L'Italia deferita alla Corte di giustizia
Le città italiane avvelenate dallo smog

A fine febbraio è scaduto il termine fissato dalla Commissione Ambiente dell’UE entro il quale i 9 paesi coinvolti (Francia, Germania, Italia, Repubblica Ceca, Romania, Regno Unito, Slovacchia, Spagna ed Ungheria) avrebbero dovuto presentare integrazioni ai rispettivi piani nazionali per ridurre lo smog, mettendosi in regola dopo i ritardi del 2005 e 2010 sul raggiungimento dei parametri prefissati. Le valutazioni della Commissione sulle nuove proposte saranno rese note entro marzo, motivo per il quale il governo Gentiloni può tirare un sospiro di sollievo poiché, a quella data, le elezioni sono già acqua passata. Tuttavia rimangono ancora ampiamente aperte tutte le criticità che hanno portato il nostro Paese al deferimento alla Corte di Giustizia europea, in particolare gli altissimi livelli di polveri sottili (Pm10) e del biossido di azoto (NO2). Secondo dati dell'Eea, European Environment Agency, in Italia oltre 66mila persone muoiono ogni anno a causa dell'inquinamento da particolato, dato che fa del nostro Paese quello dell'Ue con il più alto tasso di mortalità legato alle polveri sottili. Le condizioni insostenibili dell’inquinamento dell’aria in gran parte delle città italiane è cosa nota da decenni e questo avrebbe dovuto essere sufficiente a far scattare interventi decisi e strutturali per risolvere il problema, se davvero si voleva tutelare la salute pubblica e l’ambiente; invece in alcune aree – su tutte la pianura padana – si è continuato a registrare record negativi su record negativi per il sempre crescente numero di sforamenti giornalieri all’anno di livelli di PM10. Dal report di Legambiente “Mal’aria”, emerge che nel 2017 in ben 39 capoluoghi di provincia italiani è stato superato almeno in una stazione ufficiale di monitoraggio di tipo urbano, il limite annuale di 35 giorni per le polveri sottili con una media giornaliera superiore a 50 microgrammi/metro cubo. Le prime posizioni della classifica sono tutte delle città del nord e in particolare di quelle del bacino padano, con Frosinone in nona, ma in testa alla parziale classifica del centro sud. Nonostante ciò, ed essendo addirittura coscienti da almeno cinque anni del rischio maxi-multa e del deferimento alla Corte, i governi in carica hanno limitato gli interventi ad iniziative tampone per affrontare le cosiddette “emergenze” (ma in realtà situazioni costanti e prolungate nel tempo), senza mai procedere nel tentativo di prevenire gli effetti trovando una soluzione; come possono essere risolutive disposizioni che impongono, ad esempio, ai negozi di tenere la porta d’accesso chiusa d’inverno per limitare il consumo delle caldaie? Oppure, sarà sufficiente nelle città sopra i 50mila abitanti, al quarto giorno consecutivo di sforamento delle Pm10, attivare il blocco delle auto più inquinanti? Per non parlare dell’area padana che in barba ai tre interventi degli anni 2013, 2015 e 2017, continua ad essere una delle più inquinate al mondo? Evidentemente non mancano semplicemente le competenze, ma soprattutto la volontà politica di risolvere il problema. Le maggiori cause di questo inquinamento fuori controllo sono da ricercarsi nel traffico merci su gomma, nella scarsità di trasporto pubblico delle grandi città che costringe all'uso massiccio delle auto diesel o benzina, oltre che negli obsoleti riscaldamenti domestici ed industriali che sono in funzione in particolare nei grandi condomini delle periferie disagiate e povere delle grandi metropoli. Greenpeace ha accusato l’Italia di fare il contrario rispetto agli altri paesi europei poiché, invece di puntare sull’elettrico e sulle altre fonti rinnovabili, l’Italia spinge fortemente sul Gpl, e ciò spiegherebbe il grande interessamento, in particolare dei governi Renzi e Gentiloni, sui gasdotti russi ed azeri che stanno devastando le meravigliose spiagge pugliesi. Dal punto di vista energetico, Renzi ha confermato la volontà di rimanere ancorato alle energie fossili anche quando, attraverso il decreto Sblocca Italia, aprì ad ulteriori trivellazioni in mare alla ricerca di pochi e aleatori giacimenti di petrolio, contro un significativo aumento del rischio inquinamento connesso dalle attività di introspezione, ricerca e di perforazione. Per capire quanto grande sia stata e tutt’ora sia la volontà del governo di abbandonare i combustibili fossili, è sufficiente ricordare che tra il 2013 e il 2015 sono stati stanziati 50 milioni di euro per avviare la realizzazione di una rete di ricarica per i veicoli elettrici ma ne sono stati spesi appena 6mila (!). Il ministro Galletti ha quindi presentato a Bruxelles l’elenco delle cosa fatte, ma la limitazione delle emissioni in campo agricolo, la Strategia energetica nazionale con sedicente efficentamento energetico, il portare le energie “rinnovabili” al 28% e la contemporanea riduzione di CO2 al 33%, la certificazione degli impianti a biomasse ed un nuovo accordo per l’area padana, non hanno convinto gli organismi di controllo, tutt’altro che severi ed intransigenti, che li hanno ritenuti obiettivi insufficienti anche se fossero centrati. Insomma, l’Italia avrebbe già dovuto puntare da decenni sul trasporto pubblico, gratuito e pulito; avrebbe dovuto incentivare bici e auto elettriche nelle città riducendo il traffico, come sostiene anche gran parte dell’associazionismo ambientalista; una parte di esso spingeva anche sui disincentivi economici, come ad esempio il parcheggio auto molto costoso nei centri urbani; ecco, su questo punto possiamo dire che le amministrazioni comunali non hanno tardato ad accontentarli senza però potenziare in maniera sostanziale il trasporto pubblico, facendo emergere il paradigma degli alti costi per i pochi parcheggi disponibili in una bolgia d’auto in ricerca di un posto. In questo modo il disincentivo si è trasformato esclusivamente in una tassa aggiuntiva per la popolazione. Tassa che si aggiungerà anche alla probabile sanzione economica che sarà notificata all’Italia dalla Corte di Giustizia europea che sarà pagata anch'essa con milioni di euro di soldi pubblici. Denari direttamente prelevati dalle tasche della popolazione che già sta pagando un alto tributo in termini di salute pubblica. Oltre il danno dunque, anche la beffa, per mano di un governo che, come i precedenti, non ha nessuna intenzione di risolvere questo gravoso problema sanitario, ambientale ed economico ma, al contrario, continuerà a difendere unicamente gli interessi delle multinazionali dell’energia e delle auto.
 

21 marzo 2018