Rapporto sull'inquinamento
Record storico di CO2 nell'atmosfera

Secondo il rapporto “State of Climate” redatto dall’agenzia statunitense per la meteorologia (NOAA) con il contributo di oltre 500 scienziati provenienti da 65 paesi, l’attuale concentrazione di CO2, cioè di biossido di carbonio, presente nell’atmosfera, è la più alta degli ultimi duecentomila anni. Il livello di 405 parti per milione, rappresenta un record assoluto poiché, dalla comparsa dell’Homo Sapiens in poi la concentrazione di CO2 ha oscillato tra le 170 e le 280 parti per milione, e solo negli ultimi decenni si è assistito ad una sua pesante impennata, sempre più repentina e capace di far registrare ogni anno nuovi record, dai danni incalcolabili.

L’ennesima prova del fallimento di Parigi
Va ricordato che i livelli di CO2 in atmosfera segnalano l’incidenza delle emissioni che hanno la capacità di alterare il clima, così come la capacità delle piante di assorbire anidride carbonica; relativamente alle prime, il rapporto spiega che esse sono principalmente frutto dell’utilizzo dei combustibili fossili, per quanto riguarda le piante invece, appare evidente agli scienziati, la crescente difficoltà che esse hanno nell’adempiere una loro naturale funzione. Solo negli ultimi tre anni (2015 -2017), la concentrazione delle emissioni è cresciuta di 8,3 parti per milione e ciò significa in maniera evidente che sia il protocollo di Kyoto, sia l’Accordo di Parigi, hanno dimostrato la loro superficialità e la loro insufficienza che noi avevamo denunciato fin dall’indomani delle loro ratifiche.
Anche per la scienza, dunque, si sta avvicinando molto rapidamente il punto di non ritorno nella concentrazione atmosferica di CO2 che produrrà ben altri effetti rispetto alla già insufficiente limitazione dell’aumento della temperatura media globale al di sotto dei 2°C, che non riuscirebbe comunque ad annullare gli effetti disastrosi del riscaldamento globale.

Le conseguenze del triennio più caldo della storia
Archiviando la fondamentale questione della CO2, lo “State of climate” evidenzia come il 2017 sia stato il terzo anno più caldo dal 1880 ad oggi, preceduto dal 2016 e dal 2015, che fanno del triennio quello con temperature più alte della storia “misurabile” scientificamente. Il 2017, specifica una nota dell’Ansa, “è stato l’anno più rovente in assoluto se si considerano solo gli anni non contraddistinti dalla presenza di El Nino, il fenomeno naturale periodico che riscalda gli oceani e contribuisce all’aumento del termometro globale. Nell’Artico la temperatura media annuale è stata di 1,6 gradi superiore alla media”.
Il 2017 è stato indicativo anche per quanto riguarda le siccità, piazzandosi in quarta posizione dal 1950 in poi, subito dietro ancora una volta al 2016: il rapporto evidenzia come ben il 3 per cento della superficie terrestre sia stato interessato in ogni mese del 2017 da una situazione di estrema siccità. Di record in record, si arriva anche a quello dell’innalzamento del livello dei mari che nel 2017 ha raggiunto i 77 millimetri sopra i livelli medi del 1993, da quando cioè esistono misurazioni satellitari per gli oceani.
Collegato a questo tema c’è indubbiamente lo stato di salute dei ghiacciai che, a conferma del riscaldamento globale, in tutto il mondo hanno perso significativamente volume per il trentottesimo anno consecutivo.
Un’altra significativa parte del rapporto, rappresenta l’incremento degli eventi estremi quali uragani in particolare negli USA e nell’Indocina, oppure l’intensificarsi delle piogge estreme che hanno sorpreso più volte in maniera inedita e particolare le popolazioni di Russia, India e Norvegia, ma anche dell’Europa continentale (basti vedere i continui disastri italiani), fino al drammatico conteggio degli incendi in Portogallo, Spagna e Italia.

L’erosione del capitale naturale terrestre
A supporto del rapporto del NOAA, gli esperti del Global Footprint Network hanno stabilito che dal primo gennaio al primo agosto l’umanità avrebbe consumato le risorse naturali che la Terra è capace di generare in un anno; secondo il forum dunque dal 2 agosto stiamo simbolicamente erodendo il capitale naturale del pianeta che ci porterebbe a “consumare” 1,7 Terre all’anno contro la sola disponibile.
Secondo Gianfranco Bologna, direttore scientifico del Wwf Italia “il nostro mondo è andato in “overshoot” nel 1970 e da allora il giorno del sovrasfruttamento è caduto sempre più presto. Il deterioramento dello stato di salute degli ecosistemi e della biodiversità presenti sulla Terra continua a crescere. La valutazione del costo complessivo di questo degrado, causato dalla perdita di biodiversità e dei servizi ecosistemici, viene valutato in più del 10% del prodotto lordo mondiale”.

Le responsabilità del capitalismo
Mentre condividiamo pienamente l’analisi sul riscaldamento globale, che esiste, è evidente quanto pericoloso, messo a repentaglio sia dall’utilizzo delle fonti energetiche fossili, quanto dalle misure inconsistenti e di facciata messe in atto dai governi mondiali, ci sembra parziale l’analisi sul supersfruttamento delle risorse naturali; accettati i dati, secondo noi è indispensabile capire chi è che se ne appropria e ne beneficia al costo di gravi conseguenze per tutti.
Sarebbe un errore sostenere che l’abuso di estrazione e di utilizzo delle materie prime è un processo la cui responsabilità ricade su tutti gli abitanti del nostro pianeta; in realtà lo sfruttamento sconsiderato e la devastazione di risorse naturali e del territorio è la conseguenza di uno sviluppo ineguale e miope, orientato esclusivamente al profitto e che non è capace di mettere in cima alla lista delle necessità del mondo, quella della rigenerazione del capitale naturale stesso. Sono le multinazionali dell’energia e delle materie prime, che rapinano i paesi poveri del mondo, nonostante siano in possesso di grandi risorse, assieme ai governi conniventi di tali paesi e da quelli imperialisti che tirano le fila, i soli responsabili di questo depauperamento inutile del nostro pianeta.
È sostanzialmente il capitalismo, che si basa sulla ricerca del massimo profitto senza curarsi di distruggere e sprecare risorse preziosissime; il suo sguardo, avido e spietato, non va oltre un palmo di naso, in barba alla salute dell’ambiente e delle popolazioni. Il risultato di questo modo di produzione, oltre ad impoverire il proletariato dei paesi coinvolti e la devastazione generale della nostra Terra, ha come ultimo effetto l’inquinamento ambientale e il tanto pericoloso quanto nei fatti ignorato riscaldamento climatico che, per essere arrestato, ha bisogno di ben altro sistema economico e produttivo basato sulle necessità degli abitanti della terra e non sui profitti qual è il socialismo, e non di periodiche quanto inutili conferenze mondiali sul clima, sponsorizzate dalle grandi banche internazionali d’affari, dalle aziende farmaceutiche e fitosanitarie e dalle compagnie automobilistiche a petrolifere.

26 settembre 2018