Sull'appello “Lavoratori di tutto il mondo unitevi” per l'unità sindacale

Oramai appare evidente a tutti la profonda crisi che attraversano i maggiori sindacati italiani, una profonda crisi di rappresentanza certificata dal conseguente calo degli iscritti nonostante il proliferare di nuove sigle sindacali, anche se l'Italia rimane tra i Paesi con maggiore sindacalizzazione d'Europa. Sono sempre di meno i lavoratori che riconoscono nel sindacato lo strumento “naturale” per difendere i propri interessi. Le tre sigle confederali, Cgil-Cisl-Uil e i sindacati che si definiscono “di base” non riescono più ad attrarre i lavoratori tra le loro file, ad avere con loro un rapporto stretto e ramificato come in passato, specie tra i giovani, e il loro ruolo nello scenario politico e sociale del nostro Paese diventa sempre più marginale.
I profondi mutamenti politici, economici e sociali hanno messo in difficoltà il sindacato e il suo modello associativo, cioè degli iscritti, promosso dai partiti riformisti o dalle loro correnti che storicamente si era affermato in Italia. Ma non si tratta soltanto di non essere “al passo coi tempi”. I tre maggiori sindacati italiani, un tempo espressione diretta di altrettanti grandi partiti borghesi e socialdemocratici cosiddetti di massa, sono oramai definitivamente approdati ad un modello sindacale neocorporativo e cogestionario, che collabora stabilmente con i capitalisti e fa più da freno che da spinta nei confronti dei lavoratori, dei loro bisogni e delle loro aspirazioni.
Con la firma del Testo Unico sulla Rappresentanza (TUR) firmato da Cgil, Cisl e Uil, e in seguito dai “sindacati di base” USB e Cobas, è stato spazzato via quello che restava della democrazia e dell'agibilità sindacale nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro. Hanno voce in capitolo solo le organizzazioni firmatarie dei contratti nazionali e locali e i lavoratori che si possono candidare nelle aziende devono far parte di quei sindacati, svilendo il ruolo delle Rsu che già di per sé non sono il massimo della democrazia.
Siamo quindi ben oltre il vecchio ruolo di “mediatori” tra le esigenze del capitale e quelle dei lavoratori che Cisl e Uil, e in seguito la Cgil, hanno svolto per lungo tempo. Di fatto il sindacato confederale concertativo è scomparso, per lasciare spazio a un sindacato completamente omologato al capitalismo e al regime neofascista imperante. Solo in occasioni sempre più rare, quando si vede costretto dalla pressione dei lavoratori, si mobilità nelle piazze e organizza scioperi. Ma nella sostanza avalla le politiche di austerità e dei tagli dei vari governi e dell'Unione Europea imperialista e sostiene la necessità dei sacrifici richiesti ai lavoratori dal padronato per rendere competitivo il capitalismo italiano. Non c'è quindi da meravigliarsi se la classe operaia, i lavoratori, a cominciare dai precari hanno poca fiducia nei sindacati.
Una situazione insostenibile, tanto più nelle circostanze attuali dove gli attacchi del padronato e del governo, non solo in Italia, sono sempre più aggressivi e pretendono ancora più flessibilità, compressione dei salari, rinuncia dei diritti, subalternità e sottomissione dei lavoratori che hanno i loro esempi più recenti nella legge Fornero, il Jobs Act, il “modello Marchionne”, il TUR, il “nuovo modello contrattuale”. Il PMLI sostiene da tempo la necessità di un sindacato unico, rappresentativo, democratico, che sappia controbattere a questa offensiva e risponda esclusivamente agli interessi dei lavoratori anziché alle logiche della “compatibilità” capitalistica.
A quanto sembra i marxisti-leninisti non sono più i soli. Già un paio di anni fa Landini, l'ex segretario dalla Fiom, affermava: “serve una riforma profonda delle organizzazioni sindacali perché il mondo del lavoro oggi è frantumato e non ha rappresentanza... serve un nuovo sindacato unitario e pluralista”. Poi ha cambiato opinione e l'unica “unificazione” per cui si è adoperato è stata quella della Fiom sulle posizioni della Camusso e della segreteria Cgil di cui adesso fa parte.
