Trump fa la guerra commerciale anche alla Ue
La Commissione europea pronta a imporre dazi ai prodotti americani, quali jeans, motociclette, liquori

 
Quando lo scorso 23 gennaio Trump aveva dato il via alla guerra commerciale con l'aumento dei dazi sulle importazioni di pannelli solari e lavatrici che colpivano in particolare le merci di Cina, Corea del Sud e Messico era chiaro che a breve sarebbero seguiti altri passi della politica protezionistica dell'imperialismo americano per tutelare il proprio mercato interno; era il segnale che l'amministrazione Trump iniziava a mettere in pratica le parti del suo programma anche sul piano economico, prima l'America e gli interessi del capitalismo americano quale passo per far tornare l'America prima potenza mondiale a tutto tondo. Puntuale è arrivata la seconda mossa, con la direttiva firmata da Trump l'8 Marzo che prevede l'aumento dei dazi al 25% sull’import di acciaio e del 15% di quello di alluminio; misure che potranno essere attenuate o annullate in negoziati bilaterali, purché non intacchino gli “interessi della sicurezza nazionale Usa”, da tenere entro al massimo un paio di settimane e che colpiscono indirettamente la Cina e in pieno l'Unione europea. L'Ue annunciava ritorsioni e il ricorso al Wto se il dialogo avviato dalla commissaria al Commercio Cecilia Malmstrom con l'amministrazione Usa non dovesse portare a nulla, come nel caso del suo primo incontro del 10 marzo a Bruxelles col capo negoziatore degli Usa nelle trattative commerciali Robert Lighthizer.
Il colpo sui dazi deciso dall'amministrazione Trump era stato messo in canna da tempo, dallo scorso aprile quando il presidente americano aveva ordinato un'indagine nel settore allo scopo di verificare la possibilità di ricorrere a una legge del 1962 che permette alla Casa Bianca di limitare le importazioni di fronte a una “minaccia alla sicurezza nazionale”. I rapporti del Dipartimento del Commercio con l'attesa risposta positiva erano stati consegnati a febbraio e già l'1 marzo Trump apriva il fuoco via Twitter annunciando che “le nostre industrie di acciaio e alluminio (e molte altre) sono state decimate da decenni di commercio sleale e cattiva politica con paesi di tutto il mondo. Non dobbiamo permettere che il nostro paese, le aziende e i lavoratori siano sfruttati più a lungo. Vogliamo scambi gratuiti, equi e intelligenti!”, a vantaggio dei capitalisti. E il 2 marzo aggiungeva che “quando un paese (gli Usa, ndr) sta perdendo molti miliardi di dollari negli scambi commerciali con praticamente ogni paese con cui fa affari, le guerre commerciali sono buone e facili da vincere”. L'8 Marzo la firma ufficiale alla Casa Bianca con tanto di foto di Trump contornato da operai prezzolati in tuta e il casco sottobraccio.
Il protezionismo e le guerre commerciali per tutelare il capitalismo americano e intanto per equilibrare un disavanzo bilaterale nei commerci di 300 miliardi di dollari all'anno erano nel programma di Trump e i suoi consiglieri economici e il responsabile del commercio avevano già stilato nel 2017 i primi bersagli di questa guerra: “consideriamo che circa la metà del nostro deficit commerciale è con soli sei Paesi: Canada, Cina, Germania, Giappone, Messico e Corea del Sud”.
Nel 2017 le importazioni Usa di acciaio dalla Cina, la cui produzione sovvenzionata dal governo di Pechino inonda i mercati mondiali, era ridotta attorno all'1% in seguito a una trentina di barriere commerciali già adottate da Wahsington. Il primo esportatore di acciaio negli Usa è il Canada seguito da Corea del sud, Brasile e Messico. Con Canada e Messico l'amministrazione americana sta già ridiscutendo le regole del Nafta, l'accordo commerciale di libero scambio fra i tre paesi che è servito anzitutto a far crescere i profitti delle multinazionali americane, e Trump li ha momentaneamente esclusi dal pacchetto dei dazi in cambio di concessioni nell'altro tavolo negoziale.
Un terzo del disavanzo commerciale americano è coperto dalla Ue e in particolare dalla Germania, seguita da Gran Bretagna e Italia. Alla vigilia della firma del decreto su dazi Trump aveva annunciato “grande flessibilità e cooperazione verso quelli che sono i veri amici e ci trattano equamente, sia sul piano commerciale che militare”. “Abbiamo relazioni molto buone con l’Australia, abbiamo un’eccedenza commerciale con questo Paese formidabile, un partner di lunga data”, precisava il presidente americano alludendo a un ricatto verso gli “amici” europei: “abbiamo amici e anche dei nemici, che da anni approfittano enormemente di noi su commercio e difesa. Se guardiamo alla Nato, la Germania paga l’1% e noi paghiamo il 4,2% di un Pil molto più importante. Questo non è giusto”. Come dire o pagate i dazi o aumentate la quota delle spese militari per la Nato.
