Accordo unanime del Consiglio europeo. Conte minaccia il veto ma poi si allinea
L'UE blinda le frontiere esterne e interne per impedire ai migranti di raggiungere l'Europa
L'imperialismo europeo potenzierà la politica di difesa (interventismo e neocolonialismo) accrescendo la sua autonomia strategica nel quadro della Nato

 
Date le premesse del fallimento del summit europeo informale sui migranti di Bruxelles del 24 giugno solo la consumata esperienza della cancelliera Angela Merkel, stretta dalla necessità di portare a casa un risultato per sedare la spinta alla rottura della coalizione di governo dei democristiani bavaresi della Csu, pare sia stata in grado di portare a un accordo unanime al Consiglio del 28 e 29 giugno; un accordo con pochi punti concreti ma comunque lo stesso significativo e costruito seguendo la posizione di destra a conferma della politica della Ue imperialista di blindatura delle frontiere esterne e interne per impedire ai migranti di raggiungere l'Europa. Il documento finale del vertice più che mai è espressione di un equilibrismo ipocrita tra le esigenze imperialiste dei singoli paesi, ciascuno dei quali può tirarlo dalla propria parte per continuare a alimentare una inammissibile campagna razzista e xenofoba; financo l'Italia col primo ministro Giuseppe Conte impegnato nella pantomima di minacciare il veto sulla seconda rata da versare alla Turchia senza contropartite all'Italia sul fronte migranti e sull'intero capitolo migranti per poi allinearsi e sostenere che l'intesa è positiva all'80%.

Esulta il gruppo razzista e xenofobo di Visegrad
Il segno politico del Consiglio europeo di Bruxelles di fine giugno è sintetizzato dal giudizio dei paesi guidati dai governi fascisti del gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia), quelli ammirati assieme all'austriaco di Sebastian Kurz dal fascio-leghista Matteo Salvini, che hanno inneggiato al loro successo perché come volevano sarà rafforzata la protezione delle frontiere, la redistribuzione dei rifugiati sarà solo volontaria e bloccata di fatto ogni riforma dell'accordo di Dublino dato che i meccanismi sulla gestione dei migranti e dei rifugiati potranno essere cambiati solo all'unanimità e non a maggioranza qualificata come previsto.
Secondo il presidente del consiglio europeo, il polacco Donald Tusk, “per quanto riguarda il nostro accordo sulla migrazione, è troppo presto per parlare di un successo”, affermava al termine del vertice, sarà determinante l'applicazione dell'accordo. Che intanto comunque prevede, come deciso nel minivertice del 24 giugno, il rafforzamento di Frontex per migliorare il presidio militare delle frontiere esterne; sblocca il pagamento della seconda rata di 3 miliardi di euro a favore della Turchia del fascista Erdogan, il cane da guardia per conto della Ue che chiude ai migranti la rotta balcanica; decide il rafforzamento del sostegno dell'Ue alla guardia costiera libica che svolgerà lo stesso ruolo nel Mediterraneo centrale, così come ai paesi del Sahel per bloccare ancora prima i flussi dei migranti, finanziandoli con altri 500 milioni di euro tolti dai fondi destinati allo sviluppo e dirottati sul Fondo fiduciario dell'Ue per l'Africa, creato per quello scopo. “Oltre a ciò - sottolineava Tusk - abbiamo inviato un chiaro messaggio a tutte le navi che operano nel Mediterraneo, comprese quelle delle ONG, che impone loro di rispettare la legge e di non ostacolare le attività operative della guardia costiera libica”. Un chiaro messaggio alle associazioni umanitarie a levarsi di torno dal Mediterraneo centrale e lasciare il campo a navi militari europee, inquadrate nell'operazione navale “Sophia Eunavformed”, e alla famigerata guardia costiera libica per bloccare i gommoni dei migranti, la cui costituzione è stata un fiore all'occhiello del precedente governo e in particolare della coppia Gentiloni-Minniti.

Blindate le frontiere esterne e interne
L'obiettivo della Ue è quello inutilmente perseguito finora di blindare le frontiere esterne, che non potrà essere raggiunto fintanto continuerà la pressione dei migranti e dei profughi generati dalla povertà e dalle guerre di cui i ricchi paesi capitalisti sono corresponsabili. Segnalava l'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) di Ginevra, l’Agenzia delle Nazioni Unite per la Migrazione, che nella seconda metà di giugno sono cresciuti gli sbarchi dei migranti in maniera significativa in Spagna e in parte in Grecia, che resta il paese col numero maggiore di migranti in arrivo, e calano in Italia a conferma che se sono più difficili le partenze dalla Libia, i flussi migratori trovano facilmente un'altra strada; se si attuano i blocchi in mare aumentano le vittime, come denunciava una Ong spagnola la cui nave Open Arms interveniva recuperando 16 migranti, i soli sopravvissuti di una imbarcazione al largo di Al-Khums, vicino alla costa di Tripoli che ne portava 120 e che “avrebbe potuto salvarli se il suo appello non fosse stato ignorato dalla Guardia costiera italiana e da quella libica”.
Sul tema migranti l'altro capitolo del documento che Tusk sottolineava riguarda l'accoglimento della “proposta franco-italiana relativa a centri sorvegliati nel territorio dell'Ue, nei paesi disposti ad istituirli. Tutte le misure nel contesto di questi centri, ricollocazione e reinsediamento compresi, saranno attuate su base volontaria”. Tutti i lager camuffati da centri di accoglienza vanno chiusi ma tanto per dare un segno di come sul tema i paesi imperialisti giochino sporco sulla pelle dei migranti basta ricordare che la proposta evidenziata da Tusk è su base volontaria e quindi inefficace, che non sarà applicata neanche dai due paesi promotori: il presidente francese Macron precisava che i centri andavano fatti nei paesi di primo arrivo e la Francia non lo è mentre Conte ripeteva che l'Italia dice no a nuovi centri di accoglienza volontari per migranti, pur gestiti e finanziati dall'Unione europea per distinguere chi avrebbe diritto all'asilo da chi non lo ha, secondo Dublino. Insomma i centri li facciano gli altri.
Lo stesso principio vale per i profughi raccolti in mare, da chi è autorizzato, dato che il documento prevede che “sul territorio dell'Ue chi viene salvato secondo il diritto internazionale debba essere preso in carico sulla base di uno sforzo condiviso, attraverso il trasferimento in centri controllati istituiti in alcuni Stati membri, solo su base volontaria”. Il superamento del criterio di paese di primo arrivo, chiesto dall'Italia, è affidato ai paesi volenterosi che al momento non si vedono. Ancora più difficili le intese per controllare i movimenti interni come voleva la Germania; saranno oggetto di accordi fra i paesi.
Sono certi invece il piccolo passo in avanti sull'unione bancaria e quello ben più pesante sulla politica militare. Nel campo dell'integrazione economica e finanziaria l'Ue procederà sulla strada del completamento dell'Unione bancaria assegnando al Meccanismo europeo di Stabilità (Esm), il cosiddetto Fondo salva stati creato provvisoriamente nel 2012 per aiutare inizialmente Portogallo e Irlanda in crisi finanziaria, il ruolo istituzionalizzato di paracadute del Fondo europeo di risoluzione bancaria (Srf), chiamato anche fondo salva banche. L'imperialismo europeo fa progressi anche per quanto riguarda lo sviluppo della politica di difesa, che vuol dire interventismo e neocolonialismo, realizzata accrescendo la sua autonomia strategica pur nel quadro della Nato.

