Giovanni Scuderi
Mao e la rivoluzione in Italia
Discorso pronunciato da Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI, a nome del Comitato centrale del Partito, il 9 settembre 1981 al Palazzo dei Congressi di Firenze, in occasione del quinto anniversario della morte di Mao. Il discorso è stato pubblicato per la prima volta su “Il Bolscevico”, nuova serie, anno V, n. 36 del 25 settembre 1981.

 
Compagne e compagni, amici,
il 9 settembre di cinque anni fa il presidente Mao Zedong lasciava questo mondo per andare a incontrare Marx, Engels, Lenin e Stalin. Probabilmente nel cielo dei martiri e degli eroi del proletariato ci deve essere stata una grande festa per accoglierlo. È certo però che su questa Terra calò improvvisamente una immensa tristezza e si aprì un grande vuoto. L'umanità progressista avvertì subito che aveva perso uno dei suoi più grandi figli, una delle figure più luminose di tutti i tempi, un costruttore di storia, un gigante del pensiero e dell'azione rivoluzionari. In effetti scompariva un grande Maestro del proletariato internazionale, delle nazioni dei popoli oppressi, il più grande marxista-leninista contemporaneo.
Ma col passare del tempo c'è il rischio che il presidente Mao venga imbalsamato nella storia, e che la sua grandiosa e straordinaria opera diventi un fatto culturale senza alcuna implicazione pratica. Di qui la necessità di tenerne sempre vivo il ricordo a livello di massa, di trasmettere integralmente i suoi insegnamenti alle nuove generazioni e, soprattutto, di mettere il suo pensiero alla base della vita e dell'azione dei Partiti marxisti-leninisti.
Se periodicamente non riaffermiamo pubblicamente la nostra fedeltà al pensiero di Mao e non rendiamo conto al proletariato di come concretamente noi lo applichiamo nella pratica, è facile che il presidente Mao venga trasformato in un'icona inoffensiva, i revisionisti facciano scempio della sua opera e del suo pensiero e il Partito cambi di colore e divenga un partito revisionista, borghese e controrivoluzionario. Ecco perché il Comitato centrale del PMLI - a nome del quale mi onoro di parlare - tiene ogni anno, nell'anniversario della scomparsa, una Commemorazione pubblica del presidente Mao, pronto a rettificare la propria linea politica qualora venisse riscontrata una benché minima incoerenza rispetto al marxismo-leninismo-pensiero di Mao Zedong.
Negli anni passati abbiamo trattato gli insegnamenti del presidente Mao sulla teoria della continuazione della rivoluzione sotto la dittatura del proletariato e la teoria dei tre mondi, la lotta contro il revisionismo moderno e la costruzione del Partito. Quest'anno invece poniamo la nostra attenzione su quello che egli ha indicato circa la tattica e la strategia della rivoluzione, con particolare riferimento alla presa del potere politico da parte del proletariato.
Con ciò non vogliamo certo copiare meccanicamente l'esperienza della rivoluzione cinese, perché essa è irripetibile e perché sarebbe sempre sbagliato copiare qualsiasi altra rivoluzione, ciascuna delle quali ha caratteristiche sue proprie che non si adattano ad altri paesi.
Lo stesso principale artefice della rivoluzione cinese, conversando con i rappresentanti di alcuni Partiti comunisti latino-americani in visita in Cina il 25 settembre 1956, ha sottolineato che “l'esperienza della rivoluzione cinese: creare basi d'appoggio nelle campagne, accerchiare le città partendo dalle campagne e infine conquistare le città, in molti dei vostri paesi probabilmente non è applicabile, ma può servirvi come elemento di riferimento. Mi permetto di esortare tutti i presenti a guardarsi dal trasporre meccanicamente l'esperienza cinese. Qualunque esperienza straniera può servire solo come elemento di riferimento, non deve essere presa come un dogma. Bisogna assolutamente integrare due fattori, la verità universale del marxismo-leninismo, la situazione specifica del vostro paese” 1.
Ed è appunto per integrare correttamente il marxismo-leninismo con la realtà dell'Italia che noi ricorriamo a questo grande maestro di rivoluzione.
Commemorare il presidente Mao per noi non è quindi una formalità, un rito, una consuetudine, ma un momento importante per discriminare il marxismo-leninismo dal revisionismo, presentare la linea del Partito, rispondere agli attacchi della borghesia e dei revisionisti, e per imparare ancora da quella fonte inesauribile che è colui che ha fatto uscire dalle tenebre un quarto dell'umanità, ha recato dei contributi immortali al marxismo-leninismo, ha dato un enorme impulso alla rivoluzione mondiale attirandovi milioni di sfruttati e oppressi dei 5 continenti e ha fatto mordere la polvere al revisionismo cinese e internazionale.
Ricordare oggi il presidente Mao vuol dire non solo difendere gli interessi fondamentali del proletariato mondiale e delle nazioni e dei popoli oppressi, ma anche difendere l'intero marxismo e l'intero leninismo, erigere una potente barriera d'acciaio contro il revisionismo moderno, salvaguardare il patrimonio acquisito durante questi 25 anni di lotta contro il revisionismo su scala internazionale, salvaguardare l'esistenza stessa dei nuovi Partiti marxisti-leninisti e spingere in avanti la rivoluzione e il socialismo nel mondo.
Ci richiamiamo ancor oggi a Mao, alla rivoluzione e al socialismo, mentre altri hanno ammainato ignominiosamente queste invincibili bandiere, non perché siamo dei nostalgici di un uomo e di un ideale ormai scomparsi insieme per sempre, ma perché siamo i combattenti d'avanguardia in Italia di tutti coloro che credettero e credono tuttora all'idea immortale del socialismo e del comunismo e alla via della Rivoluzione d'Ottobre. Non siamo insensibili alle novità rivoluzionarie sul piano ideologico e politico, ma per ora non vediamo altre novità proletarie rivoluzionarie che quelle apportate dal presidente Mao alla teoria rivoluzionaria scientifica elaborata da Marx, Engels, Lenin e Stalin.
