Vertice imperialista in Canada
Il G7 si sgretola
Il dittatore fascista Trump appoggia il governo nero fascista e razzista Salvini-Di Maio e il premier fantoccio Conte
Controvertice a Pechino tra Xi e Putin

 
I lavori preparatori del vertice imperialista del G7 canadese dell'8 e 9 giugno a Charlevoix in Quebec annunciavano fuochi d'artificio fra i capi di Stato e presidenti del governo di quelli che una volta erano i sette maggiori paesi industrializzati sulla guerra dei dazi scatenata dalla Casa Bianca e sui rapporti con la Russia e l'Iran; quantomeno uno scontro anche duro tra sei membri (Germania, Francia, Giappone, Gran Bretagna, Italia e Canada) e gli Usa, come aveva anticipato la riunione dei ministri finanziari che si era tenuta l'1 giugno a Whistler. Due giorni e una notte di negoziati finali avevano invece prodotto la consueta serie di prolissi e insulsi documenti, compreso il comunicato ufficiale, che a detta dei partecipanti avevano raccolto e rappresentato in maniera unitaria le divergenze, così come era successo lo scorso anno al vertice di Taormina. Ma non era questo il finale programmato dal dittatore fascista americano Donald Trump che già in segno di spregio verso i partner aveva lasciato la sede dell'incontro a lavori ancora in corso e con un tweet, mandato direttamente dall’Air Force One in viaggio verso Singapore, annunciava il ritiro della firma dai documenti ufficiali; la scusa più che ridicola, le dichiarazioni del premier canadese nella conferenza stampa finale ritenute offensive dagli Usa, confermava che l'obiettivo del suo viaggio canadese era proprio quello di far saltare il vertice e con esso il G7, che si sgretola.
Nella due giorni di riunioni a Charlevoix nel maniero di La Malbaie, in riva al fiume San Lorenzo, Trump aveva accettato di firmare la dichiarazione comune che tra l'altro criticava il protezionismo e impegnava i leader a riformare le regole del Wto, a aprire nuovi negoziati. Ma come aveva annunciato non partecipava alla discussione sui temi ambientali, altro punto di rottura con i sei partner imperialisti, e partiva per Singapore. Non prima di dare la sua versione dei lavori del vertice in una conferenza stampa dove sosteneva che “abbiamo concluso un G7 di enorme successo”, “abbiamo avuto discussioni estremamente produttive sulla necessità di avere equità e reciprocità” negli scambi commerciali. Ma soprattutto evidenziava che stava combiando “lentamente ma sicuramente” quella situazione caratterizzata “da pratiche commerciali sleali straniere” contro gli Usa, facilitate da accordi firmati in passato dai suoi predecessori. “Mi congratulo con i leader di altri paesi per aver fatto questi accordi commerciali che erano così buoni per il loro paese e così cattivi per gli Stati Uniti. Ma quei giorni sono finiti”, concludeva Trump. Che poco dopo, mentre il premier canadese commentava i lavori del vertice, lanciava il siluro sul G7: “sulla base delle false dichiarazioni di Justin alla sua conferenza stampa e del fatto che il Canada sta caricando tariffe enormi per i nostri agricoltori, lavoratori e società statunitensi, ho incaricato i nostri rappresentanti degli Stati Uniti di non approvare il comunicato”.
Trump mandava tutto all’aria definendo il padrone di casa un "debole e disonesto", il suo consigliere economico Larry Kudlow rincalzava con “Trudeau ci ha pugnalato alla schiena”, si è comportato “come una canaglia”. Le pesanti offese personali lanciate contro il premier canadese in termini diplomatici potrebbero da sole giustificare la rottura delle relazioni tra i due paesi. Nel confronto fra paesi imperialisti il Canada è certamente più debole degli Usa e Trudeau incassava senza batter ciglio. Eppure neanche 24 ore prima, dopo l'incontro bilaterale, il presidente americano aveva sostenuto che le relazioni tra i due paesi andavano a gonfie vele, come non mai, che stavano lavorando con molti progressi “per ridurre le tariffe” e annunciava una revisione del NAFTA, l'accordo commerciale che lega Usa, Canada e Messico: “il NAFTA avrà una forma diversa. Potrebbe essere con il Canada, con il Messico, ma uno contro uno. Un accordo molto più semplice. Molto più facile da fare. Penso meglio per entrambi i paesi”, soprattutto per l'imperialismo americano che può modificarlo ampliando i suoi vantaggi.
