partiti a sinistra del PD. Del resto è stato lo stesso Grasso a dichiarare apertamente nel suo discorso all'assemblea romana, che lo scopo della nuova formazione politica è di “ritrovare un pezzo di Paese che si è allontanato e che si astiene. Serve un'alternativa all'indifferenza, alla rabbia inconcludente dei movimenti di protesta... tocca a noi offrire una nuova casa a chi non si sente rappresentato”.
E in particolare lo ha fatto ammiccando ai giovani, ben sapendo che tra di essi molti sono gli astensionisti di sinistra, con un passaggio ad effetto in cui ha detto: “ Noi riaccenderemo la speranza. Ricordo l'emozione e il senso di responsabilità del mio primo voto. Mi piacerebbe la provassero anche le ragazze e i ragazzi che andranno a votare la prossima primavera. A loro dico: votare è molto di più che mettere una croce sulla scheda. É scegliere il proprio destino e non lasciarlo fare ad altri”.
Le ambizioni nascoste del “tranquillo” Grasso
Per presentarsi come un leader antirenziano ha detto che “non può avere successo un uomo solo al comando”, ma allora perché il suo nome come candidato premier compare nel simbolo di Liberi e Uguali (in rosso “amaranto”, ha tenuto a precisare) che ha presentato pochi giorni dopo in TV da Fabio Fazio? “Non lo volevo, mi hanno detto che è come il braccialetto che si mette ai neonati, servirà a farci riconoscere”, ha cercato di giustificarsi l'ex magistrato. Il quale si era presentato dicendo che sarebbe stato “una guida tranquilla” per il nuovo partito, ma alla domanda se avrebbe poi comandato lui o D'Alema ha risposto: “Da una vita ho una posizione di guida, ho coordinato magistrati e posso esercitare il mio potere su una formazione politica. Se qualcuno non ci crede, se ne accorgerà”.
Insomma, le sue ostentate “tranquillità” e moderazione sono solo apparenza, che maschera un'ambizione e un piglio autoritario di tutto rispetto. Che traspaiono anche da certe proposizioni roboanti, come quella in cui, esortando i partecipanti a “scuotere l'Italia dal torpore”, ha esclamato “facciamolo costruendo, con l'ottimismo della volontà, un progetto visionario”: espressioni che non hanno nulla da invidiare al linguaggio usato da Renzi e Berlusconi.
E più oltre ha ribadito ancora una volta che “l'unico voto veramente utile è quello che costruisce una rappresentanza democratica di idee, di valori, di programmi, di sacrificio, di dedizione e di speranze, portando in parlamento i bisogni e le richieste della metà dell'Italia che non vota. Noi siamo qui proprio per loro, senza inseguire rancori e nostalgie. Sia chiaro: è il futuro che ci sta a cuore”. In realtà cioè, respingendo la polemica renziana sul voto utile, lancia segnali al PD per il “dopo” elezioni, lasciando intendere che una volta compiuta l'operazione e riportati all'ovile i voti degli astensionisti di sinistra, si potrebbero anche aprire scenari di alleanza in parlamento.

Solo il socialismo può liberare i lavoratori
Nelle conclusioni del suo discorso Grasso si è richiamato alla seconda parte dell'articolo 3 della Costituzione, che assegna alla Repubblica il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini”; da cui proviene il nome scelto per il nuovo partito, “Liberi e Uguali”, con la “e” graficamente attaccata alla “i” per alludere, come ha spiegato, anche alle donne e all'ecologia. Ma quale libertà e quale eguaglianza sono possibili per i lavoratori nell'Italia capitalista e governata da un regime neofascista? E se fosse stato possibile, perché a distanza di ben 70 anni da quando quelle due parole furono scritte nella Costituzione, e di quasi altrettanti governi borghesi, compresi quelli di “centro-sinistra”, i lavoratori sono ancora schiavi salariati, vivono in condizioni sempre peggiori e non hanno alcun potere, mentre tutto il potere e la ricchezza sono sempre più concentrati nelle mani della classe dominante borghese?
Appellarsi ipocritamente a una Costituzione borghese mai applicata e comunque oggi ridotta a carta straccia, ha solo lo scopo di ingannare i lavoratori, i giovani, le donne e tutti gli elettori di sinistra disgustati dal PD renziano per distoglierli dalla scelta astensionista e riportarli nella gabbia della “sinistra” borghese. Bisogna invece spazzare via con l'astensionismo elettorale questi imbroglioni politici e quelli di tutti gli altri partiti del regime neofascista, per riaprire la strada alla lotta di classe per il socialismo.
Non le illusioni elettorali e parlamentari, ma solo l'abbattimento del capitalismo e l'instaurazione del socialismo, come ci ha indicato cento anni fa la gloriosa Rivoluzione d'Ottobre, può dare il potere al proletariato e dare realmente la libertà e l'eguaglianza ai lavoratori e a tutte le masse oggi sfruttate e oppresse dalla classe dominante borghese in camicia nera.
 
 
 

20 dicembre 2017