Intervenendo al Consiglio di sicurezza dell'Onu
Abu Mazen respinge l'”Accordo del secolo” ma apre agli Usa e a Trump
Il popolo palestinese in piazza: “La Palestina non è in vendita”; “No all'accordo del secolo”

 
La posizione del popolo palestinese su l'”Accordo del secolo”, il piano imperialista pomposamente presentato dal presidente americano Donald Trump come la soluzione decisiva per avere la pace in Palestina ossia per legittimare definitivamente l'occupazione illegale dei sionisti di Tel Aviv pagandola a suon di dollari, è emersa anche nelle manifestazioni ai primi di febbraio quando migliaia di manifestanti in piazza nelle città della Cisgiordania e della striscia di Gaza hanno gridato “la Palestina non è in vendita” e “No all'accordo del secolo”. Slogan ripetuti in particolare nelle manifestazioni dell'11 febbraio per accompagnare l'intervento del presidente Abu Mazen alla riunione straordinaria del Consiglio di sicurezza dell'Onu a New York, convocata per discutere della situazione mediorientale.
A dire il vero la riunione dell'organismo decisionale delle Nazioni Unite era stata richiesta dall'Autorità nazionale palestinese, tramite una mozione presentata dai rappresentanti di Indonesia e Tunisia membri di turno del Consiglio Onu, affinché si pronunciasse con una bocciatura della proposta di Trump e del premier sionista Benyamin Netanyahu resa ufficialmente pubblica nel loro incontro del 28 gennaio alla Casa Bianca.
La proposta di mozione affermava che il piano degli Stati Uniti “viola il diritto internazionale e i termini di riferimento approvati a livello internazionale per il raggiungimento di una soluzione giusta, completa e duratura al conflitto israelo-palestinese, come sancito dalle pertinenti risoluzioni delle Nazioni Unite”. Denunciava che il Piano proposto dall’amministrazione americana “mina gli inalienabili diritti e aspirazioni nazionali del popolo palestinese, compresa l’autodeterminazione e l’indipendenza” e che gli insediamenti in Cisgiordania e Gerusalemme Est “sono illegali” e in contrasto con le risoluzioni delle Nazioni Unite dal 1967, inclusa la risoluzione numero 2334 che condanna la costruzione di insediamenti dei coloni sionisti dal 2016. Una risoluzione sulla quale l'allora presidente americano Barack Obama non aveva posto il veto ma aveva confermato la politica filosionista dell'imperialismo americano senza batter ciglio di fronte alla costruzione di nuovi insediamenti in Cisgiordania. Trump non ha bisogno di questi giochini e sponsorizza apertamente la politica degli alleati di Tel Aviv. E ha annunciato il veto Usa alla risoluzione presentata da Indonesia e Tunisia al Consiglio Onu.
La riunione si è tenuta lo stesso, pur trasformata in una semplice passerella nella quale si sono esibiti senza colpo ferire anche i rappresentanti di Russia e Cina che non hanno condannato nemmeno a parole il piano di Trump. Lo hanno fatto esplicitamente i rappresentanti di Indonesia e Tunisi che si sono presi il compito di lavorare alla preparazione di un testo di condanna a fronte della spudorata difesa della bontà della proposta imperialista ripetuta dalla tribuna Onu dal rappresentante del regime di Tel Aviv, invitato per l'occasione. Il nuovo testo potrebbe essere presentato all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dove è possibile che venga approvata.
Come invitato era presente il presidente palestinese Abu Mazen che ha respinto l'”Accordo del secolo” ma la sua denuncia ha perso forza nel momento in cui ha aperto agli Usa e a Trump lamentandosi che non possono muoversi come se fossero gli unici mediatori con Israele e riponendo la sua fiducia nell'azione del cosiddetto Quartetto per il Medio Oriente, composto da rappresentanti di Usa, Russia, Ue e Onu.
Nella pur breve riunione di neanche tre ore convenevoli compresi, la numero 8717 dell'11 febbraio, presieduta dal belga Philippe Goffin con all'ordine del giorno la situazione in Medio Oriente, compresa la questione palestinese, come recita il verbale della seduta, Abu Mazen ha ribadito il rifiuto già espresso della proposta proveniente da Israele e dagli Stati Uniti. Una proposta irricevibile per la Palestina come dovrebbe esserlo per la comunità internazionale, non certo un punto di riferimento per alcun negoziato, poiché rappresenta “un piano preventivo, concordato tra Israele e Stati Uniti per mettere la parola fine alla questione palestinese”, sulla base delle loro esigenze. La soluzione non può essere la mappa della Palestina presentata in allegato al piano, sosteneva il presidente palestinese, che è più simile a un formaggio con i buchi che a uno Stato ma deve venire da una conferenza internazionale di pace con la partecipazione della Palestina e di Israele, magari sotto “gli auspici del Quartetto e secondo i parametri concordati a livello internazionale”. Ma se il riferimento per Abu Mazen e l'Onu resta l'ipotesi oramai dimostratasi più che fallimentare dei due Stati il popolo palestinese resterà sempre in un vicolo cieco.
Se voleva negoziare poteva iniziare dalla discussione sulla base della proposta Usa, era il commento arrogante del rappresentate sionista che aveva l'appoggio di quello Usa. E mentre Russia e Cina non andavano oltre gli auspici di circostanza per l'ennesima ripresa di un negoziato farsa, che tenuto finora sotto l'egida dell'imperialismo è stato fallimentare per il popolo palestinese, solo la Francia si azzardava a ricordare come il diritto internazionale e le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza non sono semplici opzioni che gli Stati membri possono adottare o trascurare. Poteva essere il preludio per una presa di posizione più forte a favore dei diritti dei palestinesi anche da parte della Ue ma era il solito fuoco di paglia. Sotto i rimbrotti di Tel Aviv Francia e Ue facevano la consueta vergognosa marcia indietro e nel Consiglio dei ministri degli Esteri del 17 febbraio rimandavano ogni ulteriore commento a dopo le elezioni del 2 marzo a Tel Aviv.

19 febbraio 2020