Le biografie dei ministri del governo nero Salvini-Di Maio


Presidente del Consiglio

Giuseppe Conte (tecnico), un tecnocrate borghese amico di Verdini, Boschi e Renzi
 
Di formazione cattolico-democratica, avvocato di un grande studio romano, professore di Diritto privato all'università di Firenze, docente nella facoltà di economia dell'università della Confindustria Luiss di Roma e responsabile scientifico dal 2006 del corso "Giurista d'impresa", membro della Commissione cultura di Confindustria e amico personale del segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, Giuseppe Conte, già indicato da Di Maio in campagna elettorale come ministro della Pubblica Amministrazione del "governo ombra" pentastellato, è in un tecnocrate, non eletto dal popolo, senza nessuna esperienza politica alle spalle, e non certo di estrazione popolare, bensì elitaria e borghese. E il suo ruolo appare essere più che altro quello di "esecutore" delle direttive dei due leader che lo hanno designato, i quali dalle poltrone di vicepremier lo marcheranno stretto vigilando sull'attuazione del programma tra loro concordato che il premier designato potrà solo eseguire a scatola chiusa.
Nato 54 anni fa a Volturara Appula, paesino in provincia di Foggia, Conte ha conseguito la laurea in giurisprudenza alla Sapienza di Roma nel 1988; è considerato un esperto di pubblica amministrazione ed è stato colui che recentemente ha guidato la commissione speciale del Consiglio di Stato che si è occupata di destituire il consigliere Francesco Bellomo, il magistrato amministrativo che era finito tra roventi polemiche per i suoi corsi di preparazione all'esame di magistratura che prevedevano advance e incursioni nella privacy degli studenti e in particolare delle studentesse.
Oltre a sedere nel consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, Conte è avvocato cassazionista e si occupa, soprattutto, di diritto civile e commerciale, ed è considerato uno specialista in materia di arbitrati.
Nel 2013 Conte è stato fra l'altro anche il legale della famiglia di Caterina Ceccuti, la madre di Sofia, la bambina della vicenda Stamina, che si è chiuso con una condanna patteggiata a 22 mesi per associazione a delinquere per il principale promotore del trattamento Davide Vannoni. Conte fu tra i partecipanti di una associazione creata appositamente durante il caso Stamina per sostenere la “libertà di cura”.
Nel corso della sua carriera istituzionale il professor Conte ha curiosamente collezionato anche una serie di incarichi istituzionali che hanno poco a che spartire con la sua specializzazione: negli anni 2010-2011 ha fatto parte del consiglio di amministrazione dell'Agenzia spaziale italiana (Asi); nel 2012 è stato nominato dalla Banca d'Italia componente dell'Arbitro Bancario Finanziario mentre nel 2013 il parlamento lo ha designato a far parte del consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa.
Una curiosità alquanto sospetta specie se si pensa che nel 2010 governava Berlusconi e per poter occupare una poltrona all'Asi, per giunta senza avere competenze specifiche, un fiorentino aveva solo un tramite possibile: non l'allora sconosciuta Maria Elena Boschi, bensì Denis Verdini, all'epoca invischiato nel clamoroso crac del Credito cooperativo fiorentino e questo forse spiegherebbe anche il suo successivo incarico in Via Nazionale.
Altri sospetti sulla reale caratura professionale di Conte e le sue ambiziose aspirazioni vengono dai due curriculum disponibili online: il primo è stato redatto dallo stesso Conte e si trova sul sito dell’Associazione civilisti italiani, mentre il secondo è disponibile sul sito della Camera dei deputati ed è stato caricato nel 2013. In essi si legge fra l'altro che Conte ha perfezionato i suoi studi giuridici negli Stati Uniti a Yale e Duquesne, in Austria a Vienna (International Kultur Institut, 1993), in Francia alla Sorbona, nel Regno Unito (Girton College) e poi ancora negli Usa alla New York University. Ma le stesse segreterie didattiche e amministrative delle università smentiscono le affermazioni di Conte che dunque risultano a dir poco imprecise e “gonfiate” se non addirittura completamente false.
Insomma, il nuovo presidente del Consiglio del cosiddetto “governo del cambiamento”, non è come sostiene Di Maio “Uno tosto” che “Viene dalla periferia del paese” ma un tecnocrate borghese amico di Renzi e Verdini e soprattutto dell'ex ministra e sottosegretaria Maria Elena Boschi più volte accusata da Salvini e Di Maio di essere stata la regista occulta del salvataggio delle banche - in particolare per banca Etruria - e di aver ridotto sul lastrico decine di migliaia di risparmiatori.
 
Vicepremier e ministro degli Interni

Matteo Salvini (Lega), il nuovo caporione fascio-leghista, razzista e separatista della destra borghese
 
