Conte: “Non siamo contro le imprese”
Il “decreto dignità” non abolisce i contratti a termine e non ripristina l'articolo 18
Di Maio: “Taglieremo il costo del lavoro”

Annunciato da tempo e con grande enfasi il 2 luglio è stato approvato dal Consiglio dei Ministri il Decreto Legge “Per la dignità dei lavoratori e delle imprese”. Nella conferenza stampa di presentazione che ne è seguita il Ministro del lavoro e dello sviluppo economico nonché vice-premier Luigi Di Maio ha esordito dipingendo il “decreto dignità” come un “colpo mortale al precariato, che licenzia il Jobs Act”. Certo a demagogia il giovane Di Maio non ha niente da invidiare ai vecchi politicanti del passato anzi, sembra avere una marcia in più. Per definire qualche piccolissimo aggiustamento di preesistenti leggi che regolano il mercato del lavoro come un decreto che ridà dignità al lavoratore e spazza via il precariato occorre una notevole faccia di bronzo.

Solo piccoli ritocchi
Il decreto, che dovrà passare dalle camere per essere convertito in legge, si compone di 11 articoli più uno che ne indica il percorso istituzionale. Il primo stabilisce che le assunzioni a tempo determinato non potranno superare i 24 mesi invece degli attuali 36 e dopo un anno il datore di lavoro è obbligato a indicare una delle causali elencate nel decreto. Non c'è nessuna “rivoluzione”, ma una riduzione della durata massima mentre l'obbligo di causale lascia il tempo che trova poiché nessuno andrà a controllare se l'azienda proroga il contratto per il motivo dichiarato.
Gli articoli che seguono si occupano dell'“indennità” in caso di licenziamento senza giusta causa, quello che ha sostituito l'articolo 18. Non si tocca per niente questa libertà per i padroni di gettare sul lastrico il proprio dipendente ma si alza il rimborso: prima andava da 4 a 24 mensilità, il decreto propone da 6 a 36 mesi. Nel breve periodo non avrà alcun effetto perché per avere il massimo del rimborso servono 12 anni di anzianità (3 mesi di rimborso ogni anno di assunzione) mentre il Jobs Act è entrato in vigore nel 2015.
In un altro articolo si stabilisce che le aziende, ad ogni rinnovo del contratto a tempo determinato si vedranno aumentare gli oneri fiscali dello 0,5%, una norma che cambia poco ma che ha fatto insorgere i rappresentanti padronali. Lamenti che servono solo a ricordare che i padroni aspettano iniziative a loro favore, e di gran lunga molto più incisive di queste. Iniziative che Di Maio ha subito promesso annunciando la necessità di “un abbassamento del costo del lavoro nella legge di Bilancio”.
L'altro tema principale investito dal decreto è quello della penalizzazione in caso di delocalizzazione all'estero. Anche in questo caso si fa una grande demagogia ma di concreto c'è ben poco nonostante il principio di richiedere indietro alle aziende, con gli interessi, gli aiuti di Stato ricevuti. Ma solo se si abbandona l'Italia prima di 5 anni ed esclusivamente in Paesi al di fuori dell'Unione Europea (UE). Solo nei casi “specificamente localizzati” questa regola vale per delocalizzaioni in altri Paesi della UE o di altre parti dello stesso territorio italiano.
Ma come si accertano le infrazioni e come si attuano le sanzioni? Il decreto parla solo di “rispetto dei vincoli definiti da ciascuna amministrazione con proprio provvedimento.... relative alle misure di aiuto di propria competenza”. Lo stesso discorso vale per le penalizzazioni a chi ha ricevuto aiuti di Stato e pur rimanendo in Italia abbassa gli occupati oltre il 10% e il ritiro dei benefici dell'iper ammortamento concesso con generosità ai padroni dai governi Renzi e Gentiloni. Ma i soldi indietro come si ottengono, e i posti di lavoro come si salvano? L'unico modo è quello di sequestrare i beni e nazionalizzare le aziende ma di questo nel decreto non c'è traccia.
Poi ci sono articoli, come quello che vieta la pubblicità del gioco d'azzardo ma su cui lo Stato non rinuncia affatto a incassare miliardi di euro. Nel decreto vi sono anche alcune misure fiscali che sostanzialmente eliminano o ridimensionano redditometro e spesometro, sistemi sicuramente rivedibili ma che servono ad evitare a chi possiede ville e barche di passare per povero. Il governo ha promesso di eliminare del tutto questi sistemi, confermando che non solo la Lega, ma anche il M5S è contro qualsiasi tassazione di tipo patrimoniale.

