Il dittatore fascista Erdogan rieletto presidente
L'opposizione denuncia brogli. Il partito filocurdo conquista l'11%

Il 9 luglio è iniziata la “nuova era con Erdogan”, come recita l’hashtag di Twitter lanciato dall’ufficio stampa della presidenza turca, con l'insediamento a Ankara del dittatore fascista, rieletto presidente lo scorso 24 giugno, e che avrà poteri assoluti in base alla nuova costituzione, appositamente modificata nell’aprile del 2017 attraverso un referendum seppur vinto con una maggioranza risicata. Di questi poteri fa parte il mantenimento dello stato di emergenza, dichiarato dopo il fallito golpe del 15 luglio 2016, per riempire le galere di oppositori assieme ai curdi; fra gli ultimi atti della “vecchia” gestione presidenziale c'è stato il licenziamento di altri 18.000 dipendenti pubblici, che si sommano ai precedenti 110 mila, nei due anni di Stato di emergenza.
A rendere omaggio al rieletto dittatore Recep Tayyip Erdogan erano presenti a Ankara fra gli altri lo stretto alleato nel Golfo, il Qatar messo all'indice dalla concorrente Arabia Saudita, e i rappresentanti sia del nuovo amico imperialista, la Russia di Putin, che del vecchio amico imperialista Usa col quale ha recentemente riallacciato i contatti; può fargli comodo tenere i piedi in due staffe per avere intanto una doppia protezione alle sue ambizioni di conquista in Siria. È presente persino Berlusconi, tra dittatori fascisti s'intendono.
I risultati definitivi delle elezioni presidenziali e politiche in Turchia saranno comunicati dalla Commissione elettorale suprema (Ysk) solo il 5 luglio ma già la sera stessa del voto Erdogan annunciava la sua rielezione al primo turno col 53% dei voti validi, pari a oltre 26 milioni di voti, e la vittoria del suo partito, l'Akp (Adalet ve Kalkınma Partisi, il Partito per la giustizia e lo sviluppo) che assieme all'altra formazione di destra dei Lupi grigi conquistava la maggioranza assoluta in Parlamento con circa 340 dei 600 seggi. Come ampiamente previsto, brogli compresi e denunciati senza alcun seguito dai partiti dell'opposizione.
Altro risultato non era immaginabile dato che le elezioni si sono svolte sotto lo stato d'emergenza grazie al quale il regime di Ankara ha spadroneggiato in una campagna elettorale dalla quale erano stati tolti di mezzo gli oppositori politici, come i dirigenti curdi in galera assieme a una folta rappresentanza, almeno 120, di giornalisti non allineati.
L'affluenza alle urne dei quasi 60 milioni di aventi diritto, di cui circa tre milioni all’estero, è stata dell'87%. Erdogan ha vinto la corsa presidenziale pur registrando una perdita di circa il 7% di consensi rispetto le precedenti elezioni del 2015, tengono i partiti di centro coi socialdemocratici del Chp (Cumhuriyet Halk Partisi, Partito popolare repubblicano) il cui candidato alla presidenza Muharrem Ince ottiene poco più del 30% dei voti validi. Resta in parlamento e anzi aumenta il numero dei suoi rappresentanti fino a 74 il partito filocurdo Hdp, il Partito Democratico dei Popoli, che con l'11,7% dei voti validi supera la soglia di sbarramento; l’Hdp è primo partito in almeno undici città del Kurdistan del nord, la regione curda in Turchia, e il suo candidato alle presidenziali Selahattin Demirtas arriva all’8% nonostante una campagna condotta dalla galera dove è stato rinchiuso da Erdogan nel novembre 2016.
 
 

11 luglio 2018