Osannato dai media del regime neofascista, appoggiato e finanziato dalla grande borghesia del Nord, dalla destra neo-fascista italiana e europea compreso il nuovo zar Putin con cui intrattiene stretti legami, Matteo Salvini in pochi anni è arrivato a strappare al suo alleato Berlusconi lo scettro di caporione del “centro-destra” e ottenere gli importanti incarichi governativi di sottosegretario alla presidenza del Consiglio e ministro degli Interni.
Nato in una famiglia della “Milano bene”, figlio di un dirigente d'azienda, da buon rampollo di famiglia borghese studia al liceo classico Manzoni, il più prestigioso della città.
Dopo il diploma si iscrive alla facoltà di Storia senza però completare gli studi.
Nel 1990, a soli 17 anni, si iscrive alla Lega razzista e secessionista di Bossi. Tre anni dopo viene eletto nel consiglio comunale di Milano dove si fa notare soprattutto per le sue gravissime uscite razziste e secessioniste condite con vergognose ingiurie ed insulti rivolti alle masse meridionali.
È solo il primo passo verso la trionfale scalata interna nella Lega che lo vede nel giro di pochi anni conquistare le cariche di: coordinatore degli studenti leghisti milanesi nel 1992, responsabile dei giovani leghisti di Milano dal 1994, segretario cittadino dal 1996 e dal 1998 e poi segretario provinciale.
Nel 1997 partecipa alle provocatorie elezioni del Parlamento del Nord con la lista dei “comunisti padani” teorizzando che ci sono “più valori di sinistra nella destra europea che in certa sinistra. Questi partiti e questi movimenti sono quelli che oggi difendono i lavoratori, quelli che conducono battaglie giuste come quella per il ritorno al locale. Allora non ci vedo nulla di strano a cercare un dialogo con chi oggi incarna la resistenza a questa Europa sbagliata”.
Dal 2003 è giornalista professionista grazie alla collaborazione iniziata nel 1997 al giornale di partito “La Padania” che da un lato tuona contro Roma ladrona mentre dall'altro incamera ogni anno miliardi in finanziamenti estorti al popolo per la stampa.
Dalle colonne del fogliaccio leghista tuona contro il clientelismo romano ma intanto sistema la ex moglie, Fabrizia Ieluzzi, al comune di Milano in un posto lautamente retribuito. La stessa buona sorte la riserva anche per l'allora futura compagna, Giulia Martinelli, piazzata senza concorso e per chiamata diretta nello staff dell’assessore al welfare Maria Cristina Cantù con uno stipendio di circa 70 mila euro l’anno pagato dalla Regione Lombardia del governatore Maroni. Per non parlare della sospetta coincidenza che ha portato l'attuale compagna di Salvini, Elisa Isoardi, lanciatissima in Rai, a soffiare il posto alla Clerici per la conduzione dello storico programma di cucina “La Prova del Cuoco” proprio mentre il nuovo caporione leghista giurava al Quirinale.
Nel 2004 Salvini viene eletto nel Parlamento europeo e per ingraziarsi il famigerato “cerchio magico” nomina come proprio assistente parlamentare Franco Bossi, fratello di Umberto. Pubblicamente è sempre in prima fila nel tessere le lodi di Umberto Bossi, ma dietro le spalle si lega al gruppo che fa capo a Maroni e non vede l'ora di fare le scarpe al vecchio caporione leghista.
A partire dalla prima metà degli anni 2000, Salvini si presenta al grande pubblico come paladino della sedicente “razza del Nord” ed è protagonista di una violenta campagna stampa contro gli immigrati e i Rom. Agghindato con t-shirt e felpe con impresse slogan razzisti e separatisti è ospite fisso delle più seguite trasmissioni televisive da cui lancia odiosi proclami xenofobi e razzisti, intona pubblicamente canzoni razziste contro i meridionali, fa mandare in onda immagini in cui guida personalmente i raid di stampo nazista nei campi rom dell'hinterland milanese, invoca l'utilizzo delle “ruspe per ripulire i campi rom” e il “bombardamento dei barconi di migranti”.
Ma quando si tratta di rafforzare il proprio potere sia all'interno della Lega che dentro le istituzioni borghesi, Salvini è disposto ad allearsi perfino con i vituperati politicanti del Sud e a giustificare la sua alleanza con Scilipoti nel 2011 confessando candidamente che: “Il fine giustifica i mezzi, uno si tura il naso e fa un tratto di strada insieme a Scilipoti. (...) Io sono entrato in Lega che Gianfranco Miglio mi spiegava, e sono d'accordo, che pur di arrivare al federalismo ci si alleava anche col diavolo. Magari Scilipoti è leggermente meglio del diavolo e quindi mi accontento”.
Nel 2012 lo scandalo rimborsopoli che travolge la dirigenza leghista e tutta la famiglia Bossi è l'occasione propizia per conquistare la segreteria del partito. Salvini sfrutta abilmente la faida interna al Carroccio e si schiera con Maroni contro il “cerchio magico” bossiano. Diventa segretario regionale della Lega per la Lombardia e, di fatto, delfino del nuovo segretario federale leghista Maroni che nel frattempo gli spiana la strada verso la segreteria epurando tutta la vecchia dirigenza bossiana. Nel 2013 Maroni, viene eletto governatore della Lombardia, si dimette dalla carica di segretario federale indice le primarie per la designazione del proprio successore. La sfida a due, fra Salvini ed il suo vecchio mentore Bossi, ormai sfiduciato anche dalla base, è senza storia. Salvini la stravince superando l'80% delle preferenze.
Appena eletto segretario l'ex “comunista padano” smania per dare una dimensione nazionale al Carroccio strizza l'occhio ai fascisti di Meloni e Casa Pound e imbarca tra le sue file i peggiori soggetti provenienti da partiti e ambienti anche contigui alla malavita locale, come ex democristiani, figure equivoche, trasformisti e volgabbana di ogni risma. Mentre a livello europeo si allea con la peggiore feccia fascista, xenofoba e razzista a cominciare dai fascisti francesi della Le Pen e i greci di Alba Dorata fino al suo presunto finanziatore occulto, il nuovo zar Putin, con l'idea di costituire un sorta di internazionale nera su posizioni antieuropeiste.
Questi legami non poggiano solo su comuni ideologie ma soprattutto su precisi interessi economici. Una dettagliata inchiesta de “L'Espresso” dell'11 febbraio scorso ha messo in luce i rapporti sempre più stretti tra la Lega “a vocazione nazionale” di Salvini e Putin, nonché i probabili canali di finanziamento provenienti da aziende interessate all'export verso la Russia.
È noto che il partito di Marine Le Pen, per le sue posizioni antieuropeiste e contro le sanzioni alla Russia ha ricevuto finanziamenti dal Cremlino, ma Salvini, che a Putin interessa per gli stessi motivi, nega qualsiasi sospetto in materia, limitandosi a ribadire: “Ritengo che Putin sia un grande e lo penso gratis”.
L'uomo di collegamento tra Putin e Salvini è Sergey Zheleznyak, delegato del Cremlino ai rapporti con i partiti europei.
Non a caso su input di Salvini, l'ex giornalista de “La Padania” con parecchie conoscenze in Russia, Gianluca Savoini, ha dato vita all'associazione Lombardia-Russia, con presidente onorario proprio Komonov, seguita in poco tempo da altre associazioni simili in Italia, dal Piemonte al Lazio, dalla Liguria al Veneto. Una di queste sedi è stata aperta anche in Umbria, e a presiederla è il responsabile provinciale di CasaPound e candidato alla Camera, Piergiorgio Bonomi. Mentre a Roma è attiva un'organizzazione russa, la Rossotrudnichestvo (Centro russo di scienza e Cultura), con sede nel Palazzo Santacroce, che tiene fitti rapporti con la Lega di Salvini e i gruppi della destra neofascista ed è considerata uno strumento politico di Putin per la penetrazione all'estero, una sorta di equivalente dell'Usis statunitense (United States information service). La sede è diretta da un ex corrispondente della Tass alquanto riservato, Oleg Osipov, ma sua figlia Irina non fa mistero delle sue simpatie per la Lega di Salvini e i gruppi neofascisti. Sui social compaiono infatti sue fotografie insieme a esponenti fascio-leghisti come il dirigente di CasaPound Marco Clemente e il segretario dell'associazione Lombardia-Russia, Luca Bertoni.
Inoltre la Osipov è stata candidata (non eletta) con FdI alle ultime comunali di Roma, ha accompagnato personalmente Salvini a Mosca e ha organizzato viaggi in Russia e manifestazioni in favore di Putin in Italia a cui ha partecipato Forza Nuova. È stata anche animatrice di Sovranità, l'associazione di CasaPound nata due anni fa in appoggio a Salvini premier.
Su questo fitto intreccio di rapporti tra la Russia di Putin e la destra fascioleghista (Lega più gruppi neofascisti) si inseriscono anche gli interessi di diverse aziende italiane che hanno legami commerciali e industriali con la Russia, e che per Salvini rappresentano un'appetibile fonte di finanziamenti in cambio delle facilitazioni che può procurare loro grazie ai suoi rapporti privilegiati con Putin. Si parla del colosso delle carni Cremonini, che per aggirare le sanzioni sta aprendo uno stabilimento nel territorio della Federazione, del gruppo romagnolo delle scarpe, Baldinini, la Pata, produttrice delle omonime patatine, la Carbotermo, specializzata in centrali termiche e caldaie, che in passato avevano già finanziato la Lega di Bossi e perfino banca Intesa Sanpaolo.
 