Trump non solo dava ordine di levare la firma dalla dichiarazione finale dei leader del G7 e ma apriva anche un altro capitolo della guerra commerciale col resto del mondo: “ora valutiamo dazi sulle auto che invadono il mercato americano”. Mettendo ancora una volta sotto i piedi le regole commerciali del Wto e infischiandosene della prospettata riforma dell'organizzazione mondiale del commercio avanzata da Macron e accettata dai partner imperialisti, Usa compresi, a Charlevoix. Trump spostava un passo ancora più avanti lo scontro commerciale con la Ue, e soprattutto con Germania, Francia e Italia, minacciando di colpirle in maniera in un settore come quello dell'esportazione delle auto che vale oltre dieci volte di più di acciaio e alluminio.
Se la cancelliera tedesca Angela Merkel si limitava a dire, attraverso il portavoce del governo Steffen Seibert che “la Germania sostiene la dichiarazione finale concordata”, era il ministro degli Esteri Heiko Maas a sparare, sempre con un tweet, contro Trump accusato di aver “distrutto la credibilità del G7” e a chiamare alla compattezza i partner imperialisti europei: “questo rende ancora più importante che l'Europa sia unita e difenda i suoi interessi in modo ancora più deciso. Europa unita è la risposta ad America First”. Anche il presidente francese Emmanuel Macron non rispondeva direttamente al collega americano ma con una nota dell'Eliseo che definiva “incoerente” e “inconsistente” il voltafaccia del capo della Casa Bianca e sosteneva che “la cooperazione internazionale non può dipendere da scatti di rabbia e da parole buttate lì”.
Non soddisfatto, il presidente americano chiudeva la serie dei commenti con un ultimo tweet diretto significativamente ancora contro la guida della Ue, la Germania: “la Germania paga l'1% (lentamente) del PIL verso la Nato, mentre noi paghiamo il 4% di un PIL molto più grande. Qualcuno crede che abbia senso? Proteggiamo l'Europa (che è buona) con una grande perdita finanziaria, e poi veniamo ingiustamente stroncati sul commercio. Il cambiamento sta arrivando!”.
La voglia di Trump di far saltare il banco era evidente anche nel caso dei rapporti con la Russia. Il senato americano aveva appena approvato una proposta proveniente dalla Polonia di stanziare a proprie spese una nuova brigata corazzata in funzione antirussa alzando il livello dello scontro tra Washington e Mosca e Trump con una faccia tosta senza pari si presentava a Charlevoix e perorava la riammissione della Russia al G7, da cui era stata esclusa nel 2014 dopo l'invasione della Crimea. L'Ue respingeva la proposta americana, dato che punta a mettere le mani sull'Ucraina, quantomeno affiancando la Casa Bianca nel controllo su Kiev e deve vedersela con Putin, che si è ripreso la Crimea e non molla le regioni orientali; in questo gioco la Ue usa le sanzioni economiche contro Mosca. Sanzioni, il cui rinnovo sarà deciso il 28 giugno a Bruxelles, che la Merkel interpreta secondo gli interessi imperialisti tedeschi e che infatti non toccano gli interessi russo-tedeschi del gasdotto Nord Stream nel centroeuropa, ma questi sono altri affari.
L'abbocco di Trump era colto al volo dal premier fantoccio italiano Giuseppe Conte che aderiva alla proposta del reintegro della Russia nel G7, salvo rimangiarsela poche ore dopo in seguito all'incontro convocato da Macron, con Merkel e May, per “riforgiare il fronte europeo”. I quattro paesi europei concordavano nel sostenere che la Russia potrà tornare al tavolo del G7 solo dopo “progressi” sulla crisi ucraina. Macron alla vigilia del vertice aveva sostenuto che “i leader non devono avere paura di raggiungere accordi senza il presidente Usa”, prospettando l'isolamento e la sconfitta di Trump. Non è andata come voleva.