Potenziato l'interventismo imperialista della UE
L'aspetto dello sviluppo della politica militare della Ue imperialista è finito quasi sottotraccia nei resoconti del vertice ma non è da sottovalutare, piuttosto è da evidenziare che negli ultimi vertici i 28 paesi con regolarità fanno passi avanti in quella che è definita la Pesco, la cooperazione strutturata permanente istituita l'11 dicembre 2017 e avviata con la realizzazione di una lista iniziale di 17 progetti che per ora riguardano settori quali “la formazione, lo sviluppo di capacità e la prontezza operativa nel settore della difesa”; un elenco che il vertice ha deciso di rimpolpare con altri progetti da varare alla prossima riunione di novembre.
Perché, come recita il documento finale, “l'Europa deve assumersi maggiori responsabilità per la sua stessa sicurezza e rafforzare il proprio ruolo di attore e partner credibile e affidabile nel settore della sicurezza e della difesa. L'Unione sta pertanto predisponendo misure per potenziare la difesa europea, incrementando gli investimenti nel settore, lo sviluppo delle capacità e la prontezza operativa. Queste iniziative accrescono la sua autonomia strategica integrando e rafforzando, nel contempo, le attività della NATO”. La cooperazione Ue-Nato resta più che valida, come testimoniato dall'intervento del segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ai lavori del pomeriggio del 28 giugno, ma diversi paesi europei pensano anche a altro.
Due giorni prima, il 25 giugno 2018 a Lussemburgo, a margine della riunione dei ministri degli Esteri europei, i rappresentanti di nove paesi firmavano una lettera di intenti per dar vita a una “forza autonoma di difesa” a fronte del prospettato disimpegno degli Usa di Trump. L'idea era stata avanzata da Macron nel suo discorso alla Sorbona del 26 settembre 2017 e rilanciata, nella dichiarazione di Meseberg del consiglio dei ministri franco-tedesco dello scorso 19 giugno, da Francia e Germania come un tassello della “cooperazione permanente per la sicurezza”, prevista dal Trattato di Lisbona, e per la costituzione di un sistema integrato di difesa comune per i Paesi Ue; da sottolineare che tra i nove paesi (Francia, Germania, Gran Bretagna, Belgio, Danimarca, Olanda, Estonia, Spagna e Portogallo) figura persino Londra, che a breve lascerà l'Ue in seguito alla Brexit, con quale veste vedremo dato che finora i governi inglesi, laburisti o conservatori senza distinzione, avevano ostacolato il progetto militare autonomo europeo e fatto da quinta colonna per conto degli Usa; lo stesso dicasi per la Danimarca. L'Italia, che col governo Gentiloni aveva dato la disponibilità a partecipare, non c'è.
Il ministro della Difesa Elisabetta Trenta a fronte del progetto ha preso tempo, diceva, per capire la complementarietà tra la proposta francese, la Pesco e la Nato. Ma non solo. Nella mozione approvata al Senato il 27 giugno, al termine del dibattito sul vertice di Bruxelles e presentata congiuntamente dal leghista Massimiliano Romeo e dal capogruppo M5S Stefano Patuanelli, si chiarisce quanto espresso dal primo ministro Conte sullo “stretto legame” con la Nato della Ue e dell'Italia in particolare, quando si afferma tra le altre che “è importante che il rafforzamento delle capacità dell'Unione europea in campo militare sia prioritariamente discusso con gli Stati Uniti per incrementarne la cooperazione multilaterale” e si impegna il governo a “non sostenere alcun tentativo di promuovere progressi dell'integrazione europea nel campo della politica di difesa che sia suscettibile di compromettere la solidità dell'Alleanza Atlantica e di allentare i rapporti con gli Stati Uniti”. La proposta della forza autonoma europea ta chi ci sta è venuta da Macron a sostegno delle sue ambizioni di leadership nel continente ma a quanto pare Conte e il duo dei ducetti Salvini-Di Maio non l'hanno bocciata solo per antipatia personale. Vedremo.