 

Il pensiero di Mao rappresenta lo sviluppo del marxismo-leninismo
Il PMLI considera il pensiero di Mao come il concentrato delle idee, delle esperienze e delle indicazioni più giuste, più rivoluzionarie e più avanzate che il proletariato internazionale e i popoli e le nazioni oppresse hanno accumulato e selezionato nel corso di oltre cinquanta anni di storia.
Il pensiero di Mao ha arricchito e sviluppato il marxismo-leninismo nei campi teorico, filosofico, economico, politico e militare, dando le giuste risposte ai principali problemi della lotta di classe contemporanea. Esso costituisce l'arma ideologica fondamentale della rivoluzione non solo nei paesi del Terzo mondo ma anche in quelli capitalistici e imperialistici.
Il pensiero di Mao, in particolare, è essenziale e insostituibile per la rivoluzione socialista e per la costruzione del socialismo, campi in cui, con la teoria della continuazione della rivoluzione sotto la dittatura del proletariato e con l'esperienza pratica della Grande rivoluzione culturale proletaria, fornisce alla classe operaia inediti e fondamentali strumenti per difendere e sviluppare il socialismo contro i tentativi dei revisionisti e dei controrivoluzionari di restaurare il capitalismo.
Il pensiero di Mao non è un concentrato eclettico delle idee di più persone, ma il frutto di una elaborazione personale del presidente Mao fatta sulla base del marxismo-leninismo e dell'esperienza della rivoluzione cinese e di quella mondiale. Esso si è formato nel crogiolo della Grande Rivoluzione cinese, ma questo fatto storico non ne limita affatto la validità universale, anzi gli dà il crisma della verità e della giustezza. Infatti niente può essere ritenuto valido ed efficace se non è comprovato dalla realtà, dalla pratica sociale. Del resto l'autorità del pensiero di Lenin non discende proprio dalla vittoria della Grande Rivoluzione d'Ottobre?
Naturalmente nel pensiero di Mao va distinta la parte che è legata strettamente alle situazioni contingenti della Cina, dalla parte che ha un carattere universale a livello di principio, metodo, analisi e indicazioni generali e orientative. Di questa seconda parte vanno afferrati l'essenza, lo spirito e il nocciolo rivoluzionari per applicarli dialetticamente e correttamente alla nostra realtà nazionale.
Bisogna insomma adottare verso il pensiero di Mao lo stesso atteggiamento che abbiamo nei confronti degli altri Maestri del proletariato, quell'atteggiamento dialettico e coerente che il presidente Mao ha così sintetizzato: “La teoria di Marx, Engels, Lenin e Stalin è una teoria applicabile universalmente. Non dobbiamo considerarla come un dogma, ma come una guida per l'azione. Non bisogna limitarsi a imparare i termini e le espressioni del marxismo-leninismo, bisogna invece studiarlo come scienza della rivoluzione. Non si tratta soltanto di capire le leggi generali che Marx, Engels, Lenin e Stalin hanno tratto dal loro ampio studio della vita reale e dell'esperienza rivoluzionaria, ma anche di studiare la posizione e il metodo da essi assunti nell'esaminare e risolvere i problemi” 2.
Il fertile e inesauribile marxismo-leninismo-pensiero di Mao non si può certo ridurre a formulette, a frasi fatte da recitare a pappagallo, ma quando ci troviamo di fronte a una definizione e a una posizione rivoluzionarie e scientifiche, perfettamente corrispondenti ai tempi odierni e a una situazione determinata e specifica, non possiamo che tenerle a mente, approfondirle, scoprire la verità che contengono e usarle con forza per cambiare il presente in senso rivoluzionario.
Ogni classe ha i suoi libri e ciascuna di esse, per difendere i propri interessi e far valere le proprie ragioni, attinge ai propri “sacri testi”. Il proletariato si rifà al marxismo per comprendere e trasformare il mondo, la borghesia si rifà all'idealismo per difendere e conservare questo mondo. Non bisogna quindi aver paura di ricorrere ai nostri Maestri per imparare da essi come si fa e si vince la rivoluzione. Il problema è solo quello di sapere mettere bene in pratica la lezione imparata.
Badate bene però, quando diciamo lezione non vogliamo dire, come sostengono i revisionisti italiani, che il marxismo sia una semplice spiegazione di avvenimenti, fatti e conflitti - appartenenti a un passato lontano e a una zona geografica ben delimitata e particolare, e comunque non ripetibili in Occidente - ma un'ideologia completa che si contrappone organicamente e sistematicamente all'ideologia borghese. Il marxismo-leninismo-pensiero di Mao infatti è l'unica ideologia che dà un'interpretazione scientifica alla storia e alla struttura economica del capitalismo e nel contempo fornisce anche le armi necessarie per trasformare la realtà e far progredire la storia del mondo.
Il presidente Mao ha imparato tanto bene la lezione presa da Marx, Engels, Lenin e Stalin che, attraverso una straordinaria, lunga e complessa esperienza rivoluzionaria, con estrema naturalezza e senza alcuna ambizione in merito, ha raggiunto la loro altezza facendo compiere al marxismo-leninismo un grande balzo in avanti, rendendolo pienamente corrispondente alle necessità della lotta rivoluzionaria contemporanea. Cosicché oggi non ci può essere marxismo-leninismo autentico se non si include in esso il pensