Di Maio in Usa per accreditarsi tra i governanti imperialisti americani

 
Nella conferenza stampa del 27 marzo dall'Istituto del Commercio Estero di New York il vicepresidente Luigi Di Maio gongolava nel sottolineare che “l’incontro che abbiamo avuto poco fa a Wall Street con i vertici della Borsa ci ha dato dei segnali importanti”, ossia “la disponibilità dei vertici della Borsa americana a collaborare insieme per aiutare il sistema Italia” e “ad agevolare i processi di quotazione delle aziende italiane” dopo aver “manifestato apprezzamento anche per i piani di investimento e le politiche di sviluppo del Governo italiano”. Se questi apprezzamenti produrranno o meno risultati per i capitalisti italiani, sono loro il “sistema Italia” per conto dei quali agisce il ducetto M5S e non certo i lavoratori e le masse popolari italiane, lo vedremo; certo è che non erano gli affari l'unico tema importante della sua visita negli Usa, della stessa importanza erano i contatti politici necessari a riaccreditarlo tra i governanti imperialisti americani che solo fino a pochi giorni prima avevano tenuto sotto osservazione e sotto pressione il governo italiano e le sue intese sulla nuova Via della Seta con il socialimperialismo cinese di Xi, il primo e diretto concorrente dell'imperialismo Usa.
Durante la visita romana del nuovo imperatore cinese Xi, l'altro vicepresidente Matteo Salvini, accantonando per il momento l'amicizia con Putin si era smarcato dal governo stretto nell'abbraccio con Pechino e aveva sbandierato la sua fedeltà al maestro Trump. Di Maio doveva recuperare nei rapporti con la Casa Bianca e il viaggio negli Usa è caduto a fagiolo. Per ribadire intanto che “gli Usa sono gli alleati principali, la Russia interlocutore storico”, come affermò nel novembre 2017 nel viaggio istituzionale come vicepresidente della Camera ma anche come leader del M5S in preparazione del salto a Palazzo Chigi. L'altra carta che giocò a Washinton furono gli elogi alla riforma fiscale di Trump a favore dei capitalisti e dei redditi più alti che, promise, il M5S “vuole replicare”.
Questa volta la visita istituzionale negli Usa come Ministro dello sviluppo economico è iniziata il 27 marzo dall'incontro col Segretario al commercio Wilbur Ross e a seguire coi rappresentanti delle Big tech, le principali aziende dell’economia digitale, cui Di Maio ha garantito che avranno sempre le porte aperte in Italia, quelle cinesi sarebbero ancora tenute fuori.
A Ross infatti, dichiarava il Ministro al termine dell’incontro, “ho avuto modo di rassicurare sul tema della Via della Seta e sul fatto che non si tratta assolutamente di un'alleanza geopolitica, ma solo di un’occasione commerciale per le nostre aziende anche perché il rischio era che altri Stati europei potessero scavalcarci. C’è quindi tutta la volontà, sia da parte americana che italiana, di lavorare insieme per accrescere sia l’interscambio commerciale che di riequilibrarlo, anche favorendo le importazioni in Italia di prodotti americani”. Musica per le orecchie del fascista Trump che per questo butta all'aria e vuole riscrivere tutte le intese commerciali. L'incontro si chiudeva con l'affermazione: “gli Stati Uniti sono il nostro alleato privilegiato e vogliamo che resti tale”.
Nei successivi incontri politici, da viceministro, Di Maio partiva da assicurare l'alleato che il governo italiano aveva un piano per “mettere in rete i ministeri degli Interni, della Difesa e dei Trasporti con i nostri servizi della sicurezza” sul modello americano, un sistema che “si rifà alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti”. L'argomento sarebbe da ministro degli Interni ma Di Maio sconfina, questa volta lui, sgomitando per elogiare il fascista Trump. Chiudeva infine il viaggio con l'incontro del 28 marzo con il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Bolton, il regista dell'ingerenza imperialista in Venezuela, cui assicurava che “l’Italia non riconosce Nicolas Maduro e la legittimità delle elezioni che si sono svolte in Venezuela”. Insomma siamo a fianco dell'imperialismo americano anche se non riconosciamo il fantoccio Guaidò.

3 aprile 2019