Grave attacco alla libertà di informazione
Indagato giornalista di “Repubblica” per aver svelato il grande depistaggio sulla strage di via d'Amelio
L'abitazione di Salvo Palazzolo perquisita per otto ore. Sequestrati cellulare, tablet e tre hard disk

 
Lo scorso 13 settembre, su disposizione della procura della Repubblica di Catania, la polizia ha effettuato una lunga perquisizione a casa del giornalista di Repubblica Salvo Palazzolo, il quale era stato iscritto nel registro degli indagati per il reato di rivelazione di segreto d'ufficio da parte di quella procura.
Durante la perquisizione, durata otto ore, al giornalista sono stati sequestrati un cellulare, un tablet e tre hard disk.
Il grave “crimine” contestato al giornalista è semplicemente quello di avere reso noto all'opinione pubblica, in un articolo pubblicato su “Repubblica” lo scorso marzo, uno dei più gravi scandali giudiziari che abbiano coinvolto magistratura e forze dell'ordine negli ultimi decenni, ovvero la chiusura dell'indagine sui tre poliziotti accusati di avere pilotato il pentito di mafia Vincenzo Scarantino nell'accusare della realizzazione della strage di via D'Amelio, nella quale persero la vita il magistrato Paolo Borsellino e la sua scorta, persone legate alla mafia, ma totalmente estranee a tale crimine, al fine di coprire le responsabilità dei veri mandanti della strage.
A seguito delle false accuse di Scarantino, è bene ricordarlo, la corte d'assise di Caltanissetta aveva condannato, in tre processi, sette persone all'ergastolo per l'attentato, e soltanto le motivazioni della sentenza della stessa corte d'assise, pubblicate nel luglio scorso a conclusione del processo Borsellino quater, hanno potuto dimostrare che “le dichiarazioni di Vincenzo Scarantino sono state al centro di uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana” e che “soggetti inseriti negli apparati dello Stato ” lo costrinsero e lo obbligarono, con minacce e ricatti, ad accusare falsamente persone innocenti e a depistare l'esito dei processi: questi fatti erano emersi gradualmente nel corso del processo Borsellino quater, e avevano indotto la procura di Catania ad aprire il procedimento penale contro tre appartenenti alla polizia di Stato - ossia Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo - per i quali la stessa procura concluse le indagini lo scorso marzo chiedendone poi, e ottenendo dal giudice per le indagini preliminari, il rinvio a giudizio per il reato di calunnia aggravata in concorso, per cui all'inizio del prossimo anno inizierà il processo.
Pertanto Salvo Palazzolo ha fatto semplicemente il suo dovere di giornalista, dando all'opinione pubblica notizie assai gravi, ma pur sempre veritiere.
La magistratura, quindi, non può sfogare la sua rabbia e le sue frustrazioni tentando di mettere il bavaglio ai giornalisti quando danno notizia di veri e propri scandali che la colpiscono e ne ledono pesantemente l'immagine, perché la vicenda di cui si è occupato Palazzolo è esattamente una vicenda infamante per la magistratura italiana: infatti è una vergogna per la magistratura giudicante, in quanto non una bensì tre volte (nei processi Borsellino, Borsellino bis e Borsellino ter) essa si è lasciata infinocchiare dalle parole di un balordo come Vincenzo Scarantino senza comprendere che si trattava di un impostore, e spedendo sulla base delle sue false dichiarazioni all'ergastolo persone innocenti, ed è anche una vergogna per la magistratura inquirente e requirente, la quale, anzichè vigilare attentamente sull'operato della polizia giudiziaria che agisce sotto le sue dipendenze e che essa deve controllare, ha avallato acriticamente l'operato truffaldino di tre ufficiali di polizia giudiziaria disonesti, dichiarando poi piena fiducia in un impostore come Scarantino e sostenendo infine a spada tratta l'accusa contro persone innocenti, facendole condannare all'ergastolo.
È anche e soprattutto per la gravità di tale vicenda che un giornalista come Salvo Palazzolo deve continuare a scrivere e che la magistratura italiana - anzichè attaccare il principio costituzionale della libertà di stampa e mettere sotto accusa i giornalisti - dovrebbe iniziare a fare un po' di sana autocritica, tenendo presenti le vicende non proprio brillanti che l'hanno vista protagonista. E poi sarebbe più che necessario chi, ai piani alti, teleguidava i tre ufficiali di polizia giudiziaria in questo criminale depistaggio.
 

10 ottobre 2018