Lo certifica il rapporto Svimez
In 16 anni quasi 2 milioni di persone emigrate dal Mezzogiorno
Raddoppiate le famiglie povere

Il Rapporto Svimez del 2018 sul Mezzogiorno certifica, per l'ennesima volta, le terrificanti condizioni di vita, lavoro, studio e salute delle masse popolari meridionali.
Nel Sud dell'Italia negli ultimi 16 anni la popolazione residente è diminuita di quasi 2 milioni di persone, 1 milione 883mila per la precisione, come dire l'intera Calabria.
Gli emigrati, la metà dei quali sono giovani tra i 15 e i 34 anni, sono andati a lavorare nel Nord del paese e ben il 16% all'estero.
Oggi il peso demografico della masse meridionali, includendo anche gli immigrati (il cui numero diminuisce al Sud, altro che “invasione” di cui parlano i fascisti e i razzisti del nero governo Salvini-Di Maio), rispetto al totale della popolazione nazionale scende ad appena il 34,2% del totale degli abitanti dell'Italia, complice anche la denatalità, corresponsabile dell'aumento dell'età anagrafica attuale dei residenti del Sud.
A tutto questo porta soprattutto la cronica mancanza di lavoro delle regioni meridionali.
Lavoro che, anche quando si trova, è soprattutto precario, sottopagato ed iperflessibile: sono stabili infatti gli occupati a tempo determinato rispetto al 2017, ma aumentano i precari e a termine, + 7,5% solo lo scorso anno.
Raddoppiato tra il 2010 e il 2018 il numero (oggi circa 600mila) delle famiglie nelle quali si cerca un lavoro, sale il numero di quelle senza alcun occupato e d'altra parte anche chi un lavoro lo ha non è affatto detto che se la passi bene, tutt'altro!
Lo stipendio medio dei lavoratori del Sud, infatti, non consente di vivere dignitosamente, intanto perché, considerando anche le addizionali locali, il potere d'acquisto di salari e pensioni è più basso rispetto al centro-nord, ma soprattutto perché i servizi ed in generale la qualità della vita sono da terzo mondo.
Vi è il rischio per molte famiglie meridionali in caso di malattia di uno dei componenti, per effetto dei costi sanitari (lievitati enormemente per ingrassare i pescecani capitalisti della sanità privata) di non avere più di che vivere. La qual cosa porta alla rinuncia alle cure oppure all'infame “turismo sanitario”.
Questo vale anche per gli altri servizi, costosi e inefficienti, e perfino per il funzionamento degli uffici pubblici.
Svimez ha creato un indice, che riassume il divario crescente Nord-Sud, riguardante la qualità media della vita quotidiana degli abitanti delle varie regioni.
Se il Trentino-Alto Adige raggiunge il podio con100 punti, la Campania si ferma a 61, la Sardegna a 60, l'Abruzzo a 53.
La Calabria con 39, la Sicilia con 40, la Basilicata con 42 e la Puglia con 43 punti, sono molto al di sotto della media nazionale e circa 60 punti (su 100) sotto il Trentino.
Dunque al Sud vivono sempre meno persone, più povere, più avanti negli anni, con una qualità della vita peggiore e una aspettativa di vita media inferiore di 4 anni rispetto alle popolazioni residenti nelle regioni del centro-nord.
Anche questi dati confermano, come il PMLI sostiene da sempre, che la Questione Meridionale è la vera questione nazionale.
Occorre un ampio fronte unito per il lavoro stabile, a tempo pieno, a salario intero e sindacalmente tutelato per tutti i lavoratori e i disoccupati, per lo sviluppo e l'industrializzazione del martoriato meridione, obbligando fra l'altro i governi locali e nazionali della destra e della “sinistra” borghese a stanziare massicci investimenti pubblici sui quali le masse popolari abbiano diritto di parola e di gestione.
Il divario Nord-Sud, prodotto dal capitalismo fin dall'Unità d'Italia, aggravato poi dall'avvento della seconda repubblica neofascista e dall'ingresso dell'Italia nella Ue imperialista, potrà essere definitivamente risolto con il socialismo e la conquista del potere politico da parte del proletariato.

10 ottobre 2018