Nel silenzio di Salvini
Continua la caccia delle procure ai quasi 49 milioni che la Lega ha fatto sparire
Si tratta di rimborsi elettorali rubati

Nonostante sei anni di indagini da parte di ben quattro procure e due sentenze di condanna per appropriazione indebita, i 48 milioni e 970 mila euro che la Lega di Bossi, Maroni e Salvini hanno rubato al popolo italiano sotto forma di rimborsi elettorali tra il 2008 e il 2010 rischiano di passare in cavalleria grazie soprattutto al connivente silenzio dell'attuale caporione fascio-leghista, vicepremier e ministro degli Interni Matteo Salvini.
La caccia degli inquirenti al malloppo leghista inizia il 23 gennaio 2012 quando un militante della Lega si presenta in procura a Milano con in mano un esposto di poche righe in cui sono elencate una serie di spese personali e investimenti finanziari truffaldini effettuati dai vertici del partito nel corso degli anni.
Al centro del malaffare leghista c'è l'ex tesoriere Francesco Belsito, un genovese dalla carriera politica folgorante: giovane di Forza Italia, poi autista di Alfredo Biondi, quindi sottosegretario con delega per la Semplificazione normativa sotto l’ultimo governo Berlusconi e infine vicepresidente del Cda di Fincantieri in quota Lega.
È proprio Belsito che tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012 occulta i fondi dei rimborsi elettorali leghisti in vari conti correnti all'estero, fra cui Cipro, e ricicla un'altra parte del denaro pubblico in lingotti d’oro e diamanti in Tanzania.
Per competenza territoriale una parte dell’inchiesta aperta a Milano viene trasferita alla Genova e Belsito viene indagato anche delle procure di Napoli, impegnata nell’inchiesta sulla P4, e Reggio Calabria che ha in mano un fascicolo su reati legati alla ‘ndrangheta.
La prima sentenza è del tribunale di Milano. Il 10 luglio 2017 Umberto Bossi e il figlio Renzo, il “trota”, vengono condannati per appropriazione indebita per aver utilizzato i rimborsi elettorali della Lega per comprarsi macchine, abbigliamento, gioielli e lauree.
Due settimane dopo, a Genova, arriva un'altra condanna: Bossi, Belsito e gli ex revisori dei conti Stefano Aldovisi, Diego Sanavio e Antonio Turci sono giudicati colpevoli della maxi truffa sui rimborsi elettorali versati al partito in riferimento agli anni dal 2008 al 2010. Le spese folli e illegali della famiglia Bossi e di Belsito, dicono i giudici, sono state fatte coi rimborsi elettorali quantificati in oltre 49 milioni.
La caccia vera e propria al malloppo leghista inizia due mesi dopo col tribunale di Genova che, su richiesta del pubblico ministero Paola Calleri, autorizza il sequestro dei 49 milioni. Ma nelle casse di Via Bellerio ormai vuote i magistrati trovano soltanto 3 milioni e poco più. Per il resto la procura ottiene dalla Corte di Cassazione l'autorizzazione a sequestrare tutti i soldi che entreranno in futuro nei conti leghisti fino a raggiungere i 46 milioni mancanti e, in via cautelare, i magistrati chiedono ai condannati Bossi, Belsito, Aldovisi, Sanavio e Turci di restituire personalmente tutto il maltolto.
Una mossa che lo scorso 28 dicembre induce uno dei tre ex revisori leghisti, Stefano Aldovisi, a presentare un esposto alla procura genovese in cui invita gli inquirenti a verificare tutta una serie di movimenti e investimenti finanziari compiuti anche all'estero dalla Lega subito dopo l'uscita di scena del “cerchio magico” bossiano e che abbraccia sia il periodo di reggenza a guida Maroni che, soprattutto, durante l'attuale segreteria Salvini.
Dall’esposto nasce a gennaio l’apertura di una nuova inchiesta per riciclaggio.
Dai primi accertamenti è emerso che, ad esempio, nel 2016 dieci milioni partono da un conto di “transito” della banca Sparkasse di Bolzano, uno degli istituti scelti dai vertici leghisti, in direzione del Lussemburgo per approdare sul conto di Pharus Management, fondo di investimento collettivo con sede nel granducato. Poco meno di due anni dopo, nel gennaio del 2018, tre di quei milioni compiono il percorso inverso per rientrare nei depositi della banca.
Nelle settimane scorse, mentre la procura chiede una rogatoria al Lussemburgo, la Guardia di Finanza di Genova procede al sequestro di vari documenti nel palazzo di Sparkasse di via Cassa di Risparmio a Bolzano, nella filiale di Milano dove, fino al 2014, la Lega era titolare di un conto, e negli uffici e nelle case di alcuni dirigenti.
