Parlando al Congresso degli Stati uniti sullo stato dell'Unione
Trump: “Rafforziamoci militarmente per combattere i regimi canaglia, gruppi terroristici e rivali come la Cina e la Russia”
“Abbiamo liberato Raqqa. Continueremo la nostra battaglia fino a quando lo Stato islamico non sarà sconfitto. Esercitiamo la massima pressione per impedire alla Corea del Nord di minacciarci col nucleare”

Il tradizionale appuntamento del discorso presidenziale sullo stato dell'Unione tenuto alla Camera Usa di fronte a deputati, senatori, giudici della Corte Suprema e i vertici militari, è stato utilizzato da Donald Trump per un sintetico bilancio del lavoro svolto nel primo anno dalla sua amministrazione che magnificasse i successi del suo impegno di far tornare “grande l'America” e l'imperialismo americano al primo posto.
Lo scorso 30 gennaio nel suo primo discorso sullo stato dell'Unione, Trump ha proclamato che l'America è rinata, per merito suo. I segnali della ripresa economica a dire il vero c'erano già prima del suo insediamento alla Casa Bianca e sono tutti da verificare gli effetti sull'economia della legge che Trump ha chiesto al Congresso di varare per smuovere investimenti per 1.500 miliardi di dollari in infrastrutture, con un contributo statale di 200 miliardi e il resto a carico delle aziende private. Molte delle quali hanno promesso investimenti di decine di miliardi di dollari senza peraltro specificare quanti in più rispetto agli anni precedenti. Insomma Trump può vantare al momento di aver “realizzato il più grande taglio delle imposte nella storia americana”, un “massiccio taglio che fornirà enormi benefici ai ceti medi e alle piccole imprese”; per i lavoratori c'è il taglio del 40% della voce di bilancio della spesa per qualificazione e addestramento al lavoro del Dipartimento del Lavoro.
L'America con Trump è “rinata” senza dubbio dal punto di vista militare, con la politica di riarmo e di interventi in tutti gli scenari di crisi mondiali, che sono stati al centro di tutti gli ultimi interventi presidenziali e della sua amministrazione e che nell'occasione ha puntigliosamente ricordato. Un impegno dichiarato da subito per far sì che gli Usa recuperassero il ruolo di indiscusso leader imperialista quel ruolo che l'inarrestabile declino storico, la crisi economica mondiale e la contemporanea crescita dei paesi imperialisti concorrenti aveva contribuito a minare. E non a caso i principali bersagli dichiarati sono Cina e Russia.
La politica estera ha occupato tutta la parte finale del discorso presidenziale. “Mentre ricostruiamo la forza e la fiducia dell'America a casa, stiamo anche ripristinando la nostra forza e la presenza all'estero”, attaccava Trump che sottolineava come “in tutto il mondo, ci troviamo di fronte a regimi canaglia, gruppi terroristici e rivali come la Cina e la Russia che mettono in discussione i nostri interessi, la nostra economia e i nostri valori. Nel fronteggiare questi pericoli, sappiamo che la debolezza è la via più sicura per entrare in conflitto, e il potere ineguagliato è il mezzo più sicuro per difenderci”. La teoria imperialista del più siamo forti e meno pericoli corriamo dai nemici ha come sottocapitolo quello che traduce la forza militare in arroganza, bellicismo e ingerenza negli affari interni dei paesi di tutto il mondo.
Trump chiedeva al Congresso di rimpolpare il bilancio della Difesa e finanziare progetti di nuovi sistemi d'arma per i militari, a partire dalla necessità di “ricostruire il nostro arsenale nucleare” con le mini bombe che sono più facilmente utilizzabili e aumentano il pericolo di un conflitto atomico.
“L'anno scorso, ho anche promesso che avremmo lavorato con i nostri alleati per estinguere l'ISIS dalla faccia della Terra. Un anno dopo, sono orgoglioso di riferire che la coalizione per sconfiggere l'ISIS ha liberato quasi il 100% del territorio in Iraq e in Siria (...) Raqqa è liberata”, affermava Trump che tuttavia segnalava come “c'è ancora molto lavoro da fare. Continueremo la nostra battaglia fino a quando l'ISIS non sarà sconfitto”. La lotta al terrorismo, leggi lo Stato islamico, resta una priorità dell'amministrazione americana e serve a Trump per alimentare di nuovo la polemica con quella di Obama ricordando che “in passato, abbiamo scioccamente rilasciato centinaia di pericolosi terroristi, solo per incontrarli di nuovo sul campo di battaglia, incluso il capo dell'ISIS, al-Baghdadi,” mentre adesso si cambia, “ho appena firmato un ordine diretto al segretario Mattis per riesaminare la nostra politica di detenzione militare e mantenere aperte le strutture di detenzione a Guantanamo”; quel lager di Guantanamo a Cuba che Obama aveva promesso di chiudere nel 2009 ma che è tuttora pienamente funzionante.
A volo d'uccello Trump ricordava le altre “imprese” della sue amministrazione, da quelle dei “nostri guerrieri in Afghanistan” che “hanno nuove regole di ingaggio”, ossia mano libera per combattere una resistenza sempre più forte, alla decisione di “riconoscere Gerusalemme come la capitale di Israele” a sostegno dei sionisti imperialisti di Tel Aviv. Sulla questione ha anche precisato che si vendicherà, tagliando gli aiuti, a quei paesi che “hanno votato all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite contro il diritto sovrano dell'America di fare questo riconoscimento” e annunciava che chiederà “al Congresso di approvare una legislazione che contribuisca a garantire che i dollari americani per l'assistenza all'estero servano sempre gli interessi americani, e solo agli amici americani”.
Non poteva dimenticare di denunciare “i difetti fondamentali nel terribile accordo sul nucleare iraniano” e di ricordare le “dure sanzioni imposte alle dittature comuniste e socialiste a Cuba e in Venezuela”. Anche se in questo gruppo di paesi nemici il posto numero uno resta appannaggio “della dittatura crudele in Corea del Nord” la cui “spericolata ricerca di missili nucleari (…) potrebbe presto minacciare la nostra patria”. Il diritto sovrano di Pyongyang a costruire la propria difesa militare e nucleare per l'imperialismo americano resta una “minaccia” e Trump rispondeva con nuove provocazioni assicurando che “stiamo conducendo una campagna di massima pressione per evitare che ciò accada”.
“L'esperienza passata ci ha insegnato che l'autocompiacimento e le concessioni invitano solo all'aggressione e alla provocazione. Non ripeterò gli errori delle passate amministrazioni che ci hanno portato in questa posizione pericolosa”, gonfiava il petto e concludeva Trump per il quale l'America deve essere forte, deve essere una guida in grado di “illuminare il mondo”. Costi quel che costi: anche al prezzo di scatenare la guerra in ogni campo, commerciale, politico e infine militare.

7 febbraio 2018