Né Di Maio né Salvini né qualsiasi altro esponente della borghesia e del capitalismo
In questo regime capitalista e neofascista occorre stare all'opposizione e lottare per il socialismo e il potere politico del proletariato

Dopo quasi tre settimane dal voto e a ridosso della data in cui il nuovo parlamento dovrà procedere all'elezione dei presidenti dei due rami, è ancora buio fitto sul nuovo governo, la maggioranza che lo dovrà sostenere e il premier che lo dovrà guidare. La situazione di stallo che si è venuta a creare a causa del fatto che nessuna della due forze che hanno avuto più voti, M5S e "Centro-destra" di Salvini, Berlusconi e Meloni, ha i numeri per governare da sola, e stante il fatto che il PD si dichiara almeno a parole indisponibile per partecipare ad un governo con l'una o l'altra forza ma solo per stare all'"opposizione", non accenna per ora a sbloccarsi, e non si sa ancora quale dei due ducetti - Di Maio e Salvini - su cui ha puntato la classe dominante borghese riuscirà a prevalere.
O se addirittura, sulla scia dell'accordo che stanno negoziando per spartirsi le presidenze delle Camere, riusciranno a mettersi d'accordo per formare un governo assieme, magari anche solo per andare a nuove elezioni e finire l'opera di risucchiare ciò che resta degli elettorati del PD e di Forza Italia. Ma si parla perfino, per uscire dallo stallo apparentemente insolubile, di un possibile "governo del presidente", o "governo istituzionale" scelto da Mattarella e sostenuto da tutto o quasi tutto lo schieramento parlamentare, per prendere i provvedimenti più urgenti e rispettare le scadenze economiche, rifare la legge elettorale e portare di nuovo il Paese al voto.
Quel che è certo è che questa situazione post elettorale caotica senza precedenti conferma quello che ha giustamente sottolineato l’Ufficio politico del PMLI nella lettera di ringraziamento alle Istanze intermedie e di base del Partito che hanno partecipato alla battaglia elettorale astensionista, e cioè che “la classe dominante borghese, in crisi politica e divisa in più correnti, riesce sempre con più fatica a mettere su un governo e a dare stabilità al suo sistema economico, parlamentare, istituzionale e politico".

Rispunta la controriforma costituzionale
Che questo sia oggi il problema più serio per la classe dominante borghese è dimostrato anche dal fatto che stanno riprendendo forza le proposte di "riforma" costituzionale, temporaneamente accantonate dopo la batosta referendaria del 4 dicembre 2016, e questo per far fronte alla "ingovernabilità" del sistema che queste elezioni hanno evidenziato. A rinfocolare il tema era stato lo stesso Renzi il 5 marzo, contestualmente all'"ammissione" della sonora sconfitta del PD e all'annuncio delle sue finte dimissioni, sostenendo che la mancanza di una maggioranza certa era il frutto della bocciatura dell'Italicum e della mancata approvazione della sua "riforma" del Senato.
Pochi giorni dopo lo ha ribadito più scopertamente in un'intervista a Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera (CdS) del 12 marzo, intervista fatta come ammonizione preventiva alla riunione della Direzione del PD che doveva prendere atto delle sue dimissioni e precisare la linea da tenere nei confronti delle altre forze politiche. Nel ribadire il suo veto a qualsiasi dialogo con il M5S e Di Maio (ma sul "Centro-destra" è stato meno categorico, e Berlusconi non l'ha mai nominato), e all'obiezione che senza il PD sarebbe stato difficile sbloccare la situazione di stallo istituzionale, Renzi aveva risposto: "E che c’entra il Pd, scusi? Ci sono due vincitori ma non c’è maggioranza. Qualcuno ammetterà che con il No al referendum è difficile dare un governo stabile al Paese? Scommetto che tra qualche mese il tema della riforma costituzionale tornerà centrale. Forse qualche settimana".
In realtà non erano passate ventiquattr'ore che sempre sul CdS e sempre a Cazzullo, un'intervista a Dario Franceschini riprendeva il tema delle "riforme" costituzionali, e anzi lo rilanciava proponendo addirittura di sfruttare la situazione di stallo tra le tre forze principali - M5S, "Centro-destra" e PD - per trasformare questa legislatura in una legislatura costituente. Il ministro dei Beni culturali, reduce dalla sonora sconfitta nel suo collegio di Ferrara e ripescato solo grazie al paracadute del proporzionale, ha detto infatti che sarebbe "un grave errore politico pensare che la vittoria del No al referendum abbia voluto dire che le riforme non si faranno mai più".
"Oggi più di prima" il sistema non funziona "perché si è prodotto l’incrocio tra sistema bicamerale e tre poli politici; e non c’è legge elettorale che da sola possa risolvere il problema", ha aggiunto Franceschini, per il quale occorre realizzare il monocameralismo e rifare la legge elettorale, "ma non solo": "Mi rivolgo a Di Maio, a Salvini, a Berlusconi, a Martina e al mio stesso partito; da una situazione che pare perduta può nascere un meccanismo virtuoso. Questa può essere la legislatura perfetta... la soluzione naturale - ha concluso - è fermarsi e scrivere insieme le nuove regole di cui l’Italia ha bisogno. La debolezza per cui nessuno ha la maggioranza può diventare un punto di forza per fare riforme condivise. Approvate riforma costituzionale e nuova legge elettorale, si può tornare a votare. Chiunque vinca troverà un sistema che funziona".

