Né Di Maio né Salvini né alcun altro premier borghese al servizio del capitalismo
Nessuna fiducia al nuovo governo
L'Italia si cambia solo col socialismo e il potere politico del proletariato

Dopo un mese e mezzo dalle elezioni del 4 marzo le trattative per dar vita ad un nuovo governo sono ancora al punto di partenza. Fallito il tentativo della presidente del Senato Elisabetta Casellati, incaricata da Mattarella di "esplorare" la possibilità di un'intesa tra il M5S e il "centro-destra" di Salvini, Berlusconi e Meloni, il capo dello Stato ha dato come previsto lo stesso mandato "esplorativo" al presidente della Camera, Roberto Fico, ma per verificare stavolta la possibilità di una maggioranza tra M5S e i partiti dell'area di "centro-sinistra", ovvero PD e LeU. Se anche questo tentativo dovesse fallire, diventerebbe molto probabile lo scenario di un governo istituzionale, o "governo del presidente", retto da una maggioranza formata dai principali partiti sul modello del governo Monti, per ottemperare ai provvedimenti economici più urgenti e agli impegni internazionali, fare una nuova legge elettorale e portare il Paese a nuove elezioni.
In realtà tutti i passaggi istituzionali fin qui esperiti per arrivare a formare una maggioranza - le due tornate di consultazioni al Quirinale e il mandato "esplorativo" alla Casellati - hanno rappresentato solo uno stanco e inconcludente rituale, dal momento che come e più che nel passato le vere trattative politiche si sono svolte tutte dietro le quinte, direttamente tra i vertici dei partiti, e in particolare tra i due duecetti Di Maio e Salvini, che le hanno provate tutte per cercare di superare i veti reciproci e di dar vita ad un'alleanza di governo basata sull'asse M5S-Lega, ma senza riuscire a concludere nulla.
Per riuscire a fare l'inciucio occorreva infatti rimuovere un ostacolo grosso come una casa, che si chiama Silvio Berlusconi. Per Di Maio era impossibile accettare un governo col pregiudicato, ma non in quanto piduista, condannato, plurindagato e mafioso, ma solo perché, come si è lamentato a un certo punto con Salvini, la base del M5S gli si sarebbe rivoltata contro. Né d'altra parte Berlusconi aveva la minima intenzione di farsi da parte per favorire l'idillio tra i due aspiranti premier. Quanto a Salvini non poteva e non può staccarsi dal leader di Forza Italia come gli chiedeva Di Maio, o almeno non adesso, perché la Lega ha la metà dei voti del M5S, e il caporione leghista ha bisogno di tempo per crescere ancora elettoralmente a spese di FI e diventare il leader indiscusso di tutto il "centro-destra".

L'asse M5S-Lega
Durante l'"esplorazione" della Casellati, pur di concludere l'accordo, Salvini era arrivato a far credere a Di Maio che Berlusconi aveva accettato di fare un "passo di lato" rassegnandosi a rinunciare ad entrare nel governo con dei suoi ministri e a dare solo un appoggio esterno ad un governo M5S-Lega. E da parte sua Di Maio, pur di andare a Palazzo Chigi, aveva coperto il bluff spingendosi a dichiarare di essere disponibile "anche a considerare non ostile (sic) un sostegno da Forza Italia e FdI". Cioè a rimangiarsi tutto e ad accettare un governo in condominio con Salvini ma sostenuto in parlamento anche con i voti del condannato Berlusconi e della fascista Meloni.
Ma Berlusconi ha subito smascherato il goffo tentativo dei due ducetti di irretirlo nel loro gioco, e non solo smentiva di voler fare il "passo di lato", ma rilanciava la sua ostinata posizione di un governo del "centro-destra", senza M5S ma andando a cercare i voti in parlamento: sottinteso, quelli del PD o quantomeno dei renziani, e di altri parlamentari del M5S disponibili sul mercato. La quasi contemporanea notizia della sentenza del processo di Palermo sulla trattativa Stato-Mafia, con la condanna del suo ex braccio destro Dell'Utri che certifica i suoi rapporti con la mafia, ha fatto il resto, spingendo Di Maio a ritirare precipitosamente l'apertura che aveva fatto al leader di FI, e facendo dire al suo portavoce Riccardo Fraccaro che "la sentenza politicamente è una pietra tombale sull'ex cavaliere. Ora Salvini decida".
Nonostante tutto ciò Di Maio e Salvini non avevano ancora rinunciato del tutto ad una possibile intesa. Aspettavano l'esito delle elezioni regionali in Molise per rafforzarsi reciprocamente, convinti il primo di vincerle sull'onda del successo alle politiche, dove il M5S aveva stravinto col 44%, e il secondo di stracciare Berlusconi, pregustando un successo ancor più netto alle successive regionali in Friuli. Ma le cose non sono andate come i due speravano perché l'ondata astensionista da una parte ha punito il M5S facendolo arretrare, e dall'altra, confermando FI in testa alla Lega sia pure dimezzando i propri voti, ha rafforzato Berlusconi nei confronti di Salvini, e la sua linea contraria ad un governo coi Cinquestelle. A meno che questi non lo accettino come interlocutore e al governo con tanto di suoi ministri.

