Lo rivela il rapporto Osservatorio salute 2017
Al Sud si vive quattro anni di meno
Una persona su cinque non ha soldi per pagarsi le cure

Secondo il rapporto “Osservasalute 2017”, pubblicato dall’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane che ha sede all’Università Cattolica di Roma, e frutto del lavoro di 197 ricercatori distribuiti su tutto il territorio nazionale, in ambito sanitario il divario tra nord e sud è in continua crescita e sta raggiungendo livelli sempre più intollerabili. In questo contesto, il direttore dell’Osservatorio e presidente dell’Istituto superiore di Sanità, Walter Ricciardi, ha lanciato un appello al futuro governo perché si adoperi per realizzare “una sorta di Piano Marshall per il Sud”, proprio per questo “gap” in continuo ampliamento, “contrario anche alla Costituzione”.
La notizia dell'emergenza sanità al Sud non arriva improvvisamente, ma accompagnata da fatti ed avvenimenti, praticamente quotidiani, che conclamano il caso; nel contempo, i media di regime non perdono l'occasione di mettere in risalto tutti i lati positivi della questione sanitaria italiana, come il calo dei decessi per tumori e malattie croniche registrato negli ultimi anni nel nostro Paese. Pochissimi di loro però evidenziano che ciò è vero solo nelle regioni del centro e del nord, dove rimane in essere – seppur anch'esso in costante calo - un sistema di prevenzione sanitaria culturale e pratica che limita certi fenomeni. Nel Mezzogiorno invece, il tasso di mortalità per certe malattie è addirittura maggiore di una percentuale che va dal 5 al 28 per cento rispetto alle altre regioni, ed è la Campania la regione con l'incidenza maggiore.
La fotografia dalla situazione sanitaria del nostro Paese che emerge è quella di una Italia a due velocità, con un profondo divario nelle condizioni di vita delle masse tra Nord e Sud. Addirittura, relativamente all’aspettativa di vita, nel Mezzogiorno si vive in media fino a 4 anni in meno. In Campania, come accennato in precedenza, si registra un più 28 per cento di mortalità per tumori e malattie croniche rispetto alla media nazionale fissata al 2,3 per cento; segue la Sicilia col +10%, la Sardegna (+7%) e Calabria (+4,7%). Inoltre, un altro dato che svela l'agghiacciante differenza territoriale, è la persona su cinque, il 20% dunque, che dichiara di non aver soldi per pagarsi le cure; in totale, quattro volte la percentuale registrata nelle regioni settentrionali. Il Rapporto inoltre lancia un ulteriore e pericoloso allarme relativo agli anziani non autosufficienti, che nei prossimi 10 anni supereranno i 6 milioni, e per i quali non sarebbe garantita una adeguata assistenza dal momento in cui “la rete degli aiuti familiari si va assottigliando a causa della bassissima natalità e per la precarietà di tutele per i familiari che accudiscono”, come evidenzia il direttore scientifico dell’Osservatorio, Alessandro Solipaca. Registrando l'allarme, ci domandiamo però come il problema non sia considerato già evidente adesso, dal momento in cui la quasi totalità di essi (anziani), da nord a sud, è lasciata comunque all'assistenza dei propri familiari o alla cura delle badanti e quindi, senza alcun interesse da parte dello Stato. Ripetute e preoccupate sono state le dichiarazioni dei sindacati dei medici e degli infermieri che hanno lanciato un vero e proprio allarme, chiedendo fra l'altro una variazione dei criteri di ripartizione del fondo investimenti a favore delle regioni più arretrate. Tuttavia, come ultima nota, il rapporto conferma che la nostra spesa sanitaria resta tra le più basse in Europa, contribuendo a far arretrare il sistema sanitario pubblico, “costringendo la popolazione a pagare di più rivolgendosi al privato o a rinunciare alle cure”, come denuncia Rossana Dettori, segretaria confederale Cgil.
Noi ribadiamo che la Sanità pubblica deve essere universale, gratuita, gestita con la partecipazione diretta dei lavoratori e delle masse popolari, e deve disporre di strutture capillari di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione su tutto il territorio nazionale e sia finanziata tramite la fiscalità generale. Per fare ciò sarebbe essenziale assumere a tempo indeterminato un numero adeguato di infermieri, medici, fisioterapisti ed operatori sociosanitari per coprire e potenziare gli organici di tutte le strutture sanitarie del Paese, a partire proprio da quelle più disagiate del meridione, prevedendo corsi di aggiornamento periodici e obbligatori per tutti gli operatori da effettuarsi in orario di lavoro. Al contempo, ed al fine di ripianare il “gap” qualitativo e quantitativo territoriale, sarebbe necessario realizzare un numero sufficiente di distretti sanitari, consultori e centri socio-sanitari, di ambulatori pubblici polispecialisti, di servizi di guardia e di continuità assistenziale, di servizi capillari di assistenza domiciliare per gli anziani e i disabili non autosufficienti, di presidi medico-preventivi, su tutto il territorio nazionale e nei luoghi di lavoro e studio. Come possiamo però sperare che sia il sistema capitalistico, sorretto dai suoi governi parlamentari e coperto dai suoi partiti, che punta tutto sul profitto privato, a soddisfare questi bisogni primari delle masse popolari del nostro Paese e dei paesi di tutto il mondo? Per fare ciò è indispensabile un sistema diverso, un sistema sociale ed economico socialista nel quale al centro vi sia l'uomo ed il soddisfacimento delle proprie necessità e dei propri bisogni, a partire dalla tutela sanitaria e dell'ambiente che, naturalmente, viaggiano in parallelo.

30 maggio 2018