Per non rispondere dei contagi da Covid-19 tra le lavoratrici e i lavoratori
La Confindustria chiede lo scudo penale per le imprese

Una Confindustria sempre più aggressiva e rapace quella del neo presidente Bonomi. Dopo aver chiesto, e ottenuto, sgravi fiscali, esenzioni, finanziamenti a fondo perduto, adesso pretende anche la salvaguardia legale da qualsiasi responsabilità nella diffusione dei contagi tra i lavoratori. Questo protagonismo dell'associazione degli industriali va ben al di là delle dichiarazioni estemporanee legate al particolare momento, o alle consuete pressioni esercitate pesantemente sul governo per ottenere vantaggi e la definitiva liquidazione di quei pochi “lacci e lacciuoli” che ancora frenano il selvaggio supersfruttamento della forza-lavoro. Comportamenti inaccettabili, ma prevedibili dopo l'elezione di Bonomi.
Confindustria sta approfittando dell'emergenza causata dal Coronavirus per mettere le aziende private in un'“area protetta”, dove siano intoccabili e possano acquisire delle prerogative che le mettano al riparo perfino dalle leggi borghesi esistenti. Non stiamo esagerando perché quando chiede la sospensione dei Contratti Nazionali di Lavoro (CCNL), che i debiti delle imprese siano ripianati dallo Stato, che il privato non debba rispondere della salute dei lavoratori e delle esigenze della collettività, va a infrangere alcuni dei principali articoli della stessa Costituzione borghese.
La discussione in questione verte sul fatto che il decreto “Cura Italia” (quello di aprile) riconosce la copertura Inail “nei casi accertati di infezione da Coronavirus in occasione di lavoro”, trattando dunque il contagio come un infortunio lavorativo, come del resto è previsto da sempre nei casi di malattie infettive. Ma nel corso di una pandemia come quella da Covid-19, con migliaia di casi, gli industriali vorrebbero eliminare eventuali controlli in azienda e possibili risarcimenti.
Massimo Stirpe, il vice di Confindustria, ha dichiarato: “In tutte le strutture sanitarie, private o pubbliche, esiste un rischio di questo tipo. Per questo viene messa in atto una valutazione puntuale del rischio professionale. Diverso è il discorso per le situazioni in cui il rischio è generico. In quel caso, la spada di Damocle della responsabilità penale è ingiusta. Peraltro, il lavoratore è in azienda per 8 ore. Chi può davvero dimostrare, chiedo, che il contagio sia avvenuto in fabbrica, e non in metropolitana, sull'autobus, in casa?”. Insomma, la Confindustria chiede uno scudo penale per le imprese che le metta al riparo dal rischio di essere trascinate in tribunale e condannate per lesioni o peggio, per omicidio, nel caso di morte del contagiato.
“Sarebbe ingiusto perseguire l'imprenditore che ha applicato i Protocolli per la sicurezza con totale correttezza e buona fede", continua il vice di Bonomi. Una polemica del tutto pretestuosa perché una nota della stessa Inail precisa che “i criteri applicati per l’erogazione delle prestazioni assicurative ai lavoratori che hanno contratto il virus sono totalmente diversi da quelli previsti in sede penale e civile, dove è sempre necessario dimostrare dolo o colpa per il mancato rispetto delle norme a tutela di salute e sicurezza”. Quindi si valuta caso per caso anche se, qualora in un'azienda si registrassero decine di positivi, sarebbe difficile negare che il contagio non sia avvenuto in ambito lavorativo.
Che le richieste della Confindustria non abbiano nessun fondamento legislativo ma solo propagandistico lo pensa anche il giudice di Corte di Cassazione Roberto Riverso. In un'intervista ha chiarito: “la campagna di stampa per lo scudo penale alle imprese si basa sull’articolo 42 della legge di conversione del Cura Italia (legge 18/2020) che ha previsto come la contrazione del virus dia luogo a infortunio piuttosto che a malattia. Ma ciò è stabilito solo ai fini della sua protezione indennitaria nell’ambito del sistema dell’assicurazione”.
Ma allora, se non c'è questa “penalizzazione” delle imprese, perché i padroni fanno tanto le vittime? “Per ottenere un più generale salvacondotto rispetto alla eventuale sottoposizione alle normali azioni civile e penali. Una richiesta di protezione che è totalmente ingiustificata dal momento che già i principi in vigore e la loro prassi applicativa non consentono di condannare nessun imprenditore per omicidio o lesioni colpose quando egli rispetta le regole precauzionali. Il fronte datoriale agita questioni strumentali, inesistenti, che nascondono la realtà e che mirano a ottenere un privilegio incostituzionale”, risponde sempre Riverso.
Anche la Cgil ha reagito in maniera critica mentre il sindacato USB è stato più esplicito e diretto: “l’attacco di Confindustria all’Inail sottende in realtà una vera e propria rivendicazione di avere mani libere su condizioni e organizzazione del lavoro, l’insofferenza verso ogni regola che tuteli i lavoratori, l’indignazione per la lesa maestà di possibili, quanto improbabili, controlli da parte di quello Stato al quale si chiede continua assistenza senza contropartite“.
Si tratta di una campagna mediatica ben orchestrata, che vede in prima fila Confindustria, Berlusconi, Salvini, Meloni e Renzi uniti nel chiedere, oltre a lauti aiuti finanziari, mano libera alle aziende che, secondo questi “patrioti”, dovrebbero avere meno regole, anche nel campo della sicurezza. Medici e infermiere, operai e commesse, rider e fattorini, lavoratrici delle pulizie, che durante la fase più acuta della pandemia hanno avuto la ribalta delle cronache e sono apparsi di fronte all'opinione pubblica come il vero “motore” che crea ricchezza e manda avanti il Paese, devono tornare nei ranghi, per lasciare spazio alle imprese private, “la vera eccellenza italiana” che ci potrà portare fuori dalla crisi a patto di non avere troppi bastoni tra le ruote.
Campagna ben recepita dal governo Conte e dai partiti che lo sostengono, PD e 5Stelle, che nell'ultimo decreto “Rilancia Italia” hanno destinato la maggioranza delle risorse e dei provvedimenti a favore dei capitalisti e le briciole ai lavoratori e alle masse popolari.
 

20 maggio 2020