Viva il 1° Maggio, Giornata Internazionale delle lavoratrici e dei lavoratori.
Proletariato al potere e socialismo
Buttiamo giù il governo nero fascista e razzista Salvini-Di Maio

di Andrea Cammilli*
Viva il Primo Maggio! Viva i lavoratori! Viva il socialismo!
Storicamente sono state queste le parole d'ordine che animavano i cortei, le manifestazioni e i comizi che celebravano la Giornata Internazionale delle lavoratrici e dei lavoratori. Esse esprimono chiaramente il suo carattere proletario e anticapitalista a cui noi marxisti-leninisti ci ispiriamo, non per guardare solamente al passato, ma per riconfermare nel presente l'attualità e l'urgenza di lottare contro il capitalismo e per il socialismo.
Oggi si cerca in ogni modo di cancellare le vere radici del Primo Maggio, celebrato per la prima volta a fine '800 dal movimento operaio che si stava organizzando in tutta Europa e negli Usa. All'inizio il suo scopo era quello di ottenere la giornata lavorativa di 8 ore, che allora oscillava tra le 12 e le 16 ore fanciulli compresi. Proprio durante una manifestazione operaia per la riduzione dell'orario di lavoro svoltasi a Chicago ai primi di maggio del 1886, la polizia al servizio dei padroni sparò sulla folla causando decine di morti tra i manifestanti.
Furono le organizzazioni operaie riunite nella Seconda Internazionale, di cui Engels era il dirigente riconosciuto, che per ricordare quella strage decisero nel 1889 che ogni anno si tenesse il 1° Maggio, in tutti i paesi, una grande manifestazione dei lavoratori. Ben presto questa giornata assunse, e mantenne anche in seguito, un carattere anticapitalistico ben marcato, di lotta e denuncia delle condizioni di sfruttamento che subiscono i lavoratori sotto il capitalismo.
Oggi, nel 2019, ci sono le ragioni per celebrare questa giornata con quello stesso spirito? Sì, perché il sistema capitalistico è ancora in piedi, nonostante dimostri palesemente il suo stato di crisi e di essere la causa dell'acuirsi delle diseguaglianze, dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo e della distruzione dell'ambiente.
Il capitalismo, in qualsiasi forma si palesi, è la società dove la borghesia detiene il potere effettivo e il proletariato è la classe subalterna nonostante sia quella che produce la ricchezza. L'attuale "globalizzazione" imperialista dei mercati e della finanza, promessa come mezzo per diffondere crescita economica, benessere sociale e democrazia, ha in realtà fatto riemergere e acutizzato enormemente tutte le insolubili contraddizioni connaturate col capitalismo e l'imperialismo denunciate a suo tempo da Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao legate alla proprietà privata dei mezzi di produzione e allo sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
I lavoratori, anche quelli dei paesi considerati nel suo complesso più ricchi ed evoluti, stanno subendo da anni un violento attacco ai loro diritti e alle loro condizioni economiche e sociali. Solo per restare all'Italia, nel volgere di pochi anni è stato stravolto il diritto del lavoro borghese con la cancellazione dell'articolo 18, licenziamenti più facili, riduzione del diritto di sciopero e precarizzazione del rapporto di lavoro: voucher, part-time involontario, lavoro a chiamata, finte cooperative, tempo determinato, deroghe al contratto nazionale.
In questi anni, non solo in Italia, le nuove tecnologie anziché alleviare la fatica e diminuire l'orario di lavoro sono state utilizzate per aumentare lo sfruttamento e per il controllo poliziesco dei lavoratori, a partire da quelli della cosiddetta smart e gig economy , quell’economia dei lavori a chiamata, degli algoritmi e del controllo digitale che hanno ricreato condizioni di lavoro da capitalismo ottocentesco, seppur con nuove forme tecnologiche.
Senza dimenticare quelle controriforme che, quasi sempre con il consenso dei sindacati confederali, hanno indirizzato il TFR verso i fondi privati, sviluppato il welfare aziendale in sostituzione della sanità e della previdenza universale e pubblica, aumentato l'età pensionabile e diminuito l'importo della pensione.