Il tentativo di aprire il "forno" del PD
È a questo punto di completo stallo che Mattarella ha chiamato Fico col mandato preciso e temporalmente limitato di fare l'ultimo tentativo "esplorativo" per una possibile maggioranza alternativa M5S-PD-LeU, tentativo che appare però in partenza irto di ostacoli. In primo luogo per il fuoco di sbarramento di Renzi, che forte della maggioranza di parlamentari da lui nominati vede come il fumo negli occhi un governo con i pentastellati, e continua a tenere in ostaggio il PD nella prospettiva del governo istituzionale o delle elezioni anticipate, ipotesi più favorevoli alla sua voglia di inciucio con Berlusconi. Inoltre, pur essendo adesso gli altri leader del PD, come Franceschini, Emiliano, Orlando, lo stesso reggente Martina, e persino Delrio, favorevoli in vario grado a trattare col M5S, quest'ultimo dovrebbe accettare almeno due condizioni preliminari: rinunciare a Di Maio premier e chiudere definitivamente il "forno" di Salvini. Due cose a cui il capo politico del M5S non pare ancora disposto a rinunciare.
Vedremo comunque presto se il tentativo di Fico, che ha smesso i panni del "movimentista" per indossare quelli più "pazienti e dialoganti" di guardiano delle istituzioni borghesi, riuscirà ad aprire una breccia nel muro renziano e favorire una vera trattativa tra M5S e PD. Anche perché Mattarella gli ha dato solo qualche giorno di tempo, dopodiché anche quell'altro "forno" lo chiuderebbe lui d'ufficio per passare ad un diverso scenario. Mentre Di Maio incoraggiava l'apertura al Pd con queste parole: “Per me qualsiasi discorso con la Lega si chiude qui... chiedo al Pd di venire al tavolo con noi per verificare se ci siano i presupposti per mettere in piedi un contratto”; il segretario reggente del Pd Martina dichiarava: “Noi ci impegniamo ad approfondire questo possibile percorso di lavoro comune … ed eventualmente deliberare un percorso nuovo che ci coinvolga”.
Quel che è certo, e che il proletariato italiano deve avere ben chiaro, è che chiunque vada al governo - che sia l'ambizioso aspirante premier Di Maio, o il caporione fascioleghista Salvini, che già tuona e minaccia “passeggiate su Roma” se la destra dovesse essere defraudata del suo "diritto" di governare, o qualunque altro rappresentante della borghesia - non potrà che stare a Palazzo Chigi solo ed esclusivamente per servire gli interessi del capitalismo, e non certo quelli dei lavoratori e delle masse popolari.
Per il proletariato non c'è altra strada, per difendere i propri interessi di classe, che stare all'opposizione istituzionale, politica e sociale al nuovo governo, qualunque esso sia, con la consapevolezza che per cambiare veramente l'Italia occorre conquistare il potere politico e instaurare il socialismo. Perché senza il potere politico il proletariato non ha niente ed è sempre alla mercé del governo capitalista di turno, poco importa se gestito dalla destra o dalla "sinistra" del regime capitalista e neofascista. Mentre col potere politico il proletariato ha tutto e può diventare finalmente padrone del proprio destino e cambiare la società dalle fondamenta.
 

25 aprile 2018