La ministra tedesca dell'Economia, Brigitte Zypries, denunciava il “protezionismo che urta contro partner stretti come Unione europea e Germania e limita il commercio libero. Risponderemo in modo ponderato ma chiaro”. La Confindustria tedesca con meno diplomazia definiva i dazi Usa “un affronto” e avvertiva Trump: “Rischia una guerra commerciale su scala mondiale che può solo perdere”.
L’Unione europea ha già pronte misure di ritorsione sino a 3,5 miliardi di dollari su diversi prodotti americani, quali jeans, motociclette e liquori che non avranno certo lo stesso effetto sui bilanci delle multinazionali americane ma più che per l'impatto economico contano per dimostrare che l'Ue entra nella guerra commerciale in punta di piedi e magari aspetta di contare su ben più potenti alleati, dalla Cina al Giappone. O spera che succeda come nel 2002 quando i dazi imposti allora dall'amministrazione Bush si rivelarono inefficaci e durarono poco più di un anno.
Le ritorsioni di cui si parla a Bruxelles non toccano per esempio gli sgravi fiscali di cui godono le multinazionali Usa in Irlanda o in Lussemburgo né il giro di affari dei giganti dell'informatica e del commercio on line americani. Se le terranno come carta di riserva, forse.
Il vicepresidente della Commissione europea, Jyrki Katainen, affermava che “preso atto della decisione di Trump sui dazi sull'acciaio e l'alluminio, il nostro primo obiettivo è il dialogo con gli Usa. Prepariamo delle contromisure, ma speriamo di non doverle usare. Se si avverasse il peggior scenario possibile, siamo pronti a portare gli Usa al Wto”. La cancelliera tedesca Angela Merkel riteneva necessario che l'Unione europea “curi il canale del dialogo con Washington, ma anche con altri partner colpiti da effetti collaterali, come la Cina”.
I paesi asiatici e dell'area del Pacifico già si stanno organizzando. Trump ha mandato all'aria il Tpp, il trattato multilaterale sul commercio nell'area pensato dalle amministrazioni americane per imbrigliare la Cina ma ritenuto inefficace, e undici paesi (Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malaysia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam) hanno dato vita al Cptpp (Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership) per difendersi assieme dai dazi. La Cina diceva no alla guerra commerciale ma anche che pronta a combatterla. Le agenzie di stampa cinesi riportavano le dichiarazioni del ministro del Commercio cinese Zhong Shan che nella conferenza stampa tenuta l'11 marzo al margine della prima sessione della 13esima Assemblea Popolare Nazionale cinese, affermava che non esiste una parte vincente in una guerra commerciale, la Cina “non vuole combattere una guerra commerciale e non la inizierà, ma sarà in grado di affrontare qualsiasi sfida” per difendere i suoi interessi imperialisti.
Diversi economisti hanno evidenziato che i dazi voluti da Trump avranno comunque un impatto limitato perché quello di acciaio e alluminio è negli Usa un settore non più centrale con neanche 300 mila addetti e il fabbisogno interno potrebbe essere coperto dai paesi esentati come Canada, Messico e Australia a scapito non dell'industria nazionale ma degli altri concorrenti.
La decisione americana potrebbe invece avere pesanti conseguenze negative soprattutto per i paesi Ue. Secondo il presidente di Federacciai, Antonio Gozi, “l’atteggiamento di Trump fa temere il peggio, soprattutto per uno scenario di chiusura protezionistica di lungo periodo. Il problema, comunque è un altro, ed è legato all’effetto boomerang che scatenerà un eventuale provvedimento. Temiamo le conseguenze indirette. Con le frontiere americane chiuse, rischiano di riversarsi in Europa circa 16-18 milioni di tonnellate provenienti dalle siderurgie orientali, dall’area dell’ex Csi e da altri paesi emergenti, che cercheranno alternative e punteranno sul mercato europeo, che è uno dei più permeabili. È un urto che non possiamo reggere”. È la guerra commerciale, l'origine e il preludio nel capitalismo della guerra militare vera e propria per il dominio delle fonti di materie prime e dei mercati.

14 marzo 2018