Un attacco che colpisce in maniera pesante anche le tasche dei lavoratori. Basti pensare che in soli 7 anni, tra il 2010 e il 2017 in Italia i salari sono diminuiti in termini reali del 4%, oggi si comprano 1060 euro di beni in meno. Da questo punto di vista il nostro Paese si colloca in fondo alla classifica europea; non solo dietro a Svizzera e Regno Unito, ma ai maggiori Paesi della zona euro come Germania, Francia, Belgio, Olanda, Austria.
Nel 1970 la quota salari del prodotto interno lordo (PIL) era del 70%, oggi è sotto il 60. Insomma la quota posseduta dai lavoratori dipendenti rispetto alla ricchezza nazionale è calata del 10%. Di pari passo i profitti dei capitalisti sono cresciuti, aumentando macroscopicamente le diseguaglianze. Come ci ha insegnato Marx, i maggiori guadagni del capitale non si riversano anche sui lavoratori, che invece hanno dovuto pagare le conseguenze della crisi capitalistica.
In Italia esiste quindi una questione salariale, ma che non può trovare la soluzione con il salario minimo per legge. Una misura che nelle attuali condizioni di offensiva padronale e governativa porterebbe solo all'appiattimento dei salari verso il basso e alla cancellazione del contratto nazionale di lavoro. E nemmeno si risolve con la diminuzione del “cuneo fiscale” sostenuta anche dai sindacati confederali, che agevola solo le aziende e taglia risorse alla spesa pubblica.
Bisogna estendere i contratti nazionali a chi ne è sprovvisto, ma questi devono portare diritti e salari reali ai lavoratori, contratti come l'ultimo dei metalmeccanici non servono a nulla o solo a peggiorare le cose. E invece della riduzione delle tasse alle aziende bisogna rivendicare aumenti salariali, sia per quelli più bassi ma anche per quelli medi.
L'attuale governo Salvini-Di Maio, ben lungi dall'essere “del cambiamento”, è in perfetta continuità con gli esecutivi precedenti e la loro politica di sacrifici per i lavoratori e benefici per il padronato. Con l'avvento di questo governo nero il razzismo e il fascismo, direttamente esercitato o istigato, hanno raggiunto dei livelli mai visti fin'ora, nemmeno dai più reazionari governi democristiani o del neoduce Berlusconi. La sua azione è caratterizzata dalla politica anti-migranti, dalla repressione delle masse in lotta, da una visione della società familista e oscurantista.
Ma anche a livello economico e sociale l'alleanza Lega-5 Stelle si sta muovendo, e non poteva essere altrimenti, in favore delle imprese e contro lavoratori e masse popolari. Hanno promesso di “cancellare la povertà” e di ridare “dignità” al lavoro, hanno annunciato un “anno bellissimo” dal punto di vista economico, l'abolizione della Fornero e nuove assunzioni.
In realtà l'articolo 18 non è stato reintrodotto e la precarietà non è stata intaccata, l'assetto previdenziale è rimasto inalterato salvo una pensione anticipata per alcuni ma con un importo più basso. La disoccupazione aumenta, l'Italia è all'ultimo posto in Europa per crescita economica e Salvini e Di Maio vogliono abbassare le tasse ai ricchi con la Flat tax , aiutare le imprese con gli sgravi fiscali e i condoni facendoli pesare sui conti pubblici che avranno la conseguenza di far scattare a breve l'aumento dell'IVA.
“Quota 100” e “Reddito di cittadinanza” sono solo dei deboli e temporanei palliativi che non spostano la sostanza antioperaia e antipopolare di questo governo che deve essere buttato giù al più presto prima che porti ancora più avanti la fascistizzazione del Paese e l'impoverimento delle masse.
Per rispondere colpo su colpo a questi attacchi servirebbero sindacati di ben altra pasta. I sindacati confederali perseguono la politica della concertazione e del corporativismo che hanno portato alla repentina perdita di diritti e salari. Una linea che si è spinta fino a invitare i lavoratori a sostenere l'Unione Europea imperialista (UE) invece che ad astenersi alle prossime elezioni del 26 maggio firmando un appello comune assieme alla più grande associazione padronale, la Confindustria.
Un'iniziativa molto grave e senza precedenti, che vede Cgil, Cisl e Uil appoggiare quella UE che ha imposto a ogni paese membro la distruzione dei diritti del lavoro, dello “Stato sociale” e la politica di lacrime e sangue nel tentativo di far uscire il capitalismo dalla crisi in atto dal 2008. Al contempo regalando miliardi di euro a banche e aziende private. L’UE invece va distrutta per il bene delle lavoratrici e dei lavoratori e dei popoli europei. Intanto va delegittimata e isolata assieme alle sue istituzioni e governi attraverso l’astensionismo.
