Riva di Chieri (Torino)
Embraco licenzia 500 operai
La società del gruppo Whirlpool vuole portare la produzione in Slovacchia
Chiusura momentaneamente rimandata al 2019

Un altra azienda chiude i battenti e licenzia centinaia di lavoratori. L'ennesima vicenda che contraddice gli indici economici e occupazionali che governo e Istat vorrebbero in grande miglioramento, addirittura a livello pre-crisi. Ma la realtà è ben diversa e a farne le spese in questo caso sono i 500 lavoratori della Embraco, società brasiliana controllata dalla multinazionale americana degli elettrodomestici Whirlpool.
Lo stabilimento si era insediato a Riva di Chieri, in provincia di Torino, nel 1994, dove in seguito l’azienda decide di stabilire anche la sede centrale di Embraco Europe, che comprende la fabbrica italiana e una controllata, lo stabilimento slovacco fondato nel 1999 e situato a Spisska Nova Vess. In Italia è concentrata la produzione di strumenti per la refrigerazione domestica, mentre in Slovacchia quella commerciale. I dipendenti arrivano a superare il migliaio nel Vecchio continente, 537 solo in Italia.
Nell’autunno 2017, iniziano a circolare ipotesi di massicce riduzioni del personale nel nostro Paese da parte di Embraco, si parla di delocalizzare quasi tutte le produzioni nazionali. Alla fine di gennaio 2018, quelle che erano solo ipotesi si trasformano in fatti concreti: la capogruppo Whirlpool comunica di avere intenzione di chiudere le produzioni in Piemonte e di destinarle proprio alla Slovacchia.
Quindi l'azienda non chiude per fallimento ma per andare a sfruttare da un'altra parte manodopera a minor costo e vantaggi fiscali. Non che in Italia questi vantaggi siano mancati. La regione Piemonte finanziò a suo tempo la produzione del “frigorifero extralusso”, aiuti stimati in 15 milioni di euro. Evidentemente non sono bastati e la Embraco, come si legge sul suo sito, persegue nel suo obiettivo dichiarato di dare "più abilità e flessibilità all'azienda”, per ridurre “gli sprechi e ottimizzare i processi di lavoro".
Parole che nei mesi scorsi abbiamo sentito dire mille volte allo stesso ministro dello Sviluppo Economico Calenda in riferimento al rilancio industriale italiano, per cui la sue ultime uscite, la sua sensibilità sociale, le sue accuse contro la Embraco, seppur giuste, non sono credibili sulla bocca di un liberista convinto come lui e si spiegano solo con l'imminenza del voto. Difatti Calenda, pur non presentandosi alle prossime elezioni, rimane uno dei candidati principali a occupare la poltrona di ministro dell'Industria qualsiasi sia il governo che uscirà dalle urne dopo il voto del 4 marzo: sia di “centro-destra”, “centro-sinistra”, 5 Stelle o delle “larghe intese”.
Ma le sparate di Calenda contro lo smantellamento della fabbrica in Slovacchia appaiono velleitarie, oltreché tardive visto che il 25 marzo arriveranno le lettere di licenziamento per i 500 lavoratori Embraco. Lavoratori che assieme ai sindacati hanno più volte bloccato la produzione, scioperato e manifestato per le strade di Torino chiedendo alla Whirpool di non dismettere la fabbrica di Riva di Chieri. Nel frattempo la trattativa al Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) si è bloccata perchè l'azienda non ha mai accettato di ritirare i licenziamenti, al massimo ha proposto il part-time per i dipendenti torinesi ma solo fino a novembre.
L’ultima soluzione ideata dal MISE e da Calenda, è quella di riporre le speranze nell' Europa. Il commissario europeo alla Concorrenza, Margrethe Vestager, dovrebbe verificare se la Slovacchia ha usato fondi strutturali o aiuti di Stato illeciti per attrarre aziende come Embraco o Honeywell. Contemporaneamente però, Calenda vorrebbe creare un fondo speciale finanziato con soldi pubblici, derogando temporaneamente alle norme comunitarie che impediscono gli aiuti di stato, affinché l'Italia possa intervenire finanziariamente. Difficile credere che l'UE, nata per difendere i capitali a spese dei lavoratori, intervenga.
Adesso, sotto le elezioni, tutti si schierano in difesa dei lavoratori, gli stessi che chiedono continuamente mano libera alle imprese e sacrifici ai lavoratori, sostengono l'Unione Europea imperialista e hanno appoggiato il Jobs Act, la Fornero, il blocco dei contratti dei lavoratori del settore pubblico. Persino Berlusconi, alfiere del liberismo, a un incontro elettorale, sfiorando il ridicolo, ha detto: “con noi al governo nessun caso Embraco”.
Il governo e i partiti solo adesso sembrano accorgersi delle delocalizzazioni. I dati confermano che il processo va avanti da almeno 15 anni e nelle sole aziende sopra i 100 dipendenti dal 2002 al 2016 le delocalizzazioni subite dal nostro paese sono ben 62 con una perdita di 14.364 posti di lavoro, tutte nel settore manifattura. I lavoratori e i sindacati non si fidano dei partiti, ancor di più in campagna elettorale. Solo la lotta paga e mette in difficoltà i padroni, che più di tutti temono i blocchi allo produzione e ai macchinari contenuti nello stabilimento piemontese.
Intanto entro il 15 marzo Fiom, Fim e Uilm hanno indetto uno sciopero del settore metalmeccanico di tutto il Piemonte, regione dove le crisi e le chiusure si contano a decine. La manifestazione, oltre al ritiro dei 500 licenziamenti alla Embraco, chiederà al nuovo governo una seria politica industriale e interventi pubblici per salvaguardare l'occupazione. Per adesso l'unico risultato ottenuto è quello dello slittamento dal 25 marzo a fine 2018, periodo in cui i lavoratori continueranno a riscuotere il salario pieno, alla fine del quale però partiranno nuovamente i licenziamenti.
 
 
 
 
 
 

7 marzo 2018