Vicepremier e superministro al Lavoro e Sviluppo Economico

Di Maio (M5S), un ducetto a Cinquestelle
 
Luigi Di Maio è nato ad Avellino il 6 luglio del 1986 da una famiglia di estrazione borghese e fascista. Il padre, Antonio Di Maio, è stato un esponente della destra italiana come dirigente del Movimento Sociale Italiano (MSI) ai tempi del fucilatore di partigiani Giorgio Almirante e successivamente del partito di Gianfranco Fini, Alleanza Nazionale (AN).
La madre, Paola Esposito, è un'insegnante di italiano e latino con 3 figli di cui Luigi è il più grande (ha una sorella ed un fratello più piccoli) cresciuti a Pomigliano d'Arco, comune in provincia di Napoli, dove la famiglia risiede.
Di Maio comincia e finisce i suoi studi presso il liceo Classico Vittorio Imbriani nel quale prende la maturità nel 2004. Si iscrive senza successo alla Facoltà di Ingegneria all'Università degli Studi di Napoli Federico II e successivamente a Giurisprudenza ma non riesce a laurearsi.
Nel 2006 inizia la sua carriera politica e istituzionale ricoprendo la carica di consigliere di facoltà e di presidente del Consiglio degli Studenti nella Facoltà di Diritto. Fonda, assieme ad altri suoi colleghi di facoltà, Studentigiurisprudenza, una piattaforma online che “ha il fine di aiutare tutti gli iscritti alla facoltà”.
In questo periodo conosce il Movimento 5 Stelle del quale Luigi Di Maio diventa subito “un attivista modello”. Nel 2007 fonda il primo Meetup a Pomigliano e il padre padrone del Movimento, Beppe Grillo, lo ricopre di lodi e apprezzamenti fino a dichiarare che: “Io stesso imparo sempre dal giovane Di Maio anche quando è in silenzio”.
Nel 2010 si candida alle elezioni comunali a Pomigliano D'Arco come consigliere ma raccoglie appena 59 preferenze e non viene eletto.
Ma la strada verso “una luminosa carriera politica” è ormai tracciata e l'ambizioso ducetto pentastellato non si scoraggia e continua con l'attivismo nel Movimento 5 Stelle.
In pochi mesi Di Maio diventa l'allievo prediletto di Grillo e Casaleggio.
Il trampolino di lancio sono le elezioni politiche del 2013 con il Movimento 5 Stelle che ottiene 25,56% dei voti validi risultando la prima forza politica e Di Maio, candidato alla Circoscrizione Campania 1, è il secondo candidato più eletto nella sua lista.
Un mese dopo, è il 21 marzo 2013, all'età di 26 anni viene eletto vicepresidente della Camera dei deputati, risultando il politico più giovane in Italia ad aver assunto tale incarico.
Il 7 maggio del 2013 Luigi Di Maio incrementa il suo curriculum politico entrando a far parte della XIV Commissione Politiche dell'Unione Europea.
È l'epoca in cui il Movimento 5 Stelle rifiuta ogni alleanza con le altre “forze della vecchia politica” e Di Maio insieme a Grillo e Casaleggio ne sono i massimi sostenitori rifiutandosi di appoggiare l'allora candidato premier del PD Pier Luigi Bersani nella formazione del Governo.
A settembre 2017 Di Maio viene ufficialmente incoronato capo politico del Movimento e candidato premier alla festa del M5S di Rimini.
Ma le ridicole elezioni online, che già si presentavano come una farsa, dal momento che Di Maio si confrontava solo con sette perfetti sconosciuti messi lì all'ultimo momento a fare da comparse, si sono rivelate un imbarazzante flop, avendo visto la partecipazione di solo 37 mila persone, su 140 mila iscritti certificati sulla piattaforma Rousseau gestita dalla società privata di Davide Casaleggio. Appena un iscritto su quattro. E di questi voti Di Maio ne ha presi circa 31 mila: un risultato alquanto misero, nettamente al di sotto delle pur prudentissime stime fornite da un suo fedelissimo, il deputato Danilo Toninelli, che aveva azzardato: “Avrei piacere se votassero tra i 70 mila e i 100 mila iscritti”.
Ciò non ha impedito a Grillo e Casaleggio di fare del loro pupillo un sorta di plenipotenziario dei Cinquestelle per governare con pugno di ferro non solo il Movimento, ma anche i gruppi parlamentari il ristretto gruppo che ha gestito le trattative governative: né più né meno di ciò che hanno già fatto prima di lui Berlusconi e Renzi. Un ruolo che a Di Maio sta a pennello visto che, come si legge nella sua biografia, da grande voleva fare carriera nei ranghi della polizia.
Alla faccia dell'“uno vale uno”! A Di Maio gli viene conferito non solo il potere di scegliersi i ministri, ma anche gli ampi poteri previsti dal “non Statuto”, tra i quali quello di decidere le liste elettorali e avere l'ultima parola sui provvedimenti disciplinari.
Un tradimento vergognoso del mandato dei propri elettori che nel giro di pochi mesi vede Di Maio protagonista di una incredibile serie di giravolte.
Subito dopo la sua proclamazione, Di Maio inizia un lungo apprendistato da aspirante premier e molto volentieri passa uno dopo l'altra tutte le forche caudine per accreditarsi come leader affidabile per la grande borghesia nazionale e internazionale, senza trascurare neanche la sua ala più reazionaria.
Non a caso, tra le prime dichiarazioni dopo la sua elezione, si è subito affrettato a fare due rassicurazioni: una rivolta all'interno, affermando che “noi siamo l'unico argine a quelli che sono gli estremismi in Europa”; e una all'esterno, sottolineando che pur non aderendo alle richieste di Trump di aumentare i contributi europei alla Nato, “questo non significa che il M5S voglia portare l'Italia fuori dalla Nato, o da quelli che sono gli accordi con i nostri partner in Occidente”.
Si fa fotografare mentre bacia il sangue di San Gennaro dalle mani del cardinale Sepe: un atto simbolico che sembra ormai d'obbligo per tutti i politici partenopei che ambiscono agli scranni più alti delle istituzioni parlamentari borghesi; vedi prima di lui Bassolino e De Magistris.
Poi lancia la sua crociata razzista contro le Ong operanti nel Mediterraneo per salvare i migranti, da lui definite sprezzantemente, strizzando già l'occhio alla Lega neofascista e razzista e da buon figlio di fascista, “taxi del mare”; il suo pranzo all'Ispi con Carlo Secchi, ex rettore della Bocconi e presidente del ramo italiano della Trilateral; il suo intervento al forum della grande finanza massonica nazionale e internazionale a Cernobbio; l'invito negli Stati Uniti da parte dell'università di Harvard, la visita alla city londinese e quella in Israele, la visita, al dipartimento di Stato e al Congresso americani durante la quale Di Maio ha chiesto e ottenuto anche un incontro presso la nunziatura di Washington col “ministro degli Esteri” del Vaticano Pietro Parolin che si trovava negli Stati Uniti per le celebrazioni dell centenario dell'Episcopato americano.
La strada per Washington gliela ha spalancata il “Wall Street Journal” che aveva salutato l'elezione di Di Maio alla guida del M5S come la scelta di un “candidato moderato” e non anti establishment. Al suo rientro in Italia Di Maio sbandiera ai quattro venti l'agognato accredito ottenuto presso l'imperialismo americano e in una doppia intervista a Repubblica e La Stampa, eseguiva l'ennesima giravolta politica giurando fedeltà alla Nato e sostenendo che è possibile importare parti del modello economico degli Usa di Trump in Italia.
“Qui con un po' di deficit abbassano le tasse sulle imprese per far correre l'economia. E con quei soldi ripagano il debito creando valore”, una misura simile potrebbe essere applicata in Italia, “penso a una manovra shock per abbassare le imposte sulle imprese attingendo anche a risorse in deficit”. “E vogliamo anche tagliare il costo del lavoro, con misure particolari per chi fa innovazione”, aggiungeva indicando che nel suo pensiero hanno largo spazio gli interessi dei padroni e poco dei lavoratori.
“Voglio essere chiaro: il nostro programma non ha mai messo in discussione la Nato e l'alleanza con gli Stati Uniti. E ripeto: siamo interlocutori storici della Russia, non crediamo che le sanzioni siano uno strumento efficace, ma lo storytelling che ci dipinge come filorussi è falso”, spiegava Di Maio, “il nostro obiettivo è restare nella Nato ma abbiamo perplessità sulla spesa al 2% del Pil in armamenti”. Riguardo alle basi americane in Italia garantiva che “qualsiasi messa in discussione deve essere legata a un dialogo con gli Stati Uniti” e se si doleva del fatto che “spendiamo un sacco di soldi” per le missioni militari non pensava affatto a tagli al bilancio militare, anzi all'opposto a investimenti a favore di “progetti per rafforzare l’intelligence, investimenti in innovazione che possano anche essere partnership esclusive con gli Usa”. Quanto alle missioni militari, calzava l'elmetto dell'imperialismo italiano e sosteneva che “non siamo pregiudizialmente contrari, specialmente per quelle a guida italiana che hanno reso lustro alle nostre truppe”.
Credenziali indispensabili per arrivare alla santa alleanza nera con il caporione fascio-leghista Salvini e dare vita a un governo nero a trazione Lega fascista e razzista, volto a rappresentare in concreto gli interessi della borghesia imprenditoriale del Nord e imbrogliare invece i lavoratori e le masse popolari italiane con illusorie promesse demagogiche, ad aumentare le disuguaglianze sociali e l'abbandono del Mezzogiorno, a fascistizzare e militarizzare ulteriormente, il Paese incluso la persecuzione e l'espulsione di centinaia di migliaia di migranti.
Insomma, per soddisfare le ambizioni governative, Di Maio e il movimento Cinquestelle si sono dovuti rimangiare nel corso degli ultimi anni gran parte del loro programma e a Salvini, dopo avergli già concesso tutto sul "contratto per il governo del cambiamento", gli hanno messo su un piatto d'argento anche la leadership della maggioranza Lega-M5S.
Così Di Maio ha completato e verificato sul campo la normalizzazione e istituzionalizzazione della creatura di Grillo e Casaleggio, entrata in parlamento per "aprirlo come una scatoletta di tonno", e ormai diventato invece un'entità politicante del tutto simile agli altri partiti borghesi della destra e della "sinistra" del regime neofascista, tanto da adottarne in pieno gli stessi metodi inciucisti, e dimostrando anzi di padroneggiarli con estrema abilità e spregiudicatezza.
 

