Per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione
Arrestato Montante, ex presidente della Confindustria siciliana
Intreccio tra imprenditori, politici, rappresentanti delle istituzioni, affaristi, esponenti delle “forze dell'ordine” e dei servizi segreti
Indagati anche l'ex governatore Crocetta e Renato Schifani (FI)

L'inchiesta della procura di Caltanissetta sul vergognoso “patto di scambio” fra l’ex governatore della Sicilia Rosario Crocetta (PD) e l'ex presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante, ha portato alla luce un criminale intreccio tra imprenditori, politici, rappresentanti delle istituzioni, affaristi e esponenti delle “forze dell'ordine” edei servizi segreti.
Nell’indagine sono coinvolte almeno una trentina di persone fra cui spiccano, oltre a Crocetta (accusato di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e al finanziamento illecito) e Montante (posto ai domiciliari il 14 maggio e poi in carcere con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione di esponenti delle forze dell’ordine insieme ad altri 5 indagati) due ex assessori regionali alle Attività produttive, Linda Vancheri e Mariella Lo Bello (vicine all'ex presidente degli industriali siciliani) e l’ex presidente dell’Irsap (l’ente regionale per lo sviluppo delle attività produttive) Mariagrazia Brandara che prese il posto di Alfonso Cicero, uno dei principali testimoni dell'inchiesta.
Secondo i Pm nisseni “l’associazione a delinquere” si fonda su “un patto di scambio” fra Crocetta, che ha nominato le assessore Vancheri e Lo Bello, vicine a Montante, con lo scopo di assicurare appalti alle imprese degli amici degli amici a cominciare da Carmelo Turco, Rosario Amarù e Totò Navarra (tutti indagati per associazione a delinquere, corruzione, abuso d’ufficio, finanziamento illecito ai partiti) che a loro volta ricambiavano il favore finanziando con duecentomila euro la campagna elettorale 2012 del Megafono, cioè il movimento politico fondato da Crocetta.
Tra gli indagati figura anche l'attuale presidente di Sicindustria Giuseppe Catanzaro, imprenditore molto conosciuto nel settore dello smaltimento rifiuti anche lui beneficiario di vari appalti.
Nell’ordinanza di arresto del Gip nisseno a carico di Montante e degli altri 5 indagati, il nome di Catanzaro compare oltre 100 volte.
Secondo gli inquirenti Montante e Catanzaro avevano messo in piedi una potente e articolata "rete illegale" per spiare l'indagine che li riguardava e hanno "intrattenuto qualificati rapporti con esponenti di spicco di Cosa nostra".
I tentacoli di questa rete di talpe e informatori arrivavano fin dentro gli uffici della Direzione nazionale antimafia di via Giulia a Roma e a palazzo San Macuto dove hanno sede fra gli altri il Comitato Parlamentare di Controllo per i Servizi di Informazione e Sicurezza e per il Segreto di Stato (COPASIR) la Commissione parlamentare antimafia, le commissioni di vigilanza Rai e l'Ufficio parlamentare di bilancio.
Montante in particolare, considerato per anni il simbolo della riscossa degli imprenditori siciliani contro Cosa nostra, era in realtà l'artefice principale di una “Tentacolare rete di rapporti per spiare indagine a suo carico” e i magistrati che da tre anni lo indagano per concorso esterno a Cosa nostra. In casa custodiva un archivio segreto con dossier su politici, magistrati e giornalisti confezionati grazie a una fitta rete di informatori annidati tra i più alti gradi della polizia di Stato, carabinieri, guardia di Finanza e i vertici dei servizi segreti coinvolti anch'essi a vario titolo nell’inchiesta.
In manette sono finiti fra gli altri anche il colonnello dei carabinieri Giuseppe D’Agata, ex capocentro della Dia di Palermo tornato all’Arma dopo un periodo nei servizi segreti, Diego Di Simone, ex sostituto commissario della squadra mobile di Palermo, Marco De Angelis, sostituto commissario prima alla questura di Palermo poi alla prefettura di Milano, Ettore Orfanello, ex comandante del nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza a Palermo. Agli arresti anche il re dei supermercati Massimo Romano – già nel team legalità di Sicindustria – che gestisce la catena “Mizzica” – Carrefour Sicilia, con oltre 80 punti vendita nella regione. Il sesto provvedimento cautelare riguarda Giuseppe Graceffa, vice sovrintendente della polizia in servizio a Palermo, sospeso dal servizio per un anno. I reati ipotizzati, a vario titolo, sono associazione per delinquere finalizzata a commettere delitti contro la pubblica amministrazione, accesso abusivo a sistema informatico e corruzione.