Il materiale sequestrato, sperano ora gli investigatori, potrà chiarire molto almeno su una parte dei 46 milioni che la Lega ha fatto sparire e che Salvini si ostina a nascondere.
La verità è che, mentre pubblicamente Salvini fa il pesce in barile e sostiene che le casse di Via Bellerio sono vuote e che quei soldi sono stati destinati a spese di ordinaria gestione, in gran segreto la Lega ha costituito una ragnatela di associazioni per mettere al riparo dal possibile sequestro i milioni di finanziamenti pubblici che riceve.
Il 29 giugno dai microfoni di Radio Capital Salvini ha accettato per la prima volta di parlare della truffa leghista da 48 milioni per dire semplicemente che “I soldi non ci sono... Fate inchieste su cose vere, non perdete il vostro tempo. Quei soldi sono stati spesi in dieci anni”.
In realtà le cose stanno in maniera molto diversa. Da anni Salvini giura di non aver mai visto un solo spicciolo di quella somma. Ma dimentica il fatto, come si evince dall'inchiesta pubblicata su L'Espresso del 2 ottobre 2017, che tra la fine del 2011 e il 2014, prima Maroni e poi lui stesso hanno incassato i rimborsi elettorali frutto del reato commesso dal loro predecessore. E lo hanno fatto quando ormai era nota a tutti l’indagine su Bossi e Belsito. Il primo luglio 2012 - la notizia dell’inchiesta è già di dominio pubblico - Maroni viene eletto segretario del partito. Da allora alla fine del 2013 incasserà bonifici per un totale di 12,9 milioni di euro. Tutti rimborsi relativi a elezioni comprese tra il 2008 e il 2010, quelle della truffa. Con l’arrivo di Salvini in segreteria - dicembre 2013 - cambiano solo le cifre. Un mese e mezzo dopo la richiesta di rinvio a giudizio per Bossi, l’attuale ministro incassa infatti 820mila euro di rimborsi per le elezioni regionali del 2010. Infine - solo venti giorni dopo l’annuncio di costituirsi parte civile contro Bossi e Belsito - Salvini ritira poco meno di 500 euro di rimborso.
“Perché allora – si chiedono Giovanni Tizian e Stefano Vergine su La Repubblica del 30 giugno – Salvini sostiene che quei soldi non li ha visti? E come mai sotto la sua direzione il partito ha scelto di ritirare la costituzione di parte civile nel processo contro Bossi, atto che avrebbe permesso di chiedere i danni della truffa?”. E infine: “perché da quando i media hanno iniziato a parlare dell’inchiesta per truffa i denari padani hanno iniziato a spostarsi freneticamente da una banca all’altra? Da Banca Aletti a Unicredit, da Unicredit a Sparkasse, da Sparkasse ancora a Unicredit. Il tutto nel giro di quattro anni?”.
La verità è che una buona fetta del malloppo leghista è sparita proprio quando Salvini era segretario. Dal dicembre del 2013 al maggio del 2014 il saldo dei conti bancari leghisti è passato da 14,2 a 6,6 milioni. Una differenza che non si giustifica con la sola acquisizione di obbligazioni societarie (Mediobanca, Arcelor Mittal e Gas Natural) titoli tra l'altro vietati per un partito politico.
Del resto i nuovi tesorieri scelti da Salvini hanno trovato una strada alternativa per continuare a incassare i lauti finanziamenti senza rischiare il sequestro. Nel 2015 hanno fondato l’associazione “Più Voci” balzata recentemente agli onori della cronaca giudiziaria nell'ambito dell'inchiesta sul nuovo stadio della Roma per aver ricevuto, tra gli altri, 250 mila euro dal costruttore in carcere per corruzione Luca Parnasi.
Se a ciò si aggiunge il fatto che “Più Voci” è stata fondata da Giulio Centemero, il giovane commercialista scelto da Salvini come tesoriere del partito insieme ai colleghi Andrea Manzoni e Alberto Di Rubba e che essa ha sede nello studio di questi ultimi, dove sono nate negli ultimi anni parecchie aziende di proprietà ignota e una fitta rete di fiduciarie che passa per la Svizzera e arriva fino al Lussemburgo, allora i magistrati di Genova hanno più di una ragione per credere che l'associazione leghista è stata creata apposta per far sparire parte del tesoro padano frutto della truffa ai danni dello Stato. Sospetti più che fondati a cui però il neo ministro dell’Interno Salvini fino ad ora ha sempre opposto un assordante silenzio.

4 luglio 2018