No alla partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori alla direzione delle imprese
Respingiamo le nuove relazioni industriali e della contrattazione del regime capitalista e neofascista
Cgil, Cisl e Uil al servizio degli industriali per la produttività e la competitività del capitalismo
L'accordo corporativo tra Confindustria e confederazioni sindacali subordina gli interessi dei lavoratori a quelli dei padroni e del capitalismo

Sabato 9 marzo il direttivo nazionale della Cgil ha approvato il “nuovo modello contrattuale”. Usiamo le virgolette perché di nuovo, e sopratutto di avanzato e positivo non c'è proprio niente. Si tratta di un accordo Quadro, cioè di regole che fanno da cornice e determinano le linee generali a cui dovranno attenersi i prossimi contratti di categoria che regolano il lavoro salariato del settore industriale. Quindi non si tratta di una questione di poco conto, poiché l'accordo inciderà sulle condizioni di vita e di lavoro di milioni di lavoratrici e lavoratori.
La Camusso ha voluto la ratifica del direttivo nazionale ma si è trattato poco più di una formalità perché l'accordo tra Cgil-Cisl-Uil e Confindustria di fatto era stato già siglato dieci giorni prima ed era arrivato dopo trattative e incontri durati oltre due anni. La Confindustria lo chiedeva già dai tempi della passata presidenza di Squinzi ed è stato raggiunto con Boccia sostanzialmente sulla base delle richieste degli industriali.
Diciamo subito che alla base di tutto c'è una visione corporativa e collaborazionista in cui le cosiddette parti sociali, in questo caso organizzazioni padronali e sindacati, pur rappresentando due soggetti diversi, intendono collaborare alla difesa e al rafforzamento del capitalismo italiano, come se questi due soggetti, il capitale e il lavoro, non avessero interessi diversi e contrapposti.
L'accordo si apre così: “Confindustria e Cgil, Cisl, Uil ritengono che un sistema di relazioni industriali più efficace e partecipativo sia necessario per qualificare e realizzare i processi di trasformazione e di digitalizzazione nella manifattura e nei servizi innovativi, tecnologici e di supporto all'industria ” E prosegue: “L’economia italiana sta registrando una fase di ripresa e di crescita economica che va sostenuta e irrobustita, anche al fine di recuperare il gap competitivo e i differenziali che permangono rispetto alle altre maggiori economie concorrenti....Non si può prescindere da un'ampia condivisione degli obiettivi da perseguire entro una attenta lettura delle dinamiche e delle politiche europee. ” Più chiaro di così!
Non c'è una parola contro la precarietà, nessun impegno concreto ad affrontare la questione dei bassi salari. Tutto il documento firmato da Confindustria e sindacati confederali è pervaso dalle parole competitività, flessibilità, produttività. Ammicca ripetutamente alla “buona scuola” e all' “alternanza scuola-lavoro” quando richiama ad uno stretto rapporto tra insegnamento e imprese e al Jobs Act quando invoca un mercato del lavoro più “dinamico”. Non si tratta di un accordo che stabilisce delle regole contrattuali con cui le parti sociali si affrontano per portare avanti le proprie rivendicazioni, bensì di un modello che ha come obiettivo supremo l'efficienza del capitalismo italiano.
Con questo obiettivo le parti ribadiscono ancora una volta la loro volontà di mettere in pratica il Testo Unico sulla Rappresentanza sindacale (TUR) del 10 gennaio 2014. Il TUR è proprio quello che ci vuole per “prevenire i conflitti”, depotenziare i sindacati e i lavoratori che non accettano gli accordi a perdere: prevede la certificazione del grado di rappresentanza sindacale e la concede solo a chi supera il 5%, che nell'unità produttiva siano rappresentate solo le organizzazione firmatarie di accordi aziendali, riserva la titolarità alla contrattazione nazionale solo a chi ha accettato il precedente accordo e lo stesso Testo Unico.
Si tratta di un accordo che va incontro unicamente alle esigenze dei padroni e non dei lavoratori, e lo vediamo quando vengono toccati i temi concreti. Si stabilisce il TEM (trattamento economico minimo) sulla base dell'inflazione depurata dall'IPCA, ovvero dai costi dell'energia che in Italia sono tra i più alti del mondo. Tradotto sta a significare che il Contratto Nazionale non adempirà più a uno dei suoi compiti principali: recuperare per tutti l'inflazione.
Il trattamento economico complessivo (TEC) dovrà esser raggiunto attraverso la contrattazione di 2° livello che, a causa della piccola dimensione delle aziende italiane, riguarderà solo una piccola parte di lavoratori. Nel TEC rientrerà anche il welfare aziendale, quindi non sarà più un elemento aggiuntivo, ma parte integrante e sostitutiva del salario, oltre ad essere un grimaldello per smantellare la sanità e la previdenza pubbliche . Oltretutto l'accordo sottoscritto ribadisce che questi aumenti dovranno essere “strettamente legati a reali e concordati obiettivi di crescita della produttività aziendale, di qualità, di efficienza, di redditività, di innovazione, valorizzando i processi di digitalizzazione e favorendo forme e modalità di partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori .”
Queste forme di “partecipazione” rientrano a tutti gli effetti nel nuovo modello di relazioni industriali e sindacali del regime neofascista sancito da questo accordo, dove ai lavoratori si chiede di abbandonare ogni conflittualità e difesa dei propri interessi di classe, di farsi carico delle problematiche aziendali, di obbedire alle regole del capitalismo anziché metterne in discussione le leggi. Va quindi respinto.
Crediamo che queste “nuove” relazioni basate sul modello Marchionne e sul corporativismo di stampo fascista siano in piena sintonia anche con un eventuale governo a guida 5 Stelle visto che Di Maio, commentando i risultati elettorali del 4 marzo, ha esordito così: “oggi è iniziata la terza repubblica”, presentandosi come un nuovo rottamatore alla Renzi e alla Berlusconi che vuole recidere quello che rimane della Costituzione del '48, compreso il diritto borghese del lavoro in essa contenuto che, pur nei limiti del capitalismo, riconosceva ai lavoratori sia pure a parole un proprio ruolo autonomo nella società.
 
 

21 marzo 2018