Torino, condannata Foodora
Vittoria a metà dei Rider
A sei facchini riconosciuti i diritti del contratto collettivo ma reintegro respinto. In Olanda i rider di Deliveroo per la magistratura: “Sono lavoratori dipendenti”

Pochi giorni fa è stata scritta un'altra pagina della lotta dei Rider per il riconoscimento dello status di lavoratore dipendente. Stiamo parlando della vicenda che ha coinvolto 6 ex fattorini del colosso tedesco della consegna del cibo a domicilio Foodora, licenziati da un giorno all'altro senza ricevere nessun trattamento economico, come avviene per ogni tipo di contratto. L'azienda, approfittando delle lacune della legislazione italiana, si è sempre giustificata affermando che erano “collaboratori”, lavoratori autonomi, non soggetti a un rapporto di lavoro subordinato, e dunque poteva essere interrotto in qualsiasi momento.
Tutto era iniziato nel 2016, dopo che i sei avevano partecipato alla mobilitazione messa in campo dai Rider torinesi e di tutta Italia per il riconoscimento dei loro diritti economici e normativi. Il loro licenziamento aveva dunque anche il sapore del ricatto e della vendetta aziendale. I lavoratori non si sono dati per vinti e hanno intentato causa al marchio tedesco ma in prima battuta, ad aprile 2018, il tribunale di Torino ha dato loro torto accogliendo la tesi di Foodora, che ha sempre sostenuto come i suoi “collaboratori” non abbiano l'obbligo di lavorare ma dipenda dalla loro discrezione e disponibilità.
Una tesi falsa e contestata dai lavoratori e dai loro avvocati. “I rider di Foodora erano sfruttati, monitorati dall’azienda in ogni loro mossa. E chi si è lamentato è stato espulso”. Il rapporto che li legava all’azienda “aveva le caratteristiche del lavoro subordinato, anche se loro erano inquadrati come collaboratori autonomi. I ragazzi dovevano essere reperibili in maniera costante e continuativa e, tramite un’applicazione, erano monitorati, tracciati e valutati in ogni loro mossa. L’app era una sorta di braccialetto elettronico con cui prendere punti per riuscire a mantenere il proprio posto in azienda”.
La Corte d'Appello di Torino, con la sentenza del gennaio 2019, ha parzialmente ribaltato quella di primo grado. I giudici hanno stabilito che l’azienda, attraverso i suoi contratti lavorativi, non retribuiva adeguatamente i lavoratori, condannandola dunque a pagare i sei Rider secondo il contratto collettivo logistica-trasporto merci.
Si tratta però di una vittoria a metà perché sulle altre richieste come il reintegro lavorativo, il licenziamento discriminatorio, la violazione della privacy e il rischio infortunistico, sono state invece respinte, com'è avvenuto in primo grado.
Il processo torinese a Foodora va ben al di là del fatto specifico ed ha valenza per tutti quei lavori a chiamata gestiti attraverso piattaforme digitali denominata “gig economy ”. Aver allineato i Rider alle retribuzioni del contratto della logistica è senz'altro un passo avanti. Il rigetto di tutte le altre questioni lascia però aperta la porta a nuove forme di lavoro precario, sottopagato e senza diritto. Il mondo del “food delivery ” e delle consegne a domicilio in generale rimane quindi terra di conquista per i profitti miliardari delle multinazionali che possono mantenere uno stretto controllo sui lavoratori e spremerli all'osso per massimizzare i guadagni.
Sotto la spinta delle lotte dei Rider le cose iniziano però a cambiare, non solo in Italia. In Spagna il tribunale di Valencia ha condannato Deliveroo per il licenziamento illegittimo di Victor Sanchez, in quanto considerato lavoratore dipendente. In Olanda per capodanno i Rider hanno scioperato contro lo statuto da “partite Iva” imposto da Deliveroo. Questo significa sostenere i costi dell’attività che andrebbero invece a carico della società perché i lavoratori svolgono un’attività subordinata intermediata dall’algoritmo. Il 15 gennaio la Corte di Amsterdam in seguito al ricorso di 15 ciclofattorini di Deliveroo ha giudicato i Rider lavoratori dipendenti.

30 gennaio 2019