Sottosegretario alla presidenza del Consiglio

Giancarlo Giorgetti (Lega), il Gianni Letta dei leghisti in odore di massoneria
 
Classe 1966, diploma da perito aziendale, laurea alla Bocconi, commercialista e revisore dei conti, Giancarlo Giorgetti ex sindaco di Cazzago Brabbia (Varese) è sposato con Laura Ferrari che nel 2008 ha patteggiato una condanna a 2 mesi e 10 giorni per una truffa di 400 mila euro ai danni della Regione Lombardia messa a segno attraverso iscrizioni fasulle ai corsi di equitazione per disabili in una Onlus.
Parlamentare leghista dal 1996, Giorgetti, grazie alle sue parentele e amicizie altolocate, è stato protagonista di una fulminante ascesa politica. Nel 2000 il suo nome compare già tra i 15 dirigenti scelti da Bossi per la cosiddetta segreteria federale, con il ruolo di responsabile del settore economia. Subito dopo viene eletto presidente della commissione Bilancio della Camera (2001-2006 e 2008-20013) e dalle sue mani passano tutti i dossier più delicati di politica economica, compresa la manovra correttiva dei conti pubblici che nella convulsa estate del 2011 finì nel mirino dell’Unione Europea e della Bce e che di lì a poco provocò la caduta del governo Berlusconi-Tremonti e l'avvento di Mario Monti a Palazzo Chigi.
Giorgetti è considerato l'ufficiale di collegamento fra la Lega e i cosiddetti poteri forti della finanza, l'uomo delle strategie, delle alleanze e trame di partito. In molti lo considerano il Gianni Letta leghista, sempre presente ai tavoli dove si decide la spartizione delle nomine e degli incarichi. Tant'è che dopo il fallimento del primo tentativo dei ducetti Di Maio e Salvini di andare al governo, il suo nome è risuonato a lungo tra le stanze del Quirinale come probabile premier.
Basti pensare che è stato proprio Giorgetti, giovedì 5 aprile, ad accompagnare al Quirinale il caporione della Lega per il primo giro di consultazioni per il nuovo governo. Mentre due settimane prima, il 21 marzo, la coppia era stata ricevuta all’ambasciata americana a Roma.
L'immagine di Giorgetti, uomo schivo, riservato e pacato, sembra fare a cazzotti con l'iconografia fascista xenofoba e razzista di stampo leghista. A suo nome non risultano pagine facebook o profili twitter. La sua immagine ha cominciato a fare capolino negli schermi televisivi solo dopo il risultato elettorale incassato dalla Lega il 4 marzo scorso. Il motivo è semplice: Giorgetti è da sempre considerato l'eminenza grigia in seno alla Lega che entra in campo ogni qualvolta c'è da piazzare un esponente leghista su una poltrona politica, istituzionale o nei consigli di amministrazione che contano: da Malpensa alla Fiera di Milano, da A2A ad Expo, Giorgetti “l’uomo delle nomine” della Lega ha sempre avuto un ruolo di primo piano ivi compreso in quello di Finmeccanica grazie ai suoi stretti rapporti con “uomini di peso” come Giuseppe Orsi.
Insomma un autentico sponsor politico-istituzionale da prima Repubblica, grimaldello dei leghisti per accedere nei piani alti dei palazzi romani e soprattutto sospettato di essere un massone in ottimi rapporti con l’ambasciata americana e “vicino” al club Bildenberg da quando nel 2013 è stato nominato da Giorgio Napolitano tra i dieci saggi incaricati di avanzare proposte programmatiche in materia economico-sociale ed europea. No a caso già nel 2009, come si legge nei dispacci diplomatici segreti rivelati da WikiLeaks, il consolato americano a Milano pronosticava un futuro da leader per Giorgetti, descritto come “sharp” e “well respected”, cioè scaltro e molto stimato.
Politico di lungo corso, sopravvissuto a tutte le bufere politiche e giudiziarie che hanno investito la Lega nel corso degli ultimi anni, Giorgetti vanta anche altolocate amicizie e parentele non solo col mondo politico ma anche e soprattutto in campo bancario.
La ramazza di Salvini che ha spazzato via la vecchia dirigenza bossiana non lo ha nemmeno sfiorato. Sono cambiate le facce, gli slogan e perfino l'effige del partito; ma Giorgetti no. Non solo è rimasto ma è diventato il braccio destro del nuovo caporione fascio-leghista che lo ha promosso vicesegretario del partito.
Forse perché cugino di Gianluca e Massimo Ponzellini, quest'ultimo già uomo di Romano Prodi, poi di Giulio Tremonti, che da banchiere della Popolare di Milano è finito indagato e condannato per corruzione e finanziamenti illeciti; mentre il primo, Gianluca, commercialista di grande esperienza, in quasi mezzo secolo di carriera ha collezionato incarichi, molto spesso come membro del collegio sindacale, in grandi gruppi come Telecom Italia, Intesa SanPaolo, Alitalia, Benetton.
Del resto Giorgetti intrattiene da sempre stretti rapporti col mondo imprenditoriale, bancario e dell'alta finanza.
Giorgetti è stato fra l'altro membro del consiglio di amministrazione della famigerata Credieuronord, l'istituto di credito voluto da Bossi per i suoi maneggi di tangenti. In questa veste il sottosegretario leghista ha lavorato a stretto contatto con Gianpiero Fiorani della Banca Popolare di Lodi arrestato nel 2005 per le scalate bancarie dei “furbetti del quartierino”. Lo stesso Fiorani nel 2004 recapitò nell’ufficio dell’allora presidente commissione Bilancio della Camera, Giorgetti, 100mila euro in contanti, occultati dentro una copia di Repubblica. Giorgetti restituì la mazzetta, ma non denunciò mai ai carabinieri il tentativo di corruzione.
Tutto viene fuori tempo dopo, nel 2006, quando Fiorani parla davanti agli inquirenti e spiega che quei 100mila euro consegnati a Montecitorio erano il generoso ringraziamento a Giorgetti per aver smussato l’ostilità dei leghisti verso l'allora governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio e per la scalata di Antonveneta. Giorgetti, precisa ancora Fiorani, non solo non denunciò il tentativo di corruzione ma aggiunse che “se volevo potevo aiutare con una sponsorizzazione la polisportiva Varese a cui Giorgetti è notoriamente molto affezionato”.
Un gravissimo episodio di corruzione, una sospetta affiliazione alla massoneria e al club Bildenberg sono “credenziali” a dir poco in contrasto coi valori di “onestà e trasparenza” sbandierati dal Movimento 5 stelle che, invece di opporsi alla nomina di Giorgetti in uno dei gangli vitali di Palazzo Chigi, gli regge il sacco.
 

Economia e Finanza

Giovanni Tria (Lega), un destro già collaboratore di Berlusconi e Brunetta
 
70enne romano della zona borghese di Ponte Milvio, classe 1948, laureato in Giurisprudenza a La Sapienza nel 1971, il professor Giovanni Tria, preside della facoltà di Economia di Tor Vergata, presentato come un euro-scettico del calibro di Paolo Savona a cui ha soffiato la poltrona al Palazzo delle Finanze in via XX Settembre in seguito al veto di Mattarella, è in realtà un feroce liberista, ex craxiano (tutt'ora membro del comitato scientifico sociale della Fondazione Craxi) poi passato al “centro-destra” con cui ha collaborato nei vari governi, soprattutto con l’ultimo esecutivo guidato da Silvio Berlusconi, e in particolare quando il suo vecchio e caro amico e collega, Renato Brunetta, da ministro della Funzione pubblica, lo ha voluto come consigliere nella sua “battaglia contro i fannulloni”.
Non è sulle stesse posizioni di Savona (non ha mai parlato di uscire dall'euro) ma è considerato comunque critico sul ruolo della Germania nell'Unione. Il surplus commerciale tedesco, ha sostenuto Tria in alcuni suoi articoli, porta a pensare che sarebbe meglio che la Germania non fosse nell'Unione. In passato Tria ha sostenuto il reddito di cittadinanza sotto forma di rinforzo dei sussidi di disoccupazione, mentre sulla Flat Tax ha detto che si può attuare ma che, per finanziarla, bisogna aumentare l'Iva.
Con Brunetta sul Sole 24 Ore ha pubblicato un articolo nel marzo 2017 in cui fra l'altro si legge: “Non ha ragione chi invoca l’uscita dall’euro senza se e senza ma come panacea di tutti i mali, ma non ha ragione neanche il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, quando dice che ‘l’euro è irreversibile’, se non chiarisce quali sono le condizioni e i tempi per le necessarie riforme per la sua sopravvivenza. Anche perché il maggior pericolo è l’implosione non l’exit”.
Ha studiato in Cina negli anni Settanta, poi a New York, Columbia University, ha lavorato con la Banca mondiale e fra le esperienze professionali annovera quella di co-direttore del Master in Economia dello Sviluppo e Cooperazione Internazionale, dell'università di "Tor Vergata", quella di Direttore del Ceis, Center in Economics and International Studies, membro dell'"Oecd Innovation strategy expert advisory group" e Vice Chair del "Committee for Information, Computer and Communication Policy (ICCP)" nonché membro del Consiglio di Amministrazione dell'Oil, Organizzazione internazionale del Lavoro.
Dal 2008 fino al 2017 Tria è stato anche presidente della Scuola nazionale dell'amministrazione, l'ex scuola superiore della Pubblica amministrazione. In questa veste, Tria ha dato il via a un accordo con l'università Bocconi per la fornitura di corsi a pagamento.
 

Pubblica amministrazione

Bongiorno (Lega), dal fascio finiano al fascio salviniano
 
Giulia Bongiorno è nata a Palermo il 22 marzo 1966. Conseguita la laurea in Giurisprudenza diviene avvocato penalista nel 1992. Subito dopo entra a far parte dello studio del “principe del foro romano” Franco Coppi e, come suo assistente, entra a far parte del collegio di difesa di Giulio Andreotti, accusato di associazione mafiosa e dell'omicidio del giornalista Mino Pecorelli.
La grande risonanza mediatica dei processi, iniziati nel 1993 e svoltisi a Palermo e a Perugia, dovuti al famigerato imputato, danno all'attuale senatrice leghista grande notorietà a livello nazionale.
Lanciata in politica dal caporione fascista Gianfranco Fini viene eletta alla Camera nel 2006 nelle file di Alleanza Nazionale e riconfermata nel 2008 col PDL. Durante i due mandati ha ricoperto le cariche di presidente della commissione Giustizia di Montecitorio e membro del Consiglio di Giurisdizione.
Bongiorno, anche mentre copriva la carica di onorevole, non ha mai smesso di esercitare la professione forense.
“L'avvocato dei vip” ha difeso, tra gli altri, Vittorio Emanuele di Savoia, il magistrato Clementina Forleo e nel 2007 si è occupata della pratica di separazione del leader di An Gianfranco Fini dalla moglie Daniela Di Sotto. È stata anche difensore di Niccolò Ghedini nel processo Ruby ter.
Nel luglio 2010, dopo aver fondato insieme alla show girl Michelle Hunziker l’associazione onlus “Doppia difesa”, che si occupa delle donne vittime di abusi e maltrattamenti, in seguito alla rottura fra Fini e Berlusconi, Bongiorno lascia il gruppo parlamentare del PdL alla Camera e segue il caporione fascista in Futuro e Libertà e diventa portavoce del partito nel 2011.
Viene candidata alle elezioni regionali del Lazio nel 2013, prendendo il 4,7% dei voti. E poi candidata anche al Senato nella lista Con Monti per l'Italia ma non viene eletta in quanto la lista non raggiunge la soglia di sbarramento su base regionale nel Lazio.
In seguito alla doppia trombatura lascia Futuro e Libertà per “operare in politica in modo indipendente” e agli inizi del 2018, fiutando il vento favorevole, cambia ancora casacca e entra nelle file della Lega con cui viene eletta al Senato il 4 marzo scorso e viene premiata con la prestigiosa poltrona del Ministero per la Pubblica Amministrazione.
 

