Nel ventennio mussoliniano
Scalfari fascista doc
“MicroMega” e “Il Fatto” lo smascherano pubblicando alcune lettere di Calvino al fondatore di “Repubblica”. Il quale fa il pesce in barile

È noto che il fondatore de “La Repubblica”, Eugenio Scalfari ha attraversato tutte le stagioni della sua vita, dal fascismo fino ad oggi, adattandosi ad esse come un camaleonte politico. Iniziata la sua lunga carriera da giovane universitario cattolico e fascista, poi diventato azionista alla caduta del fascismo, monarchico al referendum monarchia-repubblica del '46, e via via liberale, lamalfiano, berlingueriano, craxiano, veltroniano, è poi approdato ormai ultranovantenne al renzismo ed è pure diventato un antiberlusconiano pentito. Con l'aggiunta di un fervore cattolico-papista e una concezione dichiaratamente oligarchica della democrazia liberale borghese.
Per capire che dopo tutte queste giravolte è tornato semplicemente alle origini, cioè al fascismo da cui proviene, niente aiuta meglio della corrispondenza con lo scrittore Italo Calvino, di cui era stato compagno di liceo, intrattenuta quando i due si erano separati per andare all'università, Scalfari a Roma e Calvino a Torino. O meglio le sole lettere scritte da Calvino a Scalfari, poiché mentre queste sono state pubblicate, Scalfari non ha mai reso pubbliche le lettere con le sue risposte all'amico scrittore.
Occorre sapere che Scalfari ha sempre sostenuto di aver cominciato a scrivere per la rivista Roma Fascista , settimanale del Gruppo universitario fascista (Guf), nella seconda metà del 1942, in cui scriveva cose tipo questa: “Noi siamo pronti a marciare, a costo di qualsiasi sacrificio, contro tutti i Bonturi (eponimo di corrotti, ndr) che tentano di fare mercimonio della nostra passione e della nostra fede. E ancora oggi è la stessa voce del Capo che ci guida”. Ma come si evince da due lettere di Calvino, risalenti al 21 aprile e al 21 maggio di quell'anno, Scalfari scriveva invece per altre due riviste del regime, Gioventù Italica , organo della Gioventù cattolica italiana diretto da Luigi Gedda (quello che poi darà vita ai comitati civici anticomunisti e pro DC alle elezioni del 1948) e Conquiste d'Impero , già nella prima metà del 1942, anche se mancavano finora i riscontri storici non essendo note appunto le sue lettere di risposta allo scrittore.

“Ragazzo mio ti stai montando la testa”
Il 28 ottobre 2017, però, la rivista MicroMega ha pubblicato questi articoli mai ammessi da Scalfari, che sono stati ritrovati da un ricercatore della Statale di Milano, e che insieme alle lettere di Calvino permettono di ricostruire l'intero puzzle. E il tutto è stato rilanciato il giorno successivo con un esauriente articolo de Il Fatto Quotidiano . Tra parentesi MicroMega fa parte del gruppo Espresso , e perciò è legittimo vedere in questa vicenda la mano di De Benedetti e un rimando alla feroce diatriba scoppiata di recente tra i due che si lavano i panni sporchi in pubblico. Ma questa è un'altra storia.
Nelle prime lettere di Calvino ripubblicate dalla rivista di Paolo Flores e dal quotidiano di Marco Travaglio, lo scrittore sanremese sferza con sarcasmo le ambizioni dell'amico fascista appena cooptato nel “vivaio” dei pennivendoli del regime: “Stai diventando un fanatico, ragazzo mio, stai attento. Ti stai esaltando di queste idee, tanto da montarti la testa. Curati. Distraiti”, gli scrive il 12 febbraio. “Dunque tu, Eugenioscalfari, scrivi su riviste letterarie giovanili? Scrivi articoletti sull’arte novissima, eh? Sei capitato in un vivaio giovanile? Ma che bravo! Bravo, bravo, mi compiaccio proprio. Ahahahahahaah!”, lo deride spietatamente in una lettera del 1 marzo. E ancora il 7 marzo: “E' triste pensare che uno che si è forgiato alla mia scuola cada tanto in basso. Mah, la vita! A ogni modo se sei entrato nell'ambiente fatti sotto. Riescono tante testedicazzo... […] Quando la finirai di pronunciare al mio cospetto frasi come queste: 'tutti i mezzi son buoni pur di riuscire' 'seguire la corrente' 'adeguarsi ai tempi'? Sono queste le idee di un giovane che dovrebbe affacciarsi alla vita con purezza d’intenti e serenità d’ideali?”.
In una lettera del 21 aprile c'è il primo riferimento all'articolo sulla rivista Gioventù Italica (“Mandami, appena vede la luce, il numero di Gioventù Italica che porta il tuo battesimo dell’inchiostro tipografico. Siccome avrai naturalmente scritto delle gran frescate, polemizzerò con te”). E in un'altra lettera del 29 aprile c'è il riferimento alla seconda rivista in cui Scalfari gli dice di aver cominciato a scrivere (“... quello che scrive nientedimeno che su Conquiste d’Impero. […] Ci scrive anche Giuseppe [Bottai], ma sì, proprio Giuseppe, sono colleghi, 'il mio Peppino' lo chiama Scalfari.”). In questa stessa lettera Calvino esprime anche il suo giudizio sull'articolo scritto dall'amico per Gioventù Italica , che nel frattempo gli era pervenuta: “Ho atteso a risponderti alla tua doppia ultima perché attendevo la copia di Gioventù Italica che mi è arrivata oggi. […] Non posso definire il tuo articolo altrimenti che: strano. Strano che tu ti metta a scrivere di queste cose, strano che tu mostri una così sicura cognizione in fatto di tragedie greche che credo conoscerai quanto conosco io, cioè ben poco”.

