Rapporto Inail 2018
Sempre più immigrati muoiono sul lavoro
E il più delle volte non risultano dai dati ufficiali. Una morte su due riguarda ultracinquantenni

 
Secondo il rapporto annuale dell’Inail relativo agli infortuni sul lavoro, gli incidenti mortali nel nostro Paese sono in aumento e tornano a salire rispetto al 2016. In sostanza però, nel periodo da gennaio a maggio 2018, rispetto allo stesso periodo 2017, l’incremento delle morti ha interessato in particolare lavoratori stranieri, passate da 50 a 65, pari al +30%; quelle dei lavoratori di nazionalità italiana sono invece stabili, essendo diminuite di una sola unità, da 325 a 324, nel complesso più di una morte bianca al giorno. Nel complesso, una morte su due ha coinvolto lavoratori di età tra i 50 e i 64 anni per i quali si registra un incremento tra i due periodi di 30 casi, da 167 a 197 (+18%); diminuiscono i decessi dei lavoratori tra i 35 e i 49 anni da 121 a 105, mentre risultano stabili quelle degli under 34 (da 57 a 59) e degli over 65 (da 28 a 30). Sullo sfondo, sono in calo le denunce di malattie professionali rispetto al 2016, mentre sono aumentate del 25% rispetto al 2012, a confermare comunque il trend di crescita nell’ultimo decennio. Il quadro generale che emerge conferma l’insicurezza ed il supersfruttamento che oggi è di casa nei campi, nei cantieri ed in ogni luogo particolarmente a rischio per coloro che vi lavorano; le prime vittime di questa continua ecatombe, sono proprio i più deboli, cioè i più anziani e i migranti, costretti ad ogni sacrificio pur di portare a casa un pezzo di pane.
Un elemento poi del quale non si può non tener conto è che i dati proposti dall’Inail non possono essere che incompleti; basti tenere in considerazione il grande ricorso ai lavoratori in nero in ogni settore, prassi consolidata nel nostro Paese, per i quali non risultano dati ufficiali. Com’è possibile, ad esempio, monitorare infortuni sul lavoro, anche mortali, per coloro che vivono nei 52 ghetti pugliesi e che offrono manodopera a bassissimo costo e senza diritti al caporalato spietato dei proprietari terrieri? Contestualmente alla pubblicazione del rapporto, il ministro del lavoro Di Maio è intervenuto sottolineando che lo Stato “deve essere all’altezza di affrontare questo eccidio che non ha fine”. Poche però ed impalpabili le sue proposte, che si traducono sempre in premi alle aziende cosiddette “virtuose”, come ad esempio l’ipotesi di riduzione dell’IVA sui prodotti che servono ad assicurare la sicurezza sul lavoro uniti a sgravi sul “costo del lavoro”. Colto con le mani nel sacco, il ducetto grillino si è affrettato a precisare che “Non si tratta di premiare, ma di cominciare a dare un segnale verso chi rispetta la legge e a chi fa di più di quanto richiede la legge”. Lungi dal voler affossare la causa principale che crea insicurezza e morte sul lavoro, e che si chiama profitto, Di Maio sostiene opportunisticamente la necessità di un meccanismo di incentivo, mettendo insieme sempre di più la cultura del rischio, “sia del lavoratore, sia dell’imprenditore”. Siamo di fronte ancora una volta al solito blaterare parole generiche, inefficaci, che hanno accompagnato quantomeno gli ultimi trent’anni di vita politica italiana con l’avallo dei massimi dirigenti sindacali, senza ottenere però risultato alcuno. Nel frattempo, Massimo De Felice, presidente dell’Istat, ha presentato l’algoritmo della sicurezza, un rating aziendale che le imprese virtuose possono richiedere nel caso in cui abbiano un basso indice di infortuni e un alto livello di sicurezza nelle procedure e nelle dotazioni. In pratica un rating di sicurezza, da premiare, che, assieme alle misure proposte da Di Maio, rappresenta una contraddizione nei termini: come si può premiare il rispetto delle leggi vigenti quando è in gioco la vita dei lavoratori? Tutto ciò dovrebbe essere normale per ogni azienda e pertanto preteso anche dalle istituzioni borghesi, pena il ritiro delle licenze commerciali in questione. Tutte le parti in gioco si sciacquano la bocca con la parola prevenzione, ma è anche a loro dire che essa è già diffusamente ignorata, ed in particolare qualche settore – su tutti quello del crowd working (il lavoro su piattaforma) e lo smart working – è addirittura sprovvisto di strumenti utili in materia. In questo ambito, tipico è il caso dei riders, che fin qui sono stati totalmente scoperti sul fronte assicurativo.
 
 

18 luglio 2018