Politiche comunitarie

Paolo Savona (tecnico), in odore di massoneria amicissimo del gran maestro Corona
 
Dirottato al ministero delle Politiche Comunitarie dopo il gran rifiuto di Mattarella di firmare al sua nomina a ministro dell'Economia e Finanze, l’ottuagenario economista sardo Paolo Savona è riuscito ad accaparrarsi l'importante poltrona del dipartimento presso la presidenza del consiglio dei ministri nonostante le voci su una sua presunta affiliazione alla massoneria deflagrate nei giorni scorsi in seguito a un’indiscrezione pubblicata dal Corriere della Sera con protagonista Luigi Di Maio che avrebbe detto a Carlo Cottarelli che Savona fa parte della massoneria americana.
In realtà le voci su Savona massone cominciano a circolare più di quattro decenni fa. Quando l’economista frequentava il Pri di Ugo La Malfa, prima, e di Giovanni Spadolini poi. L’Edera repubblicana ha sempre suscitato una grande attrazione per i massoni tant'è che tra i repubblicani di rango degli anni Settanta e Ottanta c’era anche il sardo Armando Corona detto Armandino, corregionale di Savona. I due erano amici di vecchia data e Corona nel 1982 fu chiamato a “Ripulire la massoneria dalla P2 di Licio Gelli”, come disse anni dopo il capo dei gladiatori Francesco Cossiga, anche lui corregionale e grande amico di Savona.
Corona fu infatti eletto Gran Maestro del Goi (Grande oriente d'Italia) la maggiore obbedienza dei massoni italiani (più di ventimila affiliati oggi), dopo lo scandalo piduista che coinvolse uomini politici e delle istituzioni, giornali, forze armate, servizi segreti, finanza e imprese ivi compreso l’allora imprenditore Silvio Berlusconi.
Uno dei massimi esponenti della P2 è stato Giancarlo Elia Valori, potente amministratore e manager di molte società italiane ma soprattutto anch'egli grande amico di vecchia data di Savona. E forse non è un caso che dopo il veto di Mattarella l'”illustre” economista è stato difeso a spada tratta dalle colonne del “Il Tempo” da Luigi Bisignani, altro piduista di rango.
Del resto la vicinanza di Savona alla massoneria è stata confermata anche dall'attuale Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia Stefano Bisi che ha dichiarato: “Non mi risulta un’affiliazione di Savona però era vicinissimo ad Armandino Corona, questa è una cosa nota”. Il che fa pensare a logge massoniche segrete di spessore internazionale da cui deriva il riferimento alla massoneria americana spifferato da Di Maio.
Forse proprio grazie alle sue amicizie e frequentazioni massoniche Savona è riuscito a ricoprire nei decenni sempre ruoli di grande prestigio e influenza sia livello politico che istituzionale e accademico. Oggi Savona è considerato il capo degli economisti italiani anti-euro e anti-Germania. Ma è bene ricordare che Savona tra il 1993 e il 1994 è stato ministro dell’Industria, del commercio e dell’artigianato nel governo tecnico guidato da Carlo Azeglio Ciampi, proprio quello che mise le basi per l’entrata dell’Italia nella moneta unica.
Più di dieci anni dopo, tra il 2005 e 2006, è stato nominato capo del Dipartimento per le Politiche Comunitarie della presidenza del Consiglio dei ministri e Coordinatore del Comitato Tecnico per la Strategia di Lisbona durante il governo Berlusconi.
La sua carriera professionale comincia nel 1961, appena laureato in Economia, entra in Banca d’Italia, poi contribuisce a fondare l’università di Confindustria LUISS e diviene in seguito direttore generale dell’associazione degli imprenditori durante la guida di Guido Carli. Ha poi svolto incarichi nei consigli di amministrazione in alcune delle più grandi e importanti società italiane, pubbliche e private: per esempio è stato presidente del Fondo interbancario di tutela dei depositi, di Impregilo, di Gemina, degli Aeroporti di Roma e del Consorzio Venezia Nuova (la società che si occupa della costruzione del MOSE) coinvolta in una delle più grandi vicende di corruzione della recente storia italiana).
Il suo curriculum comprende anche la presidenza o comunque la collaborazione con numerose fondazioni, associazioni e comitati scientifici, tra cui l’Aspen Institute, un think tank americano che – come la Trilateral o il Club Bilderberg – è spesso al centro di oscure teorie del complotto un tempo molto criticate dai parlamentari e dai dirigenti del Movimento 5 Stelle con alla testa Di Maio che invece ora fa il pesce in barile.
 

Difesa

Elisabetta Trenta (M5S), la ministra con l'elmetto
 
“Il nostro Governo assicurerà al Paese forze armate più efficaci ed efficienti, capaci di rispondere alle nuove minacce... in continuità con gli indirizzi del libro bianco della Difesa... nell’ambito di PESCO”. Sono le parole con cui la nuova ministra della Difesa Elisabetta Trenta, 51 anni, laureata in Scienze Politiche (con master in intelligence & sicurezza e cooperazione internazionale) ha ribadito la linea espansionista e guerrafondaia che il governo Salvini-Di Maio intende perseguire in perfetta continuità col precedente esecutivo Gentiloni-Pinotti. E non poteva essere altrimenti dal momento che l'analista ed esperta del mondo militare scelta da Di Maio e Salvini per guidare le forze armate l'elmetto lo ha sempre calzato.
Trenta infatti su incarico del Ministero della Difesa ha partecipato a diverse missioni militari in Libia, Libano, dove è stata Country Advisor per la “Missione Leonte” in ambito Unifil nel 2009 e in Iraq dove ha ricoperto il ruolo di Political Advisor dei Comandanti della Itjtf e ha rivestito anche il ruolo di esperta in governance nell'Unità di assistenza alla Ricostruzione di Thi Qar. “I nove mesi trascorsi a Nassiriya come consigliere politico del comandante italiano e della missione Antica Babilonia – ha dichiarato Trenta nel giorno della presentazione della squadra di governo del M5s a fine febbraio - sono stati l’esperienza che più ha segnato la mia vita... per la prima volta mi sono sentita fiera di essere italiana: ho ammirato la professionalità, l’impegno e il cuore dei nostri soldati, donne e uomini impegnati nelle missioni e sono stata orgogliosa di condividere con loro anche il rischio della vita”.
Tra il 2005 e il 2006 è stata sia consigliere per la missione 'Antica Babilonia 9' per il ministero della Difesa ed è stata nominata anche “esperto senior” nella Task Force Iraq a Nassirya sempre per la Farnesina. Nel 2009 è stata richiamata in servizio come capitano della Riserva nella missione Unifil in Libano e nel 2012 ha coordinato un progetto in Libia per la riduzione degli armamenti illegali.
La nomina di Trenta a capo della Difesa ha comunque già scatenato il sospetto di un forte conflitto di interessi. La ministra pentastellata infatti appena ha messo piede in via XX Settembre ha disposto l'immediato trasferimento a Roma del capitano Claudio Passarelli, ossia suo marito, da ufficiale addetto alla segreteria del vice direttore nazionale degli armamenti, all'ufficio Affari Generali nonostante Passarelli non si sia mai occupato né di acquisti né di contratti. Forse la neoministra intendeva proprio questo quando alla presentazione della squadra di Di Maio disse che avrebbe puntato molto a “investire nel personale e nella tecnologia per assicurare al Paese forze armate più moderne e più capaci”.
Non solo, poche ore dopo il giuramento al Quirinale, la ministra è tornata a Velletri per una cena elettorale a sostegno del fratello Paolo Trenta, candidato 5 Stelle a sindaco della città il prossimo 10 giugno.
Trenta è stata candidata dal M5s (di cui fa parte ufficialmente dal 2013) nel collegio plurinominale Lazio2 al Senato.
 

Famiglia e Disabilità

Lorenzo Fontana (Lega), un cattolico oscurantista antiabortista
 
Ancor prima di prestare giuramento al Quirinale, il neo ministro fascio-leghista alla Famiglia e Disabilità Lorenzo Fontana in un'intervista a “Il Corriere della Sera” ha esposto il suo reazionario pensiero oscurantista e antiabortista dichiarando fra l'altro che "Voglio intervenire per potenziare i consultori così di cercare di dissuadere le donne ad abortire. Sono cattolico, non lo nascondo. Ed è per questo che credo e dico anche che la famiglia sia quella naturale, dove un bambino deve avere una mamma e un papà".
Dichiarazioni che giustamente hanno scatenato vibranti proteste da parte delle associazioni che difendono i diritti della comunità Lgbt.
Veronese di nascita, classe 1980, Fontana è il vicesegretario federale della Lega ed è uno dei principali collaboratori del caporione Salvini. Dopo l'incarico di consigliere comunale a Verona, è stato eletto per la prima volta nel parlamento europeo nel 2009, nomina confermata alle elezioni del 2014. Nel 2016 è giunta la nomina di vicesegretario federale del Carroccio insieme a Giancarlo Giorgetti per poi arrivare con le politiche del 2018 alla Camera dei deputati. Il 29 marzo 2018 è stato nominato vicepresidente della Camera con 222 voti.
 