Ora rilancia questa parola d'ordine anche la rivista sindacale “Ancora in marcia”, erede di quello che fu il CoMu, il Comitato Macchinisti Uniti (ferrovieri) poi confluito nell' OR.S.A., espressione del sindacato consiliare nato a fine anni '80 inizio '90 che aveva tra gli obiettivi principali quello di praticare la democrazia diretta dei lavoratori in contrapposizione al dirigismo e ai burocrati della Cgil. Nell'appello lanciato il 3 gennaio a Firenze nell'incontro del Coordinamento per l'unità del sindacalismo di base dal titolo "Lavoratori di tutto il mondo unitevi!" si legge: “Proponiamo, per ora, almeno un percorso d'azione unitaria per dare spessore politico alle mobilitazioni e agli scioperi... ma l'obiettivo finale non potrà che essere un solo sindacato democratico di classe”.
Si può discutere sul nome da dare a questo sindacato unico, ma è un fatto importante che questa necessità inizi ad essere avvertita tra i lavoratori e tra le varie sigle sindacali. Segnaliamo però un limite, quello di restringere l'obiettivo dell'unificazione ai soli “sindacati di base” ed escludere i confederali e la Cgil in primis. Non ci riferiamo certo ai dirigenti, ma questo sindacato è tutt'ora egemone tra la classe operaia ed autoescluderlo da questo processo unitario si fa solo un piacere a quei burocrati e dirigenti che si vorrebbero combattere.
Del resto anche nei “sindacati di base” non è tutto rose e fiori, come denunciano gli stessi promotori di questo incontro fiorentino. A dirla tutta il comportamento settario dei loro gruppi dirigenti e il loro attaccamento alla poltrona è perfino superiore a quello dei tanto odiati confederali. Evitano d'indire scioperi nelle stesse date dei confederali e di altre sigle “di base”, anzi spesso invitano a boicottarli. Il loro atteggiamento è più concorrenziale che alternativo a Cgil-Cisl e Uil e quando riescono ad avere la forza di contrattare con i padroni in certe aziende firmano pessimi accordi come i confederali.
Questo deriva dalla provenienza riformista, più spesso trotzkista e anarchica, dei loro dirigenti che non distinguono tra sindacato e partito e agiscono in ambito sindacale come dei veri e propri, seppur piccoli, partiti politici. Del resto recentemente c'è stato un tentativo di unificare i “sindacati di base” che già dalla sigla appare esplicito, l'Unione Sindacale di Base (USB). Risultato: unificate due sigle, ma nel giro di poco tempo si sono registrate 3 scissioni e una miriade di espulsioni.
Apprezziamo comunque la volontà di superare l'attuale situazione fatta di sindacati collaborazionisti e frazionamento in una miriade di sigle. La nostra proposta però è quella di rompere lo schema che prevede la divisione tra Cgil e “sindacati di base” e la creazione di un unico, grande sindacato delle lavoratrici, dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati, che si basi sull’unità sindacale di tutti i lavoratori dipendenti (operai e impiegati di ambo i sessi e di tutte le categorie e i settori privati e pubblici) e di tutti i pensionati a basso reddito.
Dove la gestione della vita del sindacato sia fondata sulla democrazia diretta dal basso verso l’alto che significa dare il potere sindacale e contrattuale alle Assemblee generali dei lavoratori e dei pensionati e comporta la possibilità di revoca in ogni momento dei delegati e dei dirigenti non più riconosciuti come tali dalla base; l’assunzione di una piattaforma rivendicativa che abbia come unico scopo la conquista di migliori condizioni di vita e di lavoro, per quanto possibile sotto il capitalismo; il rifiuto a livello di principio della concertazione e del “patto sociale” con le controparti (governo e padronato) poiché è solo con la lotta di classe, con l’uso di tutti i metodi di lotta a disposizione che possono essere conquistati veri ed effettivi avanzamenti sociali per gli sfruttati e gli oppressi.
Come ha detto il segretario generale Giovanni Scuderi alla 6ª Sessione plenaria del 5° Comitato centrale del PMLI, si tratta di “Una proposta non facile da accettare perché, tra l’altro, richiede lo scioglimento di tutti gli attuali sindacati, confederali e non confederali. Una proposta che va fatta maturare nel tempo con un perseverante e adeguato lavoro organizzato attraverso la Corrente sindacale di classe, composta da militanti e simpatizzanti del PMLI, ai quali si potrebbero aggiungere gli anticapitalisti e antifascisti che condividono la nostra strategia sindacale, anche se non sono d’accordo in tutto o in parte con la nostra ideologia e con la nostra proposta di socialismo”.
 

31 gennaio 2018