Non si toccano l'articolo 18 e il precariato
Non importa essere degli esperti di economia o dei giuslavoristi per capire che le misure contenute nel “decreto dignità” non licenziano ma confermano il Jobs Act. L'architrave della controriforma del mercato del lavoro voluta da Renzi, Marchionne e i padroni è stata la cancellazione dell'articolo 18, cioè il licenziamento senza giusta causa, e questo non viene toccato. Si ribadisce invece il concetto contenuto nel Jobs Act per cui il lavoratore può essere licenziato per qualsiasi motivo dietro il rilascio di una piccola mancetta chiamata “risarcimento”. Se si voleva abbattere questa regola, come aveva promesso il ducetto Di Maio durante la campagna elettorale, si doveva rimettere la vecchia legge che prevedeva il reintegro+risarcimento.
Aver ridotto la durata dei contratti a termine e reintrodotto l'obbligo della causale dopo il primo anno significa forse aver dato “un colpo mortale al precariato” come annunciato pomposamente da Di Maio? Nel decreto non c'è nemmeno un accenno alle decine di contratti precari e il lavoro in somministrazione, o lavoro interinale, rimane tale e quale a prima. All'orizzonte invece si staglia di nuovo la reintroduzione dei voucher richiesti a gran voce da Confagricoltura e Lega e che Di Maio e il premier Conte hanno subito promesso di fare.
La questione dei ciclofattorini, o riders è stata invece del tutto eliminata dal “decreto dignità”. A questi lavoratori simbolo del precariato, che rivendicano diritti, un contratto e una reale dignità, Di Maio aveva promesso mari e monti e l'inserimento nel decreto della loro vertenza. Alle prime lamentele dei padroni delle piattaforme digitali che gestiscono le consegne a domicilio ha però fatto marcia indietro rimandando a un “incontro tra le parti” che, a causa del rifiuto delle aziende a riconoscere i riders come lavoratori subordinati, non ha portato a niente di concreto.

Pd e Fi contro, Lega per modificarlo
Le reazioni dei padroni non devono trarre in inganno. Per un certi versi il “decreto dignità” spiana la strada a misure in loro favore, a partire dalla flat tax. Dopo questa “misura di sinistra” (come l'hanno definita alcuni giornali) toccherebbe ai padroni, a questo servono i piagnistei di Confindustria e di Forza Italia che accusano il governo di aver danneggiato le aziende. Il Pd si pone ancora più a destra rivendicando le misure adottate dai loro governi che hanno tolto diritti ai lavoratori facendo apparire progressisti perfino i piccoli ritocchi contenuti nel “decreto dignità” di Di Maio. In ogni caso il presidente del Consiglio è intervenuto per calmare PD, Berlusconi e padroni affermando:“Non siamo contro le imprese”.
Il “topolino” partorito dalla montagna di promesse sparse da Di Maio e dal M5S non è poi detto che venga alla luce così come è stato approvato dal Consiglio dei Ministri. La Lega al momento ha escluso la presentazione di emendamenti in parlamento ma si è posta l'obiettivo di modificarlo in accordo con i 5 Stelle perché molti suoi esponenti lo giudicano addirittura troppo restrittivo e rigido per le imprese. Il partito di Salvini è sempre pronto ad andare da destra contro l'UE quando si parla di accoglienza dei migranti ma appena si profilano provvedimenti che, seppur a malapena, sfiorano gli industriali del Nord, si appella alla flessibilità e al liberismo economico predicato da Bruxelles ai suoi stati membri.
Tra i sindacati Cgil e Cisl hanno mostrato apertura. La Camusso, pur definendole insufficienti, ha giudicato positivamente le misure sul lavoro del “decreto dignità”. Molti mass-media hanno affermato che quello presentato da Di Maio è un decreto “scritto” dalla Cgil. Forse può avvicinarsi alle modifiche chieste dai sindacati confederali, sicuramente non è quello che volevano le migliaia di lavoratori, di cui molti iscritti alla Cgil, che scesero nelle piazze per chiedere la cancellazione del Jobs Act e il ripristino dell''articolo 18. L'USB, uno dei principali “sindacati di base”, ha criticato il “decreto dignità” ma tra le righe di alcuni suoi comunicati definisce quello di Di Maio “un piccolissimo passo verso una riduzione dell’arbitrio del padrone in azienda”.
Noi pensiamo invece che quella di Di Maio sia solo una riverniciata che lascia intatto precariato e Jobs Act, indotta anche dalla necessità di recuperare visibilità di fronte al protagonismo razzista e fascista di Salvini. Per alcuni giorni il Ministro del Lavoro e il “decreto dignità” sono stati al centro delle cronache e l'elettorato meno reazionario del M5S ha avuto un contentino mentre la Lega e il suo caporione si sono momentaneamente defilati, in attesa di tornare più arroganti che mai con i temi che più gli stanno a cuore: guerra ai migranti e alle minoranze, più libertà di sparare, flat tax.
Questa vicenda rivela come questo governo, pur formato da due forze borghesi eterogenee, non abbia due anime, una reazionaria con la faccia di Salvini e una “progressista” con quella di Di Maio. Anche sul piano economico e sociale si conferma un governo fascista, come dimostra l'aver fatto proprio il Def (la vecchia finanziaria) di austerità elaborato dal governo Gentiloni, aggravato dai condoni fiscali e dalla flat tax, solo momentaneamente rinviata.
Questo è un nero governo razzista, fascista, nemico delle masse e dei lavoratori che non deve essere combattuto solo dai marxisti-leninisti e dai partiti con la falce e martello, ma da tutti i sinceri democratici e antifascisti del nostro Paese.

11 luglio 2018