Lo certifica il rapporto Sipri
I paesi imperialisti si riarmano in vista di una guerra
Usa e Cina in testa. In Italia la spesa militare è realmente al 12,1%

 
Secondo un nuovo studio pubblicato dall’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma (Sipri), le spese militari globali tornano ad aumentare dopo quasi un decennio; stallo riconducibile soprattutto alle ristrettezze economiche della crisi globale capitalistica esplosa nel 2008. Nel 2017 gli investimenti in armamenti sono cresciuti a livello mondiale di oltre un punto percentuale raggiungendo i 1.700 miliardi di dollari, equivalenti a una spesa annua di 230 dollari per ogni singolo abitante del pianeta.

Il business mediorientale
La Nato ed i Paesi aderenti spendono oltre la metà di queste risorse pubbliche, ma il record per Stato rimane saldamente in mano agli USA, titolari di circa un terzo dell’ammontare totale nonostante ancora non si sia concretizzato l’ulteriore aumento del 18% deciso da Trump per l’anno fiscale corrente. Secondo il rapporto, il Medioriente rappresenta il principale centro di profitto per le industrie armiere anche in questa fase di altalenante andamento dei prezzi petroliferi ed è evidente come le nuove rotte dei commerci militari si dirigono sempre più verso quest’area del mondo ( +19% l’Iran, +22% l’Iraq, +10% la Turchia e +5% Israele); rimane in escalation continua l'Arabia Saudita, da anni in guerra in Yemen e principale importatore di armamenti occidentali, stavolta con un aumento annuo del 9%, per una spesa totale che supera il 10% del Pil nazionale che posiziona i sauditi al terzo posto nella classifica mondiale dopo Stati Uniti e Cina, scalzando la Russia dal podio.

Il momentaneo arretramento della Russia
Proprio l’arretramento della Russia è certamente uno dei dati più significativi del documento; Mosca ha diminuito le spese per il suo esercito per la prima volta dal 1998, con un calo secco del 20 per cento. Seppur alcuni ricercatori strizzino l'occhio al nuovo zar Putin sostenendo che la riduzione delle spese è dovuta ragionevolmente ai problemi economici che il Paese vive dal 2014 (come se il Cremlino dirottasse allo stato sociale questo “recupero”), rimangono ben 66,3 i miliardi di dollari annui che la Russia impiega in armamenti e missioni imperialiste all'estero, dalla Siria al Circolo Polare Artico. Se da un lato questo dato potrebbe ridimensionare i timori dell’Alleanza atlantica sulla reale ampiezza del riarmo russo, dall’altro esso contribuisce indirettamente a quello, inarrestabile, dei paesi dell’est e baltici, che “vantano” aumenti annui della spesa militare che vanno dal 50% della Romania al 21% di Lettonia e Lituania fino al 12% della Bulgaria, con la Polonia confermata maggior investitore militare dell’area.

I dati del riarmo europeo
Venendo all’Europa occidentale, le spese militari calano leggermente in Francia (-2%), che pur rimane in pieno riarmo poichè nel 2017 è diventata il sesto paese al mondo nelle spese di settore. Parigi tuttavia, con un plafond attuale di 57,8 miliardi di dollari di budget per la difesa pari al 2,3% del suo Pil, ha intrapreso nuovi piani di ammodernamento tecnico dell’arsenale fino al 2025, attraverso i quali rispetterà la direttiva della NATO che vorrebbe il mantenimento in spese militari al 2% per tutti i paesi aderenti. Rimane tendenzialmente stabile la Gran Bretagna, mentre le spese militari aumentano in Spagna (12%) e Germania (3,5%).

Il rafforzamento militare italiano targato Renzi e Gentiloni
In Italia le spese aumentano dell’1%, raggiungendo i 26 miliardi di euro, ovvero l’1,5% del Pil. Un dato che conferma sostanzialmente i risultati e le cifre del recente studio dell’Osservatorio Milex della Rete Disarmo, e che rafforza la tendenza degli ultimi anni (+13% circa dal 2015); il nostro paese rimane infatti tra i primi 15 paesi al mondo per spesa militare, al 12° posto per la precisione, più in alto rispetto a grandi Paesi NATO come il Canada (1,3%), Germania, Olanda e Spagna (entrambe 1,2%), Belgio (0,9%).

