Concluso sul filo di lana il negoziato a Washington
Solo rinviata la guerra commerciale Usa Cina
Resta sempre aspro lo scontro tra le due superpotenze imperialiste

 
Lo scorso 9 aprile il presidente americano Donald Trump si dichiarava fiducioso sul fatto che la “Cina ridurrà le barriere commerciali”; “Io e il presidente Xi - scriveva su Twitter - saremo sempre amici, non importa quello che accade con la nostra disputa commerciale. La Cina abbatterà le sue barriere commerciali perché è la cosa giusta da fare. Le tasse diventeranno reciproche e sarà fatto un accordo sulla proprietà intellettuale. Grande futuro per entrambi i Paesi”. Trump lisciava il pelo a Pechino ma neanche una settimana prima, sempre via Twitter, sottolineava che “le guerre commerciali sono giuste, e facili da vincere” annunciando l'avvio di un primo pacchetto di dazi sulle importazioni di acciaio e di alluminio che colpivano una serie di paesi ma che indicavano quale bersaglio principale dell'imperialismo americano la prima rivale, il socialimperialismo cinese, accusandolo di essere il maggiore responsabile del deficit della bilancia commerciale americana grazie agli “iniqui” accordi multilaterali firmati dalle precedenti amministrazioni della Casa Bianca.
La tecnica di Trump è evidente: ha varato sanzioni non verso un singolo paese, proibito dalle regole dell'Organizzazione Mondiale del Commercio, il Wto nella sigla inglese, ma verso tutti e subito dopo ha aperto le trattative per esentare i paesi “amici” e comunque modificare le condizioni che l'imperialismo americano ritiene “inique”. Una esenzione che tra l'altro non è concessa facilmente, i dazi verso i paesi Ue sono stati rinviati più volte, ora al giugno, e restano una specie di ultimatum sulla trattativa in corso; l'emissione di dazi versi la Cina erano previsti dalla Casa Bianca dopo il 22 maggio.
Il 9 maggio il Segretario del Commercio americano Steven Terner Mnuchin invitava negli Usa la delegazione cinese guidata da Liu He, inviato speciale del presidente Xi Jinping e vice premier del Consiglio di Stato cinese, per un incontro “sulle questioni economico-commerciali tra i due Paesi”. In altre parole partiva il negoziato che a un pelo dalla scadenza dell'ultimatum della Casa Bianca, il 19 maggio, portava alla firma di una dichiarazione congiunta salutata da Lui He come una importante intesa capace di fermare la guerra commerciale e di sospendere l'imposizione di dazi doganali. A dire il vero la dichiarazione congiunta sino-statunitense non specifica una lista dei prodotti oggetto delle transazioni né un importo preciso della stesse dopo aver pomposamente affermato che “le due parti hanno convenuto che saranno adottate misure efficaci per ridurre il passivo commerciale Usa nei confronti della Cina”. La guerra commerciale a quanto pare è stata al momento solo rinviata.
Fin dal suo insediamento Trump ha messo sotto pressione la concorrente imperialista Cina, ha costretto Xi a intervenire sulla questione del nucleare nordcoreano per ammorbidire Kim Jong-un mentre pensava alla limitazione degli investimenti cinesi negli Stati Uniti, indipendentemente dal settore cui sono destinati; il suo obiettivo era quello di evitare che la Cina incrementi ulteriormente il suo vantaggio strategico, “dobbiamo fermarla”.
Il 10 aprile, dal palco del Forum di Boao, in Cina, la cosiddetta Davos asiatica, Xi Jinping da difensore dello status quo della globalizzazione, definita “destino inesorabile del nostro tempo”, garantiva che Pechino avrebbe continuato il suo percorso di apertura dei mercati e prometteva entro l'anno una serie di riforme, compresi tagli alle tariffe delle auto e l'accesso ai capitali stranieri in banche e assicurazioni. Intanto però la Cina aveva smesso di comprare la soia negli Usa e si riforniva dai nuovi “amici” nell'America Latina, dal Brasile in particolare, con tanti saluti a Trump e alla sua ossessione della diminuzione del deficit bilaterale.
I negoziati commerciali tra Washington e Pechino hanno viaggiato tra le minacce di Trump di triplicare il primo pacchetto di 50 milioni di maggiori dazi e le promesse di contromisure di pari valore da parte della Cina; dalle affermazioni di un portavoce del ministero degli Esteri cinese che minacciava “abbiamo dichiarato che non inizieremo una guerra commerciale, ma non ne abbiamo paura” alle dichiarazioni dell'ambasciatore cinese a Washington che il 14 maggio riconosceva l'esistenza di “troppo squilibrio nel commercio, un enorme deficit per voi ed enorme surplus per noi, non penso che questo dovrebbe continuare, non credo che continuerà”. Anticipando le conclusioni della dichiarazione congiunta del 19 maggio. Ma la prospettiva di una guerra commerciale, anticamera della guerra armata, resta sullo sfondo del contrasto tra le due maggiori potenze imperialiste mondiali.

23 maggio 2018