La rincorsa a destra dei leader borghesi
Ecco dunque rispuntare dalla finestra quello che era uscito dalla porta il 4 dicembre: la controriforma neofascista, presidenzialista e piduista della Costituzione, già propugnata da Gelli, Craxi, Berlusconi e Renzi e adesso ripresa e rilanciata dal ministro che ha privatizzato i grandi musei, distrutto le Soprintendenze e vanificato i vincoli archeologici e paesaggistici. Il quale, scavalcando addirittura a destra lo stesso Renzi, chiama Di Maio, Salvini e Berlusconi a realizzarla insieme al PD sotto l'egida di Mattarella e la benedizione postuma del defuntoLicio Gelli: davvero un bel quadretto edificante!
E d'altra parte, non sono anche gli stessi Di Maio e Salvini a comportarsi in questa crisi post elettorale come se fossimo già in una repubblica presidenziale, atteggiandosi come premier eletti "dal popolo" e ripetendo continuamente che "gli italiani" li hanno votati per andare al governo? Basti pensare alla dichiarazione di Di Maio a commento della vittoria del M5S: "È un risultato post-ideologico, che va al di là degli schemi di destra e sinistra...oggi per noi inizia la Terza Repubblica e sarà finalmente una Repubblica dei cittadini italiani". Parole scelte non certo a caso, e che tradiscono la concezione anticostituzionale, antiparlamentare e presidenzialista del "capo politico" e candidato premier del M5S.
D'altronde un eventuale "governo del presidente" imposto da Mattarella per scongiurare l'"ingovernabilità", che altro sarebbe se non un altro golpe istituzionale simile a quello effettuato dal rinnegato Napolitano nel 2011 con Monti? C'è una vera e propria rincorsa a destra tra PD, M5S e Lega-FI-FdI, nella conduzione della partita di governo, e quindi comunque vada e chiunque andrà a Palazzo Chigi il suo sbocco non può che portare ancora più a destra il Paese.

Non cadere nella trappola del M5S
Questo deve far riflettere attentamente soprattutto gli elettori di sinistra che invece di astenersi e dare così un colpo al regime neofascista e alle marce istituzioni borghesi hanno ceduto all'illusione di poter cambiare le cose dando fiducia al M5S e al suo aspirante premier. Né il ducetto in giacca e cravatta Di Maio né quello in camicia verde-nera Salvini rappresentano il proletariato e i lavoratori, ma tutti e due sono al servizio della classe dominante borghese e del sistema capitalista, che accettano integralmente e non intendono assolutamente toccare, non solo nei fatti ma nemmeno a parole. Basti pensare alle dichiarazioni prontamente disponibili di Marchionne e del presidente di Confindustria nei confronti di Di Maio non appena si è palesata la vittoria di quest'ultimo. Quanto al caporione fascioleghista e razzista sappiamo bene quanto sia sostenuto e foraggiato dagli industriali e dai commercianti del Nord, e persino dai settori più retrivi e mafiosi della borghesia del Sud.
Il proletariato e le masse lavoratrici e popolari non hanno nulla da guadagnare dal prossimo governo che verrà, chiunque sia il rappresentante della borghesia e del capitalismo a guidarlo, perché non potrà che applicare l'agenda che gli detteranno il capitalismo italiano, la Ue imperialista e la grande finanza massonica internazionale, che è quella dell'intensificazione dello sfruttamento e del lavoro sempre più precario, della cancellazione dei diritti sindacali e della macelleria sociale.
Il loro spazio politico naturale è perciò all'opposizione a questo sistema capitalista e neofascista, nella lotta di classe quotidiana per difendere i propri diritti e conquistare migliori condizioni di vita e di lavoro, e in quella a lungo termine per il potere politico al proletariato e conquistare il socialismo.
 

21 marzo 2018