Il prossimo segretario della CGIL si sposta sempre più a destra
Per Landini “È esaurita la spinta propulsiva del comunismo”

La platea del congresso nazionale della FISAC CGIL applaude sonoramente Maurizio Landini; lo applaudono anche coloro (la stragrande maggioranza) che fino a poche decine di mesi fa lo criticavano poiché troppo radicale e in contrapposizione alla linea della maggioranza CGIL della Camusso, segno evidente della mutazione, non della CGIL però, sempre stretta nel suo riformismo, ma del suo futuro segretario generale che anche stavolta usa solo qualche tono più alto, senza scalfire minimamente il modello sindacale fallimentare della CGIL, che nei fatti avalla in pieno.
Applausi che dall’altro lato testimoniano la grande voglia di riscossa, data la profonda crisi che sta investendo ad ogni livello il sindacato, purtroppo mal riposta nell’ex leader della Fiom che in tanti vedono come una sorta di “salvatore” in questa deriva.
È questo l’epilogo di una “tavola rotonda” dal titolo “Lezione politica. Destra, sinistra e sindacati al tempo dei sovranismi e dei populismi”, che si è tenuta il 28 novembre a Roma nell’ambito dei lavori del Congresso Nazionale della Fisac CGIL, ed alla quale Landini ha partecipato, assieme ad alcuni professori universitari.
Nel suo intervento, fra l’altro, ha sostenuto che è stata la vicinanza politica degli anni '50, '60 e '70 col sindacato, a favorire la conquista di nuovi diritti, sostenendo a supporto della sua tesi che perfino lo Statuto dei Lavoratori del 1970 fu votato dalla DC, dalla destra e da altri partiti liberali ma non dal PCI.
Un fatto reale, ma come può dimenticarsi di dire che questo Statuto fu mediazione sindacale col governo, il quale individuò nell’approvazione di questa legge il minore dei mali per il padronato in quel momento?
Il tutto infatti si svolse sulla scia del Sessantotto, in un contesto sociale esplosivo, fatto di lotte di piazza, scioperi, occupazioni e movimenti operai e giovanili che avrebbero potuto ottenere molto di più, andando ben oltre all’abbattimento del limite per l’applicazione dell’art.18 fissato a 15 dipendenti, che il PCI revisionista utilizzò strumentalmente come motivo per astenersi, venendo in qualche modo incontro a questo dirompente movimento di massa e nei suoi punti di riferimento a sinistra, che vedeva il PCI stesso nel mirino delle critiche operaie.
Non è quindi vero, come dice Landini che “in quei tempi non importava essere di sinistra per avere a cuore gli interessi dei lavoratori ”. Perché in realtà il governo di allora fu costretto a votare lo Statuto nel tentativo di placare la piazza.
Nel suo intervento, Landini ha sostanzialmente cavalcato i soliti temi che usa in televisione, nella quale è ricomparso in maniera dirompente dopo i due anni di silenzio posti a pegno della sua nomina in segreteria, ora fresco dell’investitura della Camusso e a un passo dalla maggiore carica nel più grande sindacato europeo, qual è la CGIL coi suoi oltre cinque milioni di iscritti.
Pur partendo dalle origini del sindacato stesso, ed evidenziando come il rapporto della CGIL con il quadro politico avrebbe portato un accrescimento reciproco “avendo dato e ricevuto cultura dai partiti, soprattutto PCI e PSI ”, chiude la partita con le ideologie, sostenendo che “La CGIL non è mai stata agnostica agli obiettivi del socialismo, anzi, da un certo punto di vista nella storia, ha fatto parte di questo processo; questo è un punto importante dal quale partire proprio per fare i conti con il processo di trasformazione in atto in Italia e in Europa. (…) Tuttavia posso dire senza timore che sia l’esperienza comunista, sia quella socialista o socialdemocratica, anche da un punto di vista ideologico, è conclusa. E’ esaurita la loro spinta propulsiva .” Usando le stesse parole di Berlinguer contro la Rivoluzione d'Ottobre.
Nelle sue conclusioni, ha legittimato di fatto col risultato elettorale il governo in carica al quale non ha mosso alcuna critica; non ha perso poi l’occasione per rilanciare quella che per lui pare proprio essere una priorità, e cioè la prospettiva di sindacato unico con CISL e UIL (argomento trattato nel n.41 de Il bolscevico), sostenendo addirittura che “questa opportunità è in contrapposizione al sindacato corporativo ”.
Purtroppo, neanche dopo la fulminea apparizione a questa kermesse congressuale dei lavoratori del comparto bancario ed assicurativo, nulla fa pensare che la CGIL invertirà la rotta fallimentare che ha avuto come prima conseguenza l’ulteriore precarizzazione del lavoro, la perdita di salario e il peggioramento senza eccezione alcuna delle condizioni di lavoro, poiché nemmeno una parola ha speso il prossimo segretario generale della CGIL né per l’abolizione delle “riforme” che più di tutte hanno peggiorato tali condizioni (Jobs Act e Fornero), nè per il richiamo alla mobilitazione o per la necessaria ripartenza della lotta di piazza e della coscienza politica e sociale in picchiata fra i lavoratori.
Pian piano, e in maniera tutt’altro che inaspettata visto l’atteggiamento tenuto nel percorso congressuale, sta prendendo forma quindi la “nuova” CGIL, dalla quale dovremmo dunque aspettarci ben poco: avremo ancora a che fare con un sindacato istituzionalizzato, alla continua ricerca di sponde politiche parlamentari che non esistono se davvero si hanno come stella polare gli interessi dei lavoratori, dei pensionati e delle donne e dei migranti e dei i giovani, e costantemente subalterno agli interessi dei padroni, del “mercato” e, più in generale, del capitalismo che non è per nulla in discussione.

5 dicembre 2018