Il ruolo dell'Italia
Nella comunicazione del Presidente del consiglio dei ministri del 27 giugno al Senato, in vista del Consiglio europeo, Conte sottolineava anzitutto “quel cambiamento, nel metodo e nella sostanza, che mi sono impegnato a proporre in tutti i contesti internazionali ed europei, con la forza e la consapevolezza di un Governo che in Europa parla con una voce sola, ferma e risoluta”. A dire il vero le voci sarebbero almeno tre e la sua non è la più autorevole; sull'argomento migranti è più appariscente quella di Salvini, condivisa da Di Maio, che già il 21 giugno aveva ringhiato: “il presidente del Consiglio andrà domenica a Bruxelles e giovedì prossimo a Bruxelles. O c'è una proposta utile a difendere i confini, la sicurezza, i rifugiati veri, oppure diciamo no, oppure osiamo dire no”. Gonfiava il petto alla Mussolini e alla fascista maniera trovava velocemente una via di uscita per non battere la testa nel muro e dichiarato che “penso che troveremo un accordo soddisfacente sulla protezione delle frontiere esterne”, quello già chiaramente possibile. Al minivertice del 24 giugno non era previsto nessun accordo e Conte se la cavava, a quello a ranghi completi sosteneva di aver battuto i pugni sul tavolo, minacciato il veto e rimandata la firma del documento finale ma alla fine si allineava ai partner.
In Senato, Conte presentava pomposamente il piano in dieci punti del suo governo, “l'European multilevel strategy for migration: una proposta articolata, organica, basata su un nuovo approccio, che consenta all'Europa di uscire da una gestione intesa in base a una logica emergenziale e di entrare, invece, in una nuova dimensione, che prevede una gestione basata su una logica strutturale, da riconoscere definitivamente come priorità dell'Unione europea”. Portava a casa il riconoscimento esplicito della solidarietà della Ue all'Italia esposta in prima linea nel Mediterraneo centrale ma sui dieci obiettivi registrava tre secchi no: alla modifica del regolamento di Dublino, firmato peraltro dal governo Berlusconi e dalla Lega, al superamento del criterio di paese di primo arrivo dei profughi con gli obblighi di gestione conseguenti e alla creazione di centri di protezione nei paesi di transito, che erano presenti nel documento finale ma solo come soluzioni “su base volontaria”. La Ue non potrà imporlo all'Italia, sottolineava Conte per difendersi dall'accusa di aver portato poco a casa ma la questione era che Roma voleva che i centri fossero aperti in altri paesi, e non lo è. Gli altri sette punti vertono sui vari aspetti della blindatura delle frontiere, in linea con la discussione in corso.
Sulla modifica del regolamento di Dublino Conte sosteneva che è stato inserito nelle conclusioni per iniziativa dell'Italia, non c’era nelle prime bozze, poco gli importa in fatto che la gran parte dei Paesi è contraria. Tanto gli basta invece per ostentare soddisfazione e rivelare che il 30 luglio al presidente Donald Trump “racconterò il nuovo approccio che abbiamo portato in Europa. Abbiamo, se mi permettete, lo dico con falsa modestia, rivoluzionato il tavolo”. A Bruxelles tremano ancora.
Conte era partito lancia in resta anche il 27 giugno in Senato quando aveva dichiarato che “l'Italia, con il suo apporto sui vari temi, in special modo in tema di immigrazione, può contribuire a rendere questo appuntamento uno spartiacque, un punto di svolta e di cambiamento per l'Europa”; rincalzato in aula dal ministro per gli affari europei Paolo Savona, il “demolitore” della Ue che citava tra i suoi maestri Carlo Azeglio Ciampi, secondo il quale in Europa “stiamo scrivendo una nuova storia”. Al momento resta la “vecchia” storia della Ue imperialista che blinda le sue frontiere pur essendo sotto pressione dei colpi sempre più pesanti che riceve dall'alleato-concorrente dell'altra parte dell'oceano Atlantico, gli Usa di Trump, e delle contraddizioni interimperialiste fra i governi dei partner comunitari dove dilagano, nazionalismo, razzismo e xenofobia; l'opposto di quella spacciata da Conte secondo il quale “da questo vertice esce un'Europa più responsabile e solidale”.

4 luglio 2018