Esteri

Moavero-Milanesi (tecnico), l'europeista alter ego di Monti
 
È considerato da molti come una sorta di alter ego giuridico di Mario Monti, nel cui governo è stato ministro senza portafoglio per gli Affari europei (incarico confermato con Enrico Letta a Palazzo Chigi). Romano, 64 anni, avvocato, è diretto discendente dei Bocconi: la famiglia altoborghese originaria di Cavenago che fondò a Milano la Rinascente prima e l'Università Bocconi poi.
Già capo di gabinetto dei commissari europei Filippo Maria Pandolfi e, appunto, Monti a Bruxelles e consigliere a Palazzo Chigi di Amato e Ciampi nel 1992-1993, Moavero è esperto di mercato e concorrenza, con una vita trascorsa in gran parte all’estero, dedicata al mercato e al diritto internazionale. All’inizio della sua carriera è a Yale, dopo la laurea in legge alla Sapienza nel 1977 e un tirocinio in uno studio legale di diritto internazionale. Poi arriva la specializzazione al College de France di Bruges in diritto comunitario e quella in diritto internazionale, alla University of Texas, a Dallas.
Nel 1993 entra, a meno di 30 anni, come funzionario della Direzione generale della Concorrenza della Commissione dell’allora CE, passando sei anni dopo al gabinetto del vicepresidente. Amato lo nomina capo del Segretariato per gli Affari Europei nell’ambito del Segretariato generale della Presidenza del Consiglio, con funzioni di coordinamento della politica economica italiana con la politica comunitaria.
L’incontro con Monti risale al 1995 quando il commissario per il mercato interno, appena nominato, lo chiama a capo del suo gabinetto. Per poi portarselo dietro anche dopo, quando il professore assume la guida della Commissione alla concorrenza. Nel 2002, Moavero viene nominato segretario generale aggiunto della Commissione Europea. Dal 2005 al 2006 diventa direttore generale dell’Ufficio dei Consiglieri per le Politiche Europee della Commissione, per poi giurare a Lussemburgo come giudice del Tribunale di primo grado della Corte di Giustizia della Ue.
Nel 2017 dopo l’esperienza nei governi Monti e Letta, viene nominato dal Presidente Gentiloni consigliere del premier per la promozione della dislocazione a Milano della sede dell’Agenzia europea per i medicinali (Ema), già situata a Londra.
 

Istruzione Università e Ricerca

Marco Bussetti (quota Lega), un tecnico della scuola che esalta la “Buona Scuola”
 
Al posto della Fedeli in Viale Trastevere arriva un insegnante di educazione fisica, uscito con 110 dal corso di laurea specialistica magistrale in scienze motorie dell'Università Cattolica di Milano.
Nato a Milano nel maggio del 1962, un passato da allenatore di basket per diverse squadre lombarde, Bussetti non ha mai nascosto le sue simpatie per la Lega anche se non ha mai ricoperto cariche politiche e non risulta che sia un attivista della Lega (diversi giornali scrivono però che sul suo profilo Facebook, ora chiuso, ci sono foto di lui con Matteo Salvini).
Ha prestato servizio come dirigente scolastico presso l'istituto comprensivo di Corbetta, sempre a Milano, per poi passare in vari uffici periferici della Pubblica istruzione.
Nel suo curriculum, oltre ad un diploma Isef e varie specializzazioni (tra cui un diploma per un corso su dirigenza pubblica gestione manageriale del personale) c'è soprattutto l'incarico di Provveditore a Milano (dal 2015) in qualità di responsabile dell'Ufficio Scolastico Regionale della Lombardia. Stesso incarico, tra il 2011 e il 2014, ma come capo dell'ufficio scolastico provinciale di Monza.
Insomma un “tecnico” della scuola che però in una video intervista di aprile 2017 a “SempioneNews” ha elogiato la “Buona Scuola” definendola “un'ottima legge che ha permesso di cominciare a ragionare con un sistema integrato tra mondo del lavoro e scuola”. Ossia proprio quella parte della legge dell'alternanza scuola-lavoro che Salvini e Di Maio non condividono e che in campagna elettorale e nel contratto di governo hanno promesso di “superare” insieme alla chiamata diretta.
Come andrà a finire?
 

Rapporti con il Parlamento

Riccardo Fraccaro (M5S), fedelissimo del boss Di Maio
 
Nato a Montebelluna (Treviso) il 13 gennaio 1981, Riccardo Fraccaro è questore della Camera e fedelissimo di Luigi Di Maio (tant'è che il M5S l'aveva già indicato, all'indomani del voto, ministro per i Rapporti con il Parlamento).
L'attivismo di Fraccaro nel M5S è iniziato nel 2010 a Trento, città in cui si è laureato in Giurisprudenza: lì ha fondato il primo meet up del capoluogo trentino, sposando soprattutto la battaglia contro l'inceneritore. Cinque anni fa l'avventura a Montecitorio, unico deputato M5S eletto in Trentino. Per il M5S diventa anche portavoce del gruppo e segretario dell'ufficio di presidenza.
Nel 2013 è protagonista di una gaffe su Hitler. Nel giorno in cui Napolitano accetta di ricandidarsi al Quirinale, Fraccaro scrive sul suo blog: "Oggi è il 20 aprile, giorno in cui nacque Hitler. Sarà un caso, ma oggi muore la democrazia in Italia". Ma dopo alcune ore, il messaggio scompare.
Dopo il voto del 4 marzo, finita la prima riunione dei questori di Camera e Senato, ha annunciato che: "Il M5s abolirà i vitalizi nel giro di due settimane con una delibera. Sono un istituto anacronistico e inaccettabile". Vedremo se manterrà fede all'impegno o se anche questa promessa sparirà entro breve tempo come il post su Hitler.
 

Giustizia

Alfonso Bonafede (M5S), altro fedelissimo di Di Maio
 
Avvocato, nato a Mazara del Vallo il 2 luglio 1976, Alfonso Bonafede dal 1995 abita a Firenze dove si è laureato in Giurisprudenza ed è rimasto collaboratore come cultore di Diritto Privato e dove ha conosciuto Giuseppe Conte, docente di privato nello stesso ateneo. Sembra che sia stato proprio Bonafede ad avvicinare Conte al M5S.
È uno dei parlamentari più fidati e vicini a Luigi Di Maio. È soprannominato per questo il "mister Wolf" a 5 Stelle. Ha fatto parte del direttorio politico M5S nella scorsa legislatura e, una volta sciolto l'organismo, ha seguito le vicende politiche e soprattutto che hanno travolto il Campidoglio e la sindaca Raggi.
Nel 2006 ha conseguito il dottorato di ricerca presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Pisa. E dallo stesso anno è avvocato presso il Foro di Firenze con uno studio autonomo. Ha iniziato l'attività politica nel 2006 quando è entrato a far parte del gruppo degli "Amici di Beppe Grillo" del Meet-up di Firenze.
 

