No al sindacato unico confederale appoggiato dalla Confindustria e sponsorizzato da “Repubblica”
Landini propone anche l'”umanesimo sociale” di stampo cattolico al posto della lotta di classe

Il neo segretario della Cgil alla vigilia del Primo Maggio è tornato nuovamente sulla questione del sindacato unico. Stavolta però non lo ha fatto in qualche direttivo sindacale di una periferica provincia italiana, bensì dalle pagine di uno dei principali giornali borghesi, “la Repubblica”, e con l'appoggio esplicito della maggiore associazione padronale, la Confindustria.
Gli industriali italiani negli ultimi tempi sono sempre più vicini ai sindacati confederali. Riduzione del cuneo fiscale, agevolazioni alle aziende, avanzamento e realizzazione delle “grandi opere”, salari legati alla produttività, sono temi che accomunano Cgil,Cisl,Uil e Confindustria, che è ben felice di trovarsi di fronte un interlocutore docile e che parli con una voce sola.
Il 30 aprile Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria, in un'intervista a Sky Tg24, intervenendo sui temi del debito pubblico, della manovra economica del governo, della Flat Tax e delle tasse, degli investimenti, dell'Unione Europea, ha fatto proposte che si ritrovano quasi identiche nella piattaforma rivendicativa di Cgil, Cisl e Uil. A conferma di questa identità di vedute, durante l'intervista ha ripetuto almeno una decina di volte la frase “noi e i sindacati”.
Il giorno dopo, nell'edizione del Primo Maggio, “la Repubblica” ha pubblicato con grande evidenza un'intervista al segretario della Cgil Maurizio Landini che si apriva con questa frase: “Le ragioni storiche, politiche e partitiche che portarono alla divisione tra i sindacati italiani non esistono più. Oggi possiamo avviare un nuovo processo di unità tra Cgil, Cisl e Uil“. Su quelle ragioni dice pochissimo, qualche verità, alcune bugie, ma sopratutto vi sono molte omissioni. Questo per non andare a riesumare gli scheletri negli armadi della Cgil, ma sopratutto di Cisl e Uil.
Furono infatti queste due organizzazioni che andarono a rompere l'unità sindacale del dopoguerra. Allora gli Usa e la Gran Bretagna, dopo la sconfitta del nazi-fascismo, ruppero l'alleanza con l'Urss e scatenarono la “guerra fredda” contro l'allora campo socialista. Crearono l'alleanza militare imperialista e anticomunista della Nato (1949), mentre in Italia il PCI revisionista e il PSI erano stati cacciati dal “governo di unità nazionale” (1947), il tutto sotto la pressione dell'imperialismo americano che aveva subordinato gli aiuti economici del Piano Marshall alla stretta osservanza della politica statunitense.
È in questo quadro politico che, sempre sotto la regia USA, nascono nel 1950 Cisl e Uil, per combattere l'egemonia del PCI nel sindacato unitario, portando la divisione tra i lavoratori, mentre si scatena in tutto il Paese la repressione padronale e governativa contro i comunisti e contro gli iscritti alla Cgil. Come conseguenza i sindacati diventano di stretta emanazione partitica: la Cgil è sostenuta dal PCI e dal PSI, la Cisl dalla DC, la Uil dai repubblicani (PRI) e dai socialdemocratici (PSDI).
Una divisione che almeno in questi termini durò poco. L'avvento al potere dei revisionisti nei Paesi un tempo socialisti, il ripudio anche formale della lotta per il socialismo da parte del PCI, il congresso dell'Eur del 1978 in cui la Cgil sposò la linea della moderazione salariale e l'introduzione della flessibilità del lavoro, riavvicinarono le tre sigle. In ogni caso la Uil, e soprattutto la Cisl, hanno sempre mantenuto una marcata impostazione filopadronale, collaborativa, aziendalista e corporativa.
