Per intimidire lo scrittore anticamorra e tutti coloro che lo criticano
Salvini querela Saviano
Di Maio e Conte lo coprono col silenzio

 
Lo scrittore e giornalista Roberto Saviano è stato querelato lo scorso 19 luglio per diffamazione aggravata a mezzo stampa dal ministro dell'Interno Salvini, ed è già stato iscritto nel registro degli indagati presso la procura della Repubblica di Roma.
La querela, presentata platealmente su carta intestata del ministero degli Interni per accrescere il carattere intimidatorio dell'atto di denuncia, è successiva a un video in cui lo scrittore condannava con fermezza sia le decisioni del Viminale sugli sbarchi e la gestione dei migranti sia le espresse minacce del ministro di togliergli la scorta.
Una condotta doppiamente infame, quella del capobastone fascio-leghista: dapprima l'espressa minaccia, in qualità di capo di quel ministero che dirige l'attività di polizia, di togliere la scorta allo scrittore come ritorsione alle precedenti critiche mosse alla sua politica fascista sui migranti e sulle minoranze etniche presenti in questo Paese, poi la querela contro di lui, che aveva chiaramente protestato, indignato per tale comportamento ricattatorio e fascista, teso ad azzittire chi non ne condivide la sciagurata politica.
Nell’atto depositato presso gli uffici di polizia il caporione leghista ha fatto riferimento ad alcuni giudizi espressi dallo scrittore con video e post su Facebook lo scorso 21 giugno, che aveva definito Salvini “ministro della malavita“, aggiungendo che “le mafie minacciano. Salvini minaccia”.
Peraltro, l'espressione “ministro della mala vita“ è un'espressa citazione che l'autore di Gomorra ha fatto riecheggiando la definizione dell'allora presidente del consiglio dei ministri Giovanni Giolitti, e tutto ciò non fa che confermare il carattere pretestuoso dell'intimidazione, un chiaro segnale a chi dissente.
Quanto all'accostamento, poi, tra le minacce delle mafie e quelle dello stesso Salvini, lo scrittore non ha certo inteso bollare il caporione leghista con l'epiteto di “mafioso”, ma ha semplicemente voluto dire che Salvini usa il suo potere in modo arbitrario e autoritario, con un metodo non dissimile a quello delle mafie.
La denuncia di Saviano, al quale va tutta la solidarietà del nostro giornale, non è una semplice alzata di voce per azzittire un avversario: per la diffamazione a mezzo stampa, aggravata dall'essere diretta a un rappresentante di un corpo politico (tale è il ministro dell'Interno rispetto al consiglio dei ministri) Saviano rischia, in caso di condanna, fino a 4 anni di reclusione.
È un chiaro segnale, da parte del capobanda fascio-leghista, a chi si frappone alla sua nera linea politica fondata sul disprezzo nei confronti dei più deboli e indifesi, costretti a scappare per disperazione dalla fame e dalla guerra. Si tratta della replica delle persecuzioni nazifasciste ai danni delle minoranze etniche come quelle dei Rom, Sinti o Camminanti. Si tratta di un progetto politico criminale con il quale il ducetto fascioleghista alterna felpa e doppiopetto per portare lo scontro tra gli emarginati nelle periferie, a tutto vantaggio della grande borghesia e del capitalismo.
Né il primo ministro Conte né il suo vice pentastellato Di Maio hanno detto una parola, quantomeno per mettere in evidenza la grossolanità intimidatoria del gesto di Salvini: a prescindere da Conte, che in effetti sembra contare ben poco nel governo a dispetto del fatto che dovrebbe esserne il capo, il silenzio complice di Di Maio sulla vicenda fa pensare che i due vice presidenti del consiglio (Di Maio e Salvini) giochino a fare rispettivamente il poliziotto buono e quello cattivo sulla pelle dei migranti e degli oppressi.

31 luglio 2018