Per il Gip si tratta di una “tentacolare rete di rapporti”, un contesto di soggetti “legati a doppio filo dallo scambio di favori funzionali”, di cui fanno parte sia gli indagati sia “apicali esponenti delle istituzioni”, che ha agito “al fine di ostacolare le indagini” della procura. “Può senz’altro dirsi – scrive il giudice – come ci si sia trovati innanzi ad una tentacolare rete di rapporti che dimostra la pervasività del contesto investigativo e sta a testimoniare il sistema di protezione che si è alzato attorno agli odierni indagati da parte di soggetti inseriti ai più alti livelli della Polizia, dei Servizi di informazione e sicurezza e dell’ambiente politico italiano”.
Tra le decine di indagati c’è anche Renato Schifani, senatore di Forza Italia ed ex presidente di Palazzo Madama, accusato di aver rivelato notizie riservate apprese dall’ex direttore dell’Aisi Arturo Esposito che a sua volta le aveva avute da altri appartenenti alle forze di polizia. In particolare, avrebbe riferito al docente universitario Angelo Cuva (indagato) che il colonnello Giuseppe D’Agata era coinvolto nel procedimento. Dalle intercettazioni – scrive il Gip – sarebbe dunque emersa una rete in cui vi era uno “stabile canale di comunicazione” tra un appartenente alla Polizia e uno 007 “al fine di travasare notizie riservate sull’indagine in corso presso questa procura”. Informazioni che “su input del generale Esposito” dovevano essere “veicolate al Montante e, successivamente, anche a Giuseppe D’Agata al fine di consentire loro di prendere le dovute contromisure”. A tal fine, si legge ancora nell’ordinanza, “si accertava che il D’Agata fosse in contatto con un professionista palermitano cui è legato da saldi rapporti d’amicizia, Angelo Cuva, e che quest’ultimo rappresentasse il trait d’union tra lo stesso D’Agata e il senatore Schifani, il quale, a sua volta, si relazionava ai fini descritti con il generale Esposito”.
Tra i protagonisti dell'attività di dossieraggio di Montante figurano anche Andrea Cavacece, capo reparto dell’Aisi, Andrea Grassi, ex dirigente della prima divisione del Servizio centrale operativo della polizia, Gianfranco Ardizzone, ex comandante provinciale della Guardia di finanza di Caltanissetta e poi capocentro della Dia nissena, Mario Sanfilippo, ex ufficiale della polizia tributaria di Caltanissetta, Maurizio Bernava, ex segretario confederale della Cisl, gli imprenditori Andrea e Salvatore Calì, titolari di un’azienda che avrebbe effettuato bonifiche negli uffici di Montante, Carlo La Rotonda, direttore di Reti d’imprese di Confindustria, Letterio Romeo, ex comandante del reparto operativo dei carabinieri di Caltanissetta, Salvatore Mauro e Vincenzo Mistretta: quest’ultimo è indicato come vicino a Montante e avrebbe cercato di contattare persone che dovevano essere ascoltate dalla procura.
Il 15 maggio sono finiti nel registro degli indagati anche i nomi di due strette collaboratrici di Montante, Carmela Giardina e Rosetta Cangelosi indagate per favoreggiamento. Mentre un terzo avviso di garanzia, per concorso in corruzione, è stato notificato anche al vice questore aggiunto Vincenzo Savastano, in servizio all’ufficio della polizia di frontiera dell’aeroporto di Fiumicino.
Tutti e tre gli indagati, secondo la procura, hanno aiutato Montante a distruggere parte del suo archivio segreto fra cui molti documenti compromettenti salvati dentro una ventina di pen drive, poi nascoste in uno zaino lanciato dal balcone poco prima dell’arresto. Gli investigatori hanno recuperato anche questo prezioso materiale il cui vaglio il 23 maggio ha indotto il Gip a inasprire la misura cautelare in carcere di Montante. La motivazioni di tale decisione sono riconducibili alla “grave condotta d'inquinamento di prove messa in atto dal Montante in occasione del suo arresto, avvenuto a Milano lo scorso 14 maggio” ha spiegato in una nota la Questura di Caltanissetta. In quell'occasione “l'arrestato si barricava in casa per quasi due ore, non aprendo ai poliziotti e distruggendo documenti e circa ventiquattro pen drive”. Montante ha anche tentato di disfarsi di altra documentazione che è stata però rinvenuta e sequestrata dagli agenti della Squadra Mobile di Caltanissetta in un pozzo luce su cui si affaccia il salone dell'abitazione dell'imprenditore. Alcune pen drive, nascoste in un sacchetto di plastica, erano state lanciate in un cortile adiacente al palazzo. Infine era stato recuperato sul balcone di un vicino di casa anche uno zainetto, contenente altre pen drive e documentazione cartacea. Le gravi condotte che hanno indotto il giudice a inasprire la misura cautelare sarebbero proseguite anche dopo l'arresto dell'indagato. Infatti, una volta condotto agli arresti domiciliari presso la sua abitazione di Serradifalco, dopo l'interrogatorio di garanzia avvenuto lo scorso 15 maggio, Montante avrebbe violato le prescrizioni impostegli dal Gip consentendo l'accesso all'interno della sua villa a persone non
autorizzate.
 

30 maggio 2018