Rivolta delle masse tunisine per il lavoro e contro il carovita

Il 14 gennaio migliaia di manifestanti sono sfilati in Avenue Bourghiba a Tunisi gridando “la rivoluzione continua”, per ricordare il giorno che nel 2011 il dittatore Ben Ali fu costretto a dimettersi e quindi a segnare la vittoria della cosiddetta “rivoluzione dei gelsomini”. Una manifestazione che si è inserita in quella serie di proteste partita a inizio del mese contro le misure antipopolari del governo di Youssef Chahed, contestate anche dalla principale confederazione sindacale, l’Union générale tunisienne du travail (Ugtt), che finora aveva sostenuto l'esecutivo, e divenuta una rivolta delle masse estesa in tutto il paese per il lavoro e contro il carovita.
Durante le proteste del 14 gennaio la polizia ha arrestato in varie città una quarantina di manifestanti; un morto, centinaia di feriti e più di 800 arrestati sono il bilancio della repressione di esercito e polizia che non sono riusciti a far rispettare il divieto di manifestare previsto dallo stato d’emergenza indetto dal governo dopo gli attentati del 2015 e da allora rinnovato ogni sei mesi per “l’emergenza terrorismo”.
L'incendio della rivolta popolare è scoppiato a causa della legge finanziaria del 2018 che il governo di unità nazionale di Youssef Chahed, sostenuto dal partito laico Nidaa Tounes del presidente della repubblica Beji Caib Essebsi e dal partito islamista Ennahdha, ha varato per poter avere un nuovo prestito da parte del Fondo monetario internazionale (Fmi), oltre ai 635 miliardi di dollari già incassati e che dovrà restituire. I tagli al bilancio richiesti dal Fmi sono stati tradotti in una finanziaria di “lacrime e sangue” con aumenti dei prezzi fino al 300% su numerosi prodotti, a partire dal prezzo del carburante, e dell'aumento delle tasse sull'acquisto di macchine, cellulari e servizi di Internet. Gli aumenti dei prezzi in presenza di una inflazione galoppante riducono fortemente il potere d’acquisto e il livello di vita della popolazione.
La legge finanziaria ha fatto traboccare il vaso della delusione popolare degli esiti della Rivoluzione dei Gelsomini, l'aumento del costo della vita si è tradotto in una crescita delle diseguaglianza sociali, mentre sono aumentati il tasso di povertà, l’analfabetismo e la disoccupazione in particolare tra i giovani, protagonisti come nel 2011 della rivolta contro il governo. La disoccupazione è alta, con punte del 35% nelle zone rurali), eppure la produzione locale non basta a soddisfare la domanda interna, e non per cause naturali ma per la politica sbagliata del governo tunisino che privilegia gli investimenti di capitali privati nell'agricoltura orientata all’esportazione. Si producono perciò beni destinati al mercato estero come i datteri, i frutti fuori stagione, gli agrumi e l’olio d’oliva, invece di quanto necessario per nutrire la popolazione e nel 2017 il disavanzo commerciale relativo ai prodotti agro-alimentari è aumentato di quasi un terzo fino a 460 milioni di euro, dovuto in particolare all’incremento delle importazioni alimentari.
Ultime ma non meno importanti ragioni del malcontento popolare sono la legge di “riconciliazione nazionale” per riabilitare gran parte della vecchia direzione politica della dittatura di Ben Ali varata quattro mesi fa e il rinvio delle elezioni municipali, le prime previste da sette anni per lo scorso dicembre e rimandate per ora alla metà del 2018.
“Il governo non rivedrà il budget e nemmeno alcuni emendamenti a causa di un gruppo di facinorosi nelle strade”, era l'arrogante risposta di un ministro alle richieste dei manifestanti mentre il primo ministro Youssef Chaled prometteva che questo appena iniziato “sarà l’ultimo anno di sacrifici per i tunisini” e puntava il dito contro le opposizioni accusandole di soffiare sul fuoco della protesta. Le manifestazioni continuavano e il sindacato Ugtt rilanciava chiedendo l’aumento del salario minimo garantito e delle pensioni per i più poveri, la riduzione dei prezzi, la lotta ai monopoli, all’evasione fiscale e alla corruzione.

17 gennaio 2018