Questo, a grandi linee, il quadro politico generale in cui si consumò la divisione sindacale e che, oggettivamente, non esiste più. Non sono però cambiati i rapporti economici capitalistici anzi, questi hanno aumentato le diseguaglianze sociali, e neanche Landini può negarlo. Si sono invece quasi annullate del tutto le differenze tra i sindacati confederali. Questo perché la Cgil ha sposato le posizioni da sempre sostenute da Cisl e Uil, ed è sopratutto questo che rende possibile, oggi, una riunificazione.
Nella già citata intervista Landini ribadisce che le tre sigle hanno posizioni condivise sul fisco, sulla sanità, sulle pensioni, sulla contrattazione, sul Mezzogiorno, sugli investimenti pubblici e sulla pubblica amministrazione, ma Landini è disposto a spingersi più in là. “Possiamo fare un passo in più in direzione di quello che definirei un umanesimo sociale nel quale ci sia al centro il lavoro e la solidarietà”, ovvero s'intende sposare la dottrina interclassista della chiesa cattolica da sempre sostenuta dalla Cisl, in sostituzione della lotta di classe.
Quantunque Landini cerchi di accreditare la sua proposta come un obiettivo da realizzare per difendere meglio i lavoratori, la sua idea non è né nuova né rivoluzionaria ma riprende quel sindacato unico istituzionale e corporativo che pochi anni fa era stato già lanciato dal tandem Renzi-Marchionne e sostenuto dal giuslavorista di destra del PD Pietro Ichino e da Romano Prodi.
L'ex presidente del Consiglio Prodi ha ribadito il suo pensiero recentemente, al convegno di Matera del 6 maggio tenuto da Cgil,Cisl e Uil su Europa, lavoro e cultura. Il vecchio leader democristiano dell'Ulivo e dell'Unione si è espresso così: “secondo me l'unità sindacale serve tanto, non voglio entrare nella vostra discussione, ma il Paese ha bisogno di avere un punto di riferimento. Ci sono momenti del Paese in cui l'interesse generale si difende insieme".
È evidente che stiamo parlando di un sindacato sviluppato e configurato a sostegno del capitale, dove i lavoratori devono sottostare a tutti gli sforzi che i capitalisti fanno per aumentare i loro profitti, anche a quelli che prevedono meno diritti, ritmi di lavoro più alti, salari da fame. Un sindacato unico riassumibile nel “modello Pomigliano”, che non accetta il dissenso, che abbia il completo controllo dei lavoratori ed emargini chiunque si opponga a questa impostazione corporativista o “semplicemente” intende difendere i propri interessi di classe. Che a livello più generale sostenga il capitalismo italiano per aiutarlo nella competizione mondiale, a dotarlo di grandi infrastrutture, che appoggi l'Unione Europea imperialista.
Un modello che sta prendendo forma da tempo anche se non si è ancora concretizzato ufficialmente. Con le deroghe ai contratti nazionali di lavoro (cnl), con i salari bloccati e legati alla produttività, con la compressione del diritto di sciopero, con gli enti bilaterali amministrati insieme ai padroni che sottraggono risorse alla previdenza e alla sanità pubblica, con il sì alla Tav e allo “sblocca cantieri”, con l'invito congiunto assieme a Confindustria per andare a votare alle prossime elezioni europee.
Noi marxisti-leninisti ci opponiamo fermamente al sindacato unico confederale sottomesso agli interessi padronali. C'è bisogno di una nuova rappresentanza, ma che faccia gli esclusivi interessi delle lavoratrici e dei lavoratori. Per questo serve un unico grande sindacato dei lavoratori e dei pensionati del settore pubblico e privato che soppianti Cgil-Cisl-Uil e i sindacati non confederali, basato sulle democrazia diretta e sul potere delle assemblee generali, dove i lavoratori e i pensionati possano eleggere chi vogliono e non ci siano discriminazioni verso chi non firma accordi.
Ma sopratutto un unico sindacato che rifiuti a livello di principio la concertazione e il “patto sociale” con il governo e il padronato e assuma una piattaforma rivendicativa che abbia come unico scopo la difesa dei diritti e la conquista di migliori condizioni di vita e di lavoro.
 

15 maggio 2019