A migliaia le donne palestinesi manifestano lungo la Striscia di Gasa contro l'occupazione sionista
Oltre 100 le ferite. Alla risposta violenta di Israele contrappongono la loro determinazione: “È nostro dovere lottare contro l’occupazione”

A migliaia le donne palestinesi hanno protestato il 3 luglio scorso lungo il confine tra la Striscia di Gaza e Israele dando vita alla prima “manifestazione delle donne” in appoggio alle “marce del ritorno” contro l'occupazione israeliana.
Come le altre manifestazioni che si stanno svolgendo nella Striscia ogni venerdì dal 30 marzo scorso anche questa è stata repressa con le armi da parte dell'esercito israeliano. Secondo il portavoce del ministero di Gaza, Ashraf al-Qudra, le manifestanti ferite per colpi di arma da fuoco sono state 134.
Ma le donne di Gaza nonostante la spietata repressione degli occupanti sono determinate a continuare la loro protesta. “Sono qui per terminare la marcia che mia figlia aveva iniziato” ha detto Rim Abu Irmana mostrando con orgoglio la foto di sua figlia Wasal, uccisa da un cecchino israeliano lo scorso 14 maggio in quel giorno i palestinesi morti sotto lo spietato fuoco israeliano furono più di 60.
Il 3 luglio a sfidare l’esercito israeliano armato c’erano tante madri, nonne, studentesse, figlie, giornaliste, mogli, sorelle. Tantissime donne protagoniste della lotta per i propri diritti e dei diritti del proprio popolo. “Chi ha detto che le donne non possono lottare efficacemente come gli uomini?” ha dichiarato una manifestante 39enne “Siamo cresciute con l’idea che la resistenza è femminile le nostre nonne hanno sempre affiancato i nostri nonni e hanno combattuto durante la Nakba - la “Catastrofe” - e la prima Intifada. Sono qui oggi perché noi donne non stiamo solo sedute a guardare i nostri padri e i nostri mariti mentre vengono uccisi e feriti. È nostro dovere lottare con loro”. E tante altre testimonianze come quella di Amani che ha perso suo fratello durante le “marce per il ritorno”: “Sono qui per continuare quello che mio fratello ha iniziato. Se loro – riferendosi ai soldati israeliani - pensavano di intimidirci e di fermarci, beh si sbagliavano di grosso. Ci hanno dato solo un altro motivo per continuare”. E ancora Um Khaled Loulo, 71 anni: “Porto sempre i miei nipoti qui per insegnare loro cosa sia concretamente il diritto al ritorno, non li lascio avvicinare alla barriera perché so che gli israeliani non si faranno problemi a spararli, ma almeno così capiscono che ritornare nella loro patria è qualcosa per cui lottare quando saranno cresciuti”.

11 luglio 2018