Le contraddizioni tra i due Paesi imperialisti pesano sulle spalle delle popolazioni libiche
L'Italia e la Francia si disputano l'egemonia della Libia per il petrolio e il gas
Dopo nove giorni di combattimenti fra opposte fazioni libiche raggiunta una fragile tregua

 
La partita a scacchi fra l'imperialismo italiano e quello francese per il controllo della Libia continua a spargere sangue.
Circa 50 persone sono morte negli scontri che hanno sconvolto i dintorni di Tripoli fra il 27 agosto e il 4 settembre, ove si sono fronteggiate le milizie islamiche e malavitose legate al presidente Sarraj e la Settima Brigata del maresciallo Haftar. Come è noto i due sono appoggiati reciprocamente dal blocco Usa-Ue e dalla Russia e governano uno la Tripolitania (a ovest) e l'altro la Cirenaica (a est). Le forze fedeli a Haftar intervenivano ufficialmente contro le milizie “in nome dei cittadini che non riescono a trovare cibo”, mentre Sarraj parlava di “attentato alla sicurezza della capitale”. Fonti libiche e arabe insieme all'UNHCR riferiscono di violenze e sevizie sui civili da ambo le parti, mentre colonne di profughi hanno lasciato la città fra i due fuochi.
Grazie alla mediazione dell'incaricato speciale delle Nazioni Unite, Ghassan Salamè, il 4 settembre le due parti hanno raggiunto un accordo di tregua, che prevede la riapertura dell'aeroporto di Mitiga a Tripoli, la protezione dei civili e la salvaguardia delle proprietà pubbliche e private. Un cessate il fuoco fragilissimo, anche perché dipende dalle successive mosse di Roma e Parigi, da dove si manipola il futuro prossimo della martoriata Libia.
 

Riflesso sanguinoso della rivalità inter-imperialistica italo-francese
Lo stesso Salamè ha voluto sottolineare che “la Libia è ormai vittima delle ingerenze di molti Paesi”. Un atto d'accusa che in realtà svela un segreto di Pulcinella, dato che è dalla caduta di Gheddafi che il Paese è terra di conquista e spartizione per diversi Paesi imperialisti in lotta fra loro per accaparrarsi le sue ricche risorse naturali, sostenendo ora questa ora quest'altra autorità e favorendo la divisione della Libia. Soprattutto lo scontro vede contrapposte Francia e Italia, perché entrambe rivendicano il ruolo di protagonista in quella che Salvini definisce la “pacificazione” della Libia; cioè, la possibilità di assicurare l'egemonia al proprio imperialismo, ai propri capitalisti e alle proprie aziende. Specialmente con Sarkozy, Hollande e ora Macron la Francia, da sempre autoproclamatasi gendarme dell'Africa, ha allungato le mire sulla Libia, frustrando le ambizioni neocoloniali dell'Italia che rivendica invece quest'ultima nella propria zona d'influenza in quanto sua ex colonia.
E infatti Salvini si è detto “convinto che dietro (gli scontri) ci sia qualcuno”, una chiara allusione alla Francia nell'acuirsi delle contraddizioni fra i “nostri” due Stati imperialisti. Come gli Usa, il governo italiano (già con Renzi e Gentiloni) sostiene Sarraj, mentre Parigi, constatata l'estrema debolezza del governo di Tripoli, è passata più o meno apertamente con Haftar. Dal canto suo Macron ha ribadito la linea francese di garantire le elezioni libiche a dicembre, secondo quanto deciso ad un summit all'Eliseo con Sarraj e Haftar, tenuto unilateralmente senza consultare il concorrente italiano.
Per contendere l'egemonia del processo alla Francia, a inizio mese il governo Conte, forte peraltro dell'appoggio e investitura ricevuti da Trump nel vertice del 30 luglio a Washington, ha indetto per novembre una conferenza in Sicilia, con la partecipazione anche di Usa, Cina, Lega Araba e Qatar, per raggiungere un compromesso fra le numerose milizie che si contendono il controllo del territorio libico, oltre a Sarraj e Haftar. Quest'ultimo ha dichiarato senza mezzi termini che il governo Sarraj “galleggia grazie all'Italia” e ribadisce la minaccia di marciare su Tripoli. Il ministro degli Esteri, Moavero Milanesi, è volato a Bengasi il 10 settembre per stemperare le tensioni con Haftar in vista della suddetta conferenza, nonché per slegarlo dalla Francia.
 

La posta in gioco
Né la Francia né l'Italia hanno veramente a cuore il bene e la sicurezza del popolo libico e l'integrità territoriale del Paese. Basta vedere come non esitano a sobillare le divisioni interne e contendersi l'egemonia della pacificazione della Libia. Gli interessa solamente garantirsi un accesso privilegiato alle risorse del Paese, a cominciare dal petrolio e dal gas. Si tratta di due Stati imperialisti che difendono gli interessi della propria borghesia monopolistica finanziaria e industriale e cercano di imporsi nello scacchiere geopolitico regionale controllando il Mediterraneo.
Per ora l'imperialismo italiano è in seppur precario vantaggio: Eni nel 2017 ha raggiunto la cifra record di 384 mila barili di petrolio al giorno e rappresenta il 70% della produzione nazionale libica. La francese Total nello stesso anno ne produceva appena 31 mila, ma sta avanzando, grazie anche all'acquisto del pacchetto di titoli dell'americana Marathon Oil. In dieci anni si stima che la produzione potrebbe salire a 400 mila barili. Chiaro quindi che la zona è strategica sia per l'Italia che per la Francia. L'a.d. di Total, Patrick Poyuanné, non nasconde l'interesse dell'azienda a “rafforzare il portafoglio con asset petroliferi di grande qualità a basso costo tecnico” tramite il consolidamento della “nostra presenza storica in Medio Oriente e in Africa del Nord”. Non ci possono essere dubbi su chi stia dettando la linea a Macron... ma anche a Conte e Salvini.
Oltre al petrolio fanno gola le detenzioni della LIA, il fondo di investimento libico, per 50 miliardi di dollari, le commesse per la ricostruzione e il fatto che la Libia sia stata inserita nella Belt and Road Initiative, la nuova via della seta progettata da Pechino per collegare Cina, Asia centrale, Medio Oriente, Europa e Africa del Nord, con potenzialità molto ghiotte in termini di allargamento di mercato. Alla Francia poi la Libia interessa anche come passaggio verso la propria zona di influenza economica nell'Africa centrale, soprattutto il Niger.
Ultimo ma non in ordine di importanza, come ebbe a dire a suo tempo l'ex ministro Minniti, controllare la Libia significa controllare i flussi migratori con il relativo tornaconto anche politico.
Insomma i capitalisti comandano e i governi eseguono fedelmente, come sempre. A farne le spese sono le masse libiche in via diretta, ma si aggravano i pericoli anche per le masse dei Paesi imperialisti stessi, quindi anche del nostro, per possibili ritorsioni terroristiche: proprio il 10 settembre combattenti dello Stato islamico hanno significativamente preso d'assalto la sede della Noc, la compagnia petrolifera nazionale, a Tripoli. Per non parlare dell'aggravarsi della crisi migratoria. Un motivo in più a dimostrazione che battersi contro l'imperialismo italiano fa parte dei compiti urgenti degli antifascisti, degli antirazzisti e di chiunque voglia lottare contro il governo Salvini-Di Maio.

19 settembre 2018