Washington molla i curdi
Intesa Turchia – Usa su Afrin

 
Nel comunicato del ministero della Difesa americano che annunciava la missione del segretario di Stato Rex Tillerson dall'11 al 16 febbraio in Giordania, Turchia, Libano, Egitto e infine nel Kuwait dove si è tenuta la riunione ministeriale della Coalizione imperialista per sconfiggere l'IS a guida Usa e la Conferenza sulla ricostruzione in Iraq (distrutto dalle loro bombe, ndr), la tappa di Ankara era liquidata in due righe: “l'itinerario del Segretario includeva una tappa in Turchia, dove ha incontrato alti funzionari turchi per discutere di una serie di questioni bilaterali e regionali”. In realtà gli incontri si sono svolti in due giorni e non con funzionari qualsiasi ma col dittatore turco, il presidente Recep Tayyip Erdogan; incontri riservatissimi cui ha partecipato solo il ministro degli Esteri turco Mevlut Casavoglu e i cui esiti sono stati resi noti con uno stringato comunicato finale, reso più chiaro dalle dichiarazioni della conferenza stampa del 16 febbraio. Che in due parole ha messo in evidenza gli sforzi delle due amministrazioni imperialiste di normalizzare i rapporti e rilanciare la partnership dopo la rottura in seguito alle accuse di Ankara agli Usa di aver appoggiato il fallito golpe del 2016 e il passaggio della Turchia nell'alleanza imperialista guidata dalla Russia nella guerra siriana. Non è detto che il regime di Ankara molli Mosca e torni sui suoi passi ma intanto il vertice bilaterale ha avuto una ricaduta immediata: Turchia e Usa decidono di concordare le iniziative per garantirsi il controllo delle zone curde in Siria a partire da Afrin e di tutta la fascia di confine tra i due paesi, compresa la zona di Manbij al momento controllata dalle Forze Democratiche Siriane (Sdf) composte a maggioranza dalle Ypg/Ypj curde e presidiata da 2 mila marines. Così Washington molla i curdi.
La Dichiarazione congiunta emessa al termine dei colloqui sottolinea che Turchia e Usa sono “alleati e partner strategici”, lo sono “da oltre 65 anni”. L'amministrazione Trump condanna “il terribile tentativo di colpo di stato che ha avuto luogo in Turchia il 15 luglio 2016” e rilancia l'alleanza con l'impegno “a risolvere le questioni in sospeso nelle relazioni bilaterali”. Intanto “la Repubblica di Turchia e gli Stati Uniti, in quanto alleati di vecchia data, riaffermano la loro determinazione a combattere congiuntamente il terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni. La Turchia e gli Stati Uniti ribadiscono la loro determinazione a combattere contro DAESH, PKK, Al Qaeda e tutte le altre organizzazioni terroristiche e le loro estensioni. Riconosciamo il diritto all'autodifesa dei nostri paesi contro le minacce terroristiche che prendono di mira direttamente le nostre nazioni”. Unità di intenti quindi nel combattere Stato islamico e curdi messi sullo stesso piano.
Dopo gli incontri col Segretario di Stato Usa, il ministro degli Esteri turco Cavusoglu nella conferenza stampa del 16 febbraio sottolineava che “gli incontri che abbiamo avuto ieri e oggi sono stati importanti in termini di futuro delle nostre relazioni bilaterali, in termini di superamento delle nostre reciproche preoccupazioni, sia su Siria, Iraq e soprattutto sulla questione della lotta contro il terrorismo. (...) Quindi lavoreremo come due alleati e svilupperemo la nostra alleanza e partnership sulla base della fiducia reciproca”.
Tillerson rispondeva che “i nostri due paesi condividono gli stessi obiettivi in Siria: la sconfitta dell'ISIS, la costituzione di zone sicure e stabili, una Siria indipendente e unificata” sulla base del negoziato Onu e non certo sul negoziato di Astana pilotato dalla Russia. E il Segretario di Stato americano sosteneva che “riconosciamo il legittimo diritto della Turchia di proteggere i suoi confini. Lo prendiamo sul serio quando il nostro alleato della Nato, la Turchia, afferma di avere problemi di sicurezza. Per quanto riguarda Afrin, chiediamo alla Turchia di mostrare moderazione nelle sue operazioni per ridurre al minimo le perdite per i civili ed evitare azioni che aumenterebbero le tensioni in quella zona”. La replica della posizione tenuta fin da subito dall'imperialismo americano: picchiate con attenzione sulle formazioni curde ma fate pure. Tillerson precisava che “sin dall'inizio, siamo stati trasparenti con la Turchia riguardo ai nostri obiettivi in Siria. (...) Siamo sempre stati chiari con la Turchia sul fatto che le armi fornite alle Forze democratiche siriane sarebbero state limitate, specifiche per la missione (di combattere l'IS, ndr) e per raggiungere solo obiettivi militari”. Nel budget della Difesa per il prossimo anno appena varato l'amministrazione americana ha previsto di stanziare “solo fondi sufficienti per continuare la sconfitta della campagna IS, e quindi continuare a rifornire le forze Sdf principalmente di munizioni, perché questa lotta continua” ma niente di più, chiariva Tillerson. Quanto alla situazione della zona di Manbij ricordava che “ne parleremo. Gli Stati Uniti hanno preso impegni in precedenza con la Turchia. Ne discuteremo nel gruppo di lavoro. Manbij ha la priorità”. Ossia gli Usa si impegnano a garantire che le forze curde delle Ypg si ritirino “nella parte orientale dell'Eufrate” come ha sempre chiesto Erdogan, e la zona passerà sotto il controllo congiunto delle truppe americane e turche.
La risposta dei curdi siriani non si è fatta attendere. Il 19 febbraio un portavoce delle Ypg rendeva noto che le truppe siriane erano attese a breve nel cantone di Afrin “per preservare l’unità del paese”. Nessuna conferma ufficiale dal governo di Damasco solo l'agenzia di stampa governativa Sana confermava l’accordo con le forze curde “per sostenere la resistenza del suo popolo nel confrontare l’aggressione che le forze del regime turco hanno lanciato contro la regione”. E riportare il cantone curdo sotto il controllo governativo. Che forse era proprio l'obiettivo della coalizione imperialista a guida russa dato che Mosca aveva ritirato gli osservatori da Afrin alla vigilia dell'aggressione turca il 20 gennaio scorso e dato di fatto il via libera a Erdogan. In ogni caso niente di buono per i curdi siriani che sono ancora sotto tiro e cadono dalla padella alla brace.
 

21 febbraio 2018