In corteo gli studenti: i nostri quartieri sono abbandonati
Come combattere le baby gang
L'inettitudine del sindaco di Napoli De Magistris e il rigurgito sicuritario del governo

Nelle ultime settimane le cronache nazionali, come un bollettino di guerra, parlano delle sempre più frequenti azioni di baby gang a Napoli (ma anche in altre località, come Torino) a danno soprattutto di giovani e giovanissimi, con episodi di violenza gratuita per futili diverbi, scippi o furti di smartphone dai quali le vittime escono riportando gravi ferite o addirittura rischiando la vita. A cui si aggiungono altri atti violenti come aggressioni a senzatetto e vandalismo.
 
La risposta repressiva di Minniti e De Magistris
Come spesso accade in presenza di emergenze sociali come questa che, per quanto gravissime e complesse, hanno a che fare con il disagio giovanile, il degrado sociale e l'emarginazione urbana, la risposta del governo è solamente repressiva, perché una risposta veramente politica (quella di cui c'è bisogno!) comporterebbe mettere radicalmente in discussione il modello di sviluppo urbano perseguito dal capitalismo italiano, concentrato sul centro-vetrina e lasciando la periferia a se stessa. Così Minniti, precipitatosi a Napoli il 16 gennaio per presiedere un comitato per la sicurezza, di concreto ha saputo solo annunciare l'invio di reparti straordinari per un totale di “100 unità destinate al controllo di quelle zone maggiormente frequentate dai giovani”: in altre parole, ulteriore militarizzazione della città, con altri progetti di tipo educativo e sociale lasciati sulla carta.
E non è bastato il nuovo Scelba renziano a parlare di “terrorismo”: la Carfagna ha proposto di abbassare l'età imputabile a 12 anni (oggi è a 14), mentre persino i “Verdi”, tradizionalmente collocati nel “centro-sinistra”, hanno chiesto addirittura il coprifuoco per i minorenni dalle 22 in poi. Senza contare la grancassa mediatica che ha voluto contrapporre la “Napoli bene” alla “Napoli male”.
Ma il fondo l'ha toccato il sindaco De Magistris: a parte che si è rifiutato di parlare di “emergenza” nascondendosi dietro le statistiche per non far sfigurare la sua amministrazione (e non la città di Napoli, come da lui dichiarato), ha poi addossato tutta la colpa a serie tv come “Gomorra” che, a suo dire, presenterebbero ai giovani dei cattivi modelli. Come se i giovani emulassero automaticamente qualsiasi esempio negativo proposto dalla televisione e non ci fossero invece in gioco ben più gravi fattori sociali.
 
La criminalità giovanile è figlia della crisi e del capitalismo
La risposta migliore l'hanno data gli studenti e i giovani dei centri sociali che, in circa 4mila, sfidando il maltempo, sono andati in corteo da Scampia a Chiaiano in solidarietà con il 15enne Gaetano, selvaggiamente picchiato da una banda di coetanei, rimettendoci la milza, e con il 17enne Arturo, accoltellato a dicembre. I giovani scesi nelle strade hanno lanciato un messaggio forte e chiaro denunciando lo stato di abbandono in cui versano molti quartieri periferici della città, come recitava un eloquente striscione rivolto proprio a De Magistris: “Non è colpa di Gomorra, è colpa dello Stato”.
Soprattutto dall'inizio della crisi, progetti di recupero sociale per giovani provenienti da situazioni di criminalità o disagio, come “Maestri di strada”, sono stati soffocati dai tagli al welfare e agli enti locali. “Leggo degli interventi contro le baby gang: esercito, repressione, abbassamento dell'età punibile. Piacciono molto a destra e sinistra, sono molto costosi e servono solo a mettere una pezza ai danni prodotti dai tagli al welfare”, dice Sergio D'Angelo della cooperativa sociale Gesco.
La stessa diagnosi viene anche da esponenti del mondo cattolico maggiormente impegnati nelle strade. Padre Alex Zanotelli, lamentando le “briciole” di Minniti per quanto riguarda gli interventi socio-educativi da tempo richiesti, sottolinea che “la repressione senza futuro produce solo rabbia”. Ma già nel 2016 in un'intervista a “l'Espresso” sosteneva come “l'aver elevato a ideologia dominante le politiche di austerità abbia avuto tra le conseguenze quello di aver relegato ai margini ancora di più chi già viveva situazioni drammatiche”. E Antonio Loffredo, parroco del rione Sanità, in un'intervista a “Vita” aggiunge: “dove la famiglia non riesce dovrebbe intervenire la comunità. Ma questa comunità educante dove si nasconde?”.
Le aggressioni sono naturalmente da condannare e punire, ma per eliminare il fenomeno, bisogna tagliare le radici sociali che lo generano. Non ci sono, per esempio, interventi seri contro la dispersione scolastica che, secondo “Save the children”, è particolarmente grave in Campania, dove il 18,1% dei ragazzi abbandona precocemente la scuola. Così come mancano fondi e progetti per il contrasto alla povertà, peraltro spesso lasciati al volontariato e non realizzati dallo Stato, anche se le famiglie con minori in condizioni di povertà relativa sono quintuplicate dall'inizio della crisi. I due aspetti sono l'uno l'altra faccia dell'altro, perché chi si trova in condizioni di povertà più o meno grave ha maggiori difficoltà a continuare gli studi (classisti, meritocratici e sempre più costosi) ed è più esposto ad essere risucchiato dal disagio, dalla droga, dalla piccola e grande criminalità.
Non parliamo poi di centri di aggregazione per i giovani o interventi di riqualificazione delle periferie con le masse popolari e i loro bisogni al centro, mentre non si bada a dispendio di suolo pubblico quando si tratta di costruire nuovi centri commerciali o altri spazi vantaggiosi per il capitale.
Come ha scritto l'UdS Napoli in un comunicato del 12 gennaio: “Nel dibattito allucinante di queste settimane non c'è stata una parola sul come fare per costruire città educative e comunità educanti, sul come ri-educare questi soggetti; non una parola sulle responsabilità che hanno queste politiche classiste e esclusive; non una parola sul ruolo sociale della scuola, che in questi anni ha avuto una forte accentuazione classista ed è diventata un luogo in cui si classifica e si esclude, grazie alla retorica della competizione e al mantra della meritocrazia, strumenti per espellere i più deboli, chi non può permettersi gli studi e chi già è a rischio; non una parola sugli strumenti politici e pedagogici che bisognerebbe mettere in campo per affrontare questi fenomeni sociali”.
Questa è la battaglia in cui impegnarsi per combattere la criminalità e cambiare veramente la società per dare un futuro ai suoi giovani.

24 gennaio 2018