Africa, Asia ed America Latina confermano il boom mondiale
Preoccupante suona il dato africano, terra falcidiata dal colonialismo, dalle guerre d’interesse e dalla rapina occidentale delle grandi risorse naturali, dove si registrano aumenti annui delle spese militari in Paesi che versano già in gravi condizioni di povertà come il Gabon (+42%), il Benin (+41%), il Sudan (+35%), il Mali (+26%) il Burkina Faso (+24%) il Niger (+19%) e il Ghana (+15%). Per quanto riguarda il Sud America, si registrano spese militari in crescita in Venezuela (+20%) Argentina e Bolivia (entrambe +15%) e Brasile (+6%). In Asia gli aumenti più significativi si hanno in Cambogia (+21%) e nelle Filippine (+20%) ma la Cina balza in classifica divenendo la seconda potenza mondiale per volumi dopo gli USA, con una spesa di 228 miliardi di dollari (+5,5%) in costante aumento, e intende investire ancora. Al pari, +5,5%, c’è anche l’India che ha piani molto ambiziosi poiché il nuovo regime induista di Narendra Modi intende passare da essere il principale importatore (ad oggi viene acquistato principalmente da USA ed Israele il 65% delle armi in dotazione all’esercito indiano) a esportatore di armamenti, attraverso il programma governativo “Make in India” per l’innovazione del suo sistema produttivo. In ultimo, non fornisce i dati la Corea del Nord, nel 2017 particolarmente attiva nei test missilistico-nucleari prima dell’attuale fase di distensione con la Corea del Sud.

Il riarmo globale e le nuove guerre
“Siamo di fronte al pericolo di un terzo conflitto mondiale e i grandi Paesi si stanno preparando alla guerra con massicci investimenti in armamenti. È giunto davvero il momento che le popolazioni facciano sentire la loro voce”, osserva nella sua dichiarazione conclusiva del Global day of Action on Military Spending 2018. Nella sostanza, nella loro denuncia le associazioni per il disarmo alle quali in questa analisi ci uniamo, sostengono che “i fondi attualmente destinati a usi militari devono essere urgentemente reindirizzati verso il soddisfacimento dei veri bisogni umani, per ridurre le disuguaglianze, per eliminare le ingiustizie energetiche, per cancellare le cause che stanno spingendo la massiccia crisi di rifugiati e sfollati, per implementare regolamenti globali di mercato basati sulle persone e per costruire un mondo pacifico”. Noi sappiamo che ciò potrà realizzarsi pienamente solo nel socialismo, tuttavia, nell'immediato, non possiamo non appoggiare tali rivendicazioni, compresa quella che vorrebbe “come primo passo”, una riduzione del 10% della spesa militare in tutti i Paesi e le Alleanze, a cominciare dalla Nato, al fine di uno spostamento di questi fondi verso i veri bisogni umani e obiettivi sostenibili.
È vero che, come sostiene anche la Rete Italiana per il Disarmo, gli affari di guerra sono centrali nel capitalismo e si basano sul commercio di armi e sulla ricerca globale di strutture di potere e dominio che provocano morti civili, conflitti degradanti, sfruttamento predatorio del pianeta e contribuiscono attivamente al cambiamento climatico. È altrettanto chiaro che la produzione e la vendita di armi è un affare molto redditizio per i capitalisti anche se semina morte e distruzione, mentre l’acquisto di armi sottrae denaro da obiettivi positivi centrati sulle esigenze umane che però i governi non hanno nelle loro priorità. Il riarmo globale però ha un unico grande messaggio che deve far riflettere tutti: le armi acquistate vanno usate, altrimenti come potrebbe l'industria armiera fare in futuro nuovi profitti? Ecco dunque il mondo, quasi per il suo intero, attendere o correre incontro a nuove guerre imperialiste, sulla pelle delle solite popolazioni incolpevoli quanto inermi.
 

4 luglio 2018