Esaltazione del fascismo e di Mussolini
Che cosa aveva scritto Scalfari in questo articolo? Ora siamo in grado di ricostruirlo; si tratta di un lungo e delirante sproloquio zeppo di retorica fascista che terminava così: “Noi vogliamo un Uomo migliore fra altri Uomini migliori, e fidiamo nella forza della tragedia (s’intenda: della tragedia non del dramma) per giungere a questo risultato. La tragedia come concertazione scenica deve rinascere e rinascerà. Essa sarà essenzialmente religiosa e avrà compito religioso: scoprire Dio nell’Uomo”. Non c'è da stupirsi se si è meritato una critica tanto sarcastica da parte del suo ex compagno di liceo.
In una lettera del 10 giugno Calvino se la prende ancor più ferocemente con Scalfari per un suo articolo scritto su Conquiste d'Impero : “Tu che sempre hai vissuto in una sfera lontana dalla vera vita, uniformando il tuo pensiero all’articolo di fondo del giornale tale e talaltro, ignorando completamente uomini fatti cose adesso ti metti a scrivere di economia, di argomenti ai quali sono legati avvenire benessere prosperità di popolazioni. Questa più che faccia tosta mi sembra impudenza. […] Lo so, sono amaro, ma, ragazzo, nella merda fino a quel punto non ti credevo. Il giornale fa pietà, è un vero sconcio che si lasci pubblicare tanta roba idiota e inutile. […] Ti conoscevamo come uno disposto a tutto pur di riuscire, ma cominci a fare un po’ schifo”.
Questo perché Scalfari aveva scritto un articolo per la rivista fascista, oggi ritrovato dallo storico della Statale, di plateale esaltazione del regime e del duce, con frasi come queste: “L’ordinamento corporativo, base della politica e del programma del Fascismo, è una di quelle creazioni che, conquistate da una Rivoluzione Vittoriosa, sono destinate poi a rimanere eterno retaggio della società umana quali principi indistruttibili acquisiti sulla via del progresso”. E ancora: “Lo Stato moderno, non fosse altro che per ragioni pratiche, deve essere essenzialmente gerarchico e aristocratico, e in esso l’individuo deve sentirsi intimamente responsabile dell’incarico che gli compete... […] Noi aborriamo da una società tutta allo stesso livello, composta di grandi steli d’erba e di piccole querce”. E così via, per concludere in bellezza con questo tributo a Mussolini: “La battaglia spirituale è già stata iniziata, grazie all’opera e alle direttive precise del DUCE, fin dai primi anni del Fascismo. A noi spetta il condurla a compimento”.

Il ritorno alle origini del fascista Scalfari
Da qui il tono al tempo stesso amareggiato e infuriato per la sfacciata piaggeria di Scalfari che emerge dalla lettera di Calvino. Il quale poi, per nulla impressionato dalle rimostranze dell'amico (che non conosciamo perché egli si guarda bene dal pubblicare le sue risposte, ma che possiamo intuire lo stesso), affonda ancor di più il coltello nella piaga con una lettera del 21 giugno in cui lo apostrofa così: “Me ne frego che tu ti offenda e mi risponda con lettere aspramente risentite (oltre che scemo sei pure diventato permaloso), quello che ho da dirti (e te lo dico per il tuo bene) si compendia in una sola parola: PAGLIACCIO! […] Chiunque ti legga, vedendo uno che fa sfoggio di erudizione ad ogni sillaba, che fa di tutto perché i suoi concetti appaiano il meno chiari e determinati possibile, non può fare a meno di credere che tu sia un IGNORANTE che ripete pappagallescamente frasi e termini raffazzonati a casaccio”.
Insomma, Calvino aveva ben capito già allora di che pasta era fatto il giovane carrierista fascista Scalfari, quasi prevedendo quale sarebbe stata la sua squallida parabola di avido e ambizioso pennivendolo borghese. In realtà questi non è mai cambiato in quasi 80 anni di carriera: fascista era e fascista rimane, e oggi è semplicemente ritornato al punto da dove era partito. Il 15 ottobre scorso, pochi giorni prima che uscissero gli articoli di MicroMega e de Il Fatto Quotidiano che lo smascherano (ai quali non si è vergognato di non dare nemmeno uno straccio di risposta), aveva scritto su La Repubblica per difendere la legge fascista Rosatellum voluta da Renzi e Berlusconi: “La democrazia non ha mai affidato i poteri al popolo sovrano e quindi la sovranità è affidata a pochi che operano e decidono nell'interesse di molti. È sempre stato così nella storia che conosciamo”.
Dove abbiamo già sentito queste parole? Non riecheggiano forse quasi alla lettera il suo articolo del lontano 1942 su Conquiste d'Impero per esaltare altrettanto spudoratamente lo “Stato gerarchico e aristocratico” del duce del fascismo?

28 marzo 2018