Soddisfatto invece il presidente del consiglio italiano per i complimenti di Trump al governo nero fascista e razzista Salvini-Di Maio e per l'invito alla Casa Bianca: “con il Presidente Donald Trump abbiamo avuto un colloquio cordiale, si è mostrato contento che due nuove forze politiche abbiano ricevuto un consenso elettorale e siano riuscite a formare un governo. All'esito di questo colloquio, il Presidente Trump mi ha invitato a Washington”.
“Non abbiamo mai chiesto di essere riammessi” al G7, rispondeva da Mosca il ministro degli Esteri Serghei Lavrov, “lavoriamo molto bene in altri formati come l'Ocs, il Brics, soprattutto il G20, dove condividiamo le nostre posizioni. Al G20 gli ultimatum non bastano, bisogna trovare gli accordi. Il G20 è un meccanismo per il consenso e credo che sia il formato con maggiori prospettive future”.
Intanto a Pechino Xi Jinping e Vladimir Putin sigillavano con accordi per un valore di 2,6 miliardi di euro e un fondo di investimenti da circa 1 miliardo la cooperazione tra i due paesi. Una cooperazione che per Xi è “matura, risoluta e stabile”, “la più profonda, strategica e significativa relazione tra le potenze del mondo”. “Aldilà dei cambiamenti della situazione internazionale, Cina e Russia si spalleggeranno sempre nella difesa dei rispettivi interessi”, interessi imperialisti in rotta di collisione con quelli degli Usa, garantiva il presidente cinese. Di seguito Xi e Putin partecipavano al vertice nella città costiera di Qingdao dell'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (Ocs) cui si sono recentemente aggiunte anche India e Pakistan e che hanno in lista di attesa Iran e Turchia tra le altre; per volume di mercato l'Ocs ha già superato il G7.
La corrente della borghesia americana che Trump rappresenta vuole ripristinare la supremazia dell'imperialismo americano anche in campo economico, oltre che a mantenere quello militare a suon di bombe; per raddrizzare il conto economico degli scambi commerciali col resto del mondo, tuttora ampiamente negativo per gli Usa, la soluzione scelta dalla Casa Bianca è quella di ridiscutere gli accordi multilaterali in essere e sostituirli con nuove intese bilaterali dove ovviamente parte da posizioni di forza grazie alla sua potenza economica e che trova pane per i suoi denti al massimo in una rivale, la Cina di Xi. Una linea che prevede che gli accordi commerciali si disdicono, come quello transpacifico, o se ne minaccia il superamento come nel caso del Nafta con Canada e Messico proponendo guarda caso due intese bilaterali. Le organizzazioni economiche come il G7 si possono demolire magari con una sceneggiata come quella preparata da Trump per il vertice canadese: varare dazi non economicamente rilevanti ma politicamente significativi dell'inizio di vere guerre commerciali, come quelli su acciaio e alluminio, verso i partner che si appresta a incontrare dichiarandosi nel contempo disponibile a continuare il negoziato per toglierli; al vertice concordare un compromesso e stracciarlo dopo poche ore dopo con un semplice messaggino; recitare la parte di chi si trova al di sopra di tutti arrivando in ritardo alle riunioni e andandosene prima della fine in segno di disprezzo verso i partner che ha già definito succhiasangue ingrassati dagli accordi commerciali favorevoli concessigli dalle precedenti amministrazioni Usa.
Il tweet che ha silurato gli esiti del vertice del G7 di Charlevoix non è quindi giunto inaspettato ed è al contempo una bomba lanciata in particolare contro gli alleati imperialisti della Ue, e fra questi alla Germania che è la più importante concorrente economica. Le spallate di Trump incrinano il fronte dei paesi imperialisti occidentali mentre Xi e Putin rafforzano quello guidato da questi ultimi in Asia.

13 giugno 2018