Salute

Giulia Grillo (M5S), un medico contraria all'obbligo vaccinale
 
Nata a Catania il 30 maggio 1975, laureata in medicina e chirurgia con specializzazione in medicina legale, Giulia Grillo è un'attivista di lungo corso del Movimento, eletta in Parlamento per la prima volta già nel 2013.
La scelta di iscriversi al meetup grillino di Catania risale al 2006 durante la lotta contro le trivellazioni in Val di Noto, contro le privatizzazioni dell'acqua pubblica nel ragusano e del comitato Addio Pizzo di Catania.
Nella legislatura appena conclusa è stata vice capogruppo e capogruppo alla Camera e capogruppo nella commissione Affari Sociali. Non ha alcun rapporto di parentela con Beppe Grillo, il fondatore del M5S.
Recentemente è balzata agli onori della cronaca per le sue posizioni contrarie all'obbligo vaccinale pur riconoscendo l'efficacia e l'utilità dei vaccini.
 

Affari Regionali

Erika Stefani (Lega), la leghista che ha bruciato le tappe
 
Nata a Valdagno (Vicenza) 18 luglio 1971, avvocato, Erika Stefani ha bruciato le tappe della politica. Sempre all'ombra del Carroccio, in pochi anni è passata da semplice consigliere comunale a ministro della Repubblica.
L'esponente della Lega è entrata in politica in occasione delle amministrative del 1999 e viene subito eletta consigliere del comune di Trissino. Rieletta nel 2009 ha ricoperto le cariche di vicesindaca e assessore all'Urbanistica. La scalata verso i piani alti della politica è cominciata nel 2013, quando è stata eletta senatrice con la coalizione di “centro-destra”. Durante la legislatura, è stata vicepresidente del gruppo Ln-Aut dal 15 luglio 2014, membro della Giunta delle elezioni e alle immunità parlamentari, componente della commissione Giustizia. Inoltre ha fatto parte della commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio e su ogni forma di violenza di genere. Alle elezioni del 4 marzo è stata rieletta nel collegio uninominale di Vicenza.
 

Sud

Barbara Lezzi (M5S), la ministra coinvolta nella rimborsopoli a 5 Stelle
 
Nonostante il suo coinvolgimento nello scandalo della “rimborsopoli” a 5 Stelle, Barbara Lezzi è stata premiata con una poltrona ministeriale che nel programma di governo iniziale del M5S non doveva neanche esistere.
Al contrario di altri candidati pentastellati esclusi dalle liste elettorali, per la Lezzi si è subito mobilitato il boss Di Maio che l'ha salvata “costringendola” a rimborsare una ridicola penale di tre mensilità.
Pugliese, classe 1972, la senatrice pentastellata Barbara Lezzi si è diplomata nel 1991 all'istituto tecnico per periti aziendali di Lecce. Assunta dal gennaio 1992 in un'azienda del settore commercio come impiegata di III livello, è stata eletta al Senato già nella scorsa legislatura, dove è diventata vicepresidente della Commissione bilancio e membro della Politiche europee. Dopo la caduta del divieto di partecipare alle trasmissioni tv, è stata scelta tra i parlamentari incaricati a partecipare ai dibattiti in tv e poi inviata come primo esponente pentastellato a partecipare al Forum Ambrosetti di Cernobbio.
Soprannominata la "pasionaria grillina", Lezzi, con un record di 107 mila voti, nelle ultime elezioni ha sbaragliato due boss della politica come l'ex premier Massimo D'Alema e la sottosegretaria uscente allo Sviluppo economico Teresa Bellanova.
 

Ambiente

Sergio Costa (M5S), il generale di brigata voluto da Di Maio
 
Fortemente sponsorizzato da Luigi Di Maio, nato a Napoli nel 1959, Sergio Costa si è laureato in Scienze Agrarie, con un master in Diritto dell'ambiente. Entrato nel Corpo Forestale, ne è diventato comandante regionale in Campania. È in questo ruolo che all'inizio del Duemila ha guidato la sua indagine più famosa: quella sui rifiuti tossici interrati dal clan dei Casalesi nella cosiddetta Terra dei Fuochi, la piana agricola del Casertano al confine con Napoli.
Costa si è occupato anche delle discariche abusive nel Parco del Vesuvio e ha condotto indagini sul traffico internazionale dei rifiuti, in collaborazione con la Direzione nazionale antimafia. Nel 2017, quando la Forestale è stata accorpata ai Carabinieri, è diventato generale di brigata dell'Arma.
 

Agricoltura e Turismo

Gian Marco Centinaio (Lega), il leghista della prima ora
 
Nato a Pavia il 31 ottobre 1971, capogruppo della Lega al Senato dal 2014, Gian Marco Centinaio si è laureato nel 1999 in Scienze politiche con indirizzo economico-territoriale all'Università di Pavia.
Leghista da sempre, la sua carriera istituzionale inizia nel 1993 come presidente del Comitato di quartiere Città Giardino, poi come consigliere comunale di Pavia fino al 2009, quando viene eletto vicesindaco e assessore alla Cultura.
Dal 1999 al 2005 è segretario cittadino della Lega di Pavia e poi componente del direttivo cittadino. Approda a Palazzo Madama dopo le Politiche del 2013 diventando senatore della Lega.
 

Trasporti e Infrastrutture

Danilo Toninelli (M5S), un ex carabiniere riciclato in politica
 
Classe 1974, diploma al liceo scientifico a Manerbio e laurea in Giurisprudenza a Brescia, Danilo Toninelli approda alla guida dell'importante ministero delle Infrastrutture dopo un passato all'arma dei carabinieri.
Parlamentare al secondo mandato, nella precedente legislatura è stato membro della Giunta per il regolamento e uomo chiave dei Cinque Stelle in commissione Affari costituzionali di Montecitorio, di cui è stato vicepresidente. Eletto quest'anno in Lombardia al Senato, ne è capogruppo per il M5S e grazie a questo ruolo, nelle ultime settimane ha affiancato Luigi Di Maio nelle consultazioni al Quirinale per la formazione del nuovo governo.
Dal 1999 al 2001 è stato ufficiale di complemento dell'Arma dei Carabinieri a Torino, poi ispettore tecnico assicurativo dal 2002 al 2013 a Bergamo e Brescia, è passato alla carriera politica aderendo al Movimento 5 Stelle: attivista dal 2009, ha fondato il gruppo cremasco. Il suo esordio in politica è stati a dir poco fallimentare nel 2010 si candida per le elezioni regionali in Lombardia come consigliere per la provincia di Cremona, ma non riesce a farsi eleggere avendo ottenuto appena 84 voti. Si candida anche come consigliere comunale a Crema in occasione delle amministrative del 2012, ma anche in questo caso il misero bottino di 9 preferenze non gli consente di essere eletto. La svolta arriva nel 2013 con la prima elezione alla Camera nella circoscrizione V di Lombardia 3.
 

Beni culturali

Alberto Bonisoli (M5S), un manager privato per il patrimonio pubblico
 
Classe 1961, mantovano, Alberto Bonisoli è a capo della Nuova Accademia di Belle Arti di Milano, istituzione privata presente in 80 Paesi che dal 1980 si occupa in Italia di moda, grafica e design, e presidente della rete delle Scuole di Moda.
A lungo professore di Innovation Management alla Bocconi, Bonisoli non si è mai occupato in particolare di patrimonio culturale, interessato piuttosto ai temi della formazione e dell'insegnamento, sua dichiarata passione, per i quali ha collaborazioni nazionali e internazionali, in particolare con l'Unione Europea e il Miur. Un manager privato però “aperto a una collaborazione tra le capacità del pubblico e le potenzialità del privato". Sic!

6 giugno 2018