Cgil, Cisl e Uil hanno fatto il loro tempo, ma non serve far nascere una nuova sigla da aggiungere alle altre. Occorre costruire dal basso un grande sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati fondato sulla democrazia diretta e sul potere sindacale e contrattuale delle Assemblee generale degli uni e degli altri. Si tratta di un processo che nel tempo comporta l'unificazione sindacale di tutti i lavoratori e i pensionati, andando oltre le attuali confederazioni sindacali e anche quelle non confederali.
Un sindacato che rifiuti a livello di principio la concertazione e il “patto sociale” con il governo e il padronato e assuma una piattaforma rivendicativa che abbia come unico scopo la conquista di migliori condizioni di vita e di lavoro. Rifiuti di legare i salari e i diritti alla flessibilità, alla produttività e alle compatibilità capitalistiche, rifiuti il corporativismo perché è solo con la lotta di classe, con l’uso di tutti i metodi di lotta a disposizione, che possono essere conquistati veri ed effettivi avanzamenti sociali per gli sfruttati e gli oppressi.
Ma anche questo non basterebbe. Anche invertendo la tendenza a favore del proletariato, se non mettiamo in discussione il sistema economico capitalistico e la società borghese non potremo mai realizzare un cambiamento radicale, ma al massimo ottenere delle conquiste parziali e temporanee, che al primo momento d'indecisione il nemico di classe annullerebbe, come sta avvenendo in questi ultimi anni.
Come dimostra oltre un secolo di storia italiana e mondiale quei partiti, movimenti, correnti di pensiero che hanno creduto, o hanno voluto far credere, di poter riformare il capitalismo e renderlo più umano alla fine ne hanno accettato pienamente le regole e spesso sono diventati i suoi cani da guardia più fedeli, i più accaniti nel “mordere” i lavoratori e le masse popolari.
Lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, le diseguaglianze economiche e sociali, la disoccupazione, la povertà, la violenza sulle donne e la discriminazione sessuale, la corruzione, l'arrivismo, le mafie, l'inquinamento e i cambiamenti climatici non potranno mai essere affrontati seriamente se non viene distrutto dalle fondamenta l'attuale sistema economico basato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione, sul profitto e sul dominio della borghesia.
Come affermato dal Segretario generale del PMLI, compagno Giovanni Scuderi, nell'Editoriale per l'Anniversario della fondazione del Partito, bisogna “creare una nuova situazione storica, politica e organizzativa che tagli fuori tutti i partiti, i leader e i politicanti che sostengono, in un modo o in un altro, questo regime e che si faccia carico di costruire una mentalità, un comportamento, una mobilitazione e un’alleanza rivoluzionarie tra tutte le forze e i singoli combattenti che ambiscono a una nuova società”.
In particolare la classe operaia deve prendere coscienza di essere una classe per sé, con una propria cultura, visione del mondo e modello sociale. La società dei lavoratori, la società del proletariato è il socialismo, mentre il capitalismo è la società della borghesia. Cambiare governo vuol dire solo alternare una fazione borghese a un'altra, lasciando tutto invariato senza cambiare sistema economico e sociale, questo si cambia solo con il proletariato al potere.
Rinunciare alla lotta per il socialismo significa accettare il capitalismo e tutte le sue ingiustizie, non ci sono altre via d'uscita. Per questo lanciamo un appello al proletariato e alle masse lavoratrici, affinché abbandonino le illusioni riformiste e parlamentariste e costituzionali che non hanno mai portato a niente e prendano seriamente in considerazione la proposta strategica del PMLI: quella della conquista del potere politico da parte del proletariato e del socialismo, che è la madre di tutte le questioni.
Viva il Primo Maggio!
Viva la classe operaia, le lavoratrici e i lavoratori!
Buttiamo giù il governo nero razzista e fascista Salvini-Di Maio!
Per l'Italia unita, rossa e socialista!
Coi Maestri e il PMLI vinceremo!
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* Responsabile della Commissione per il lavoro di massa del Comitato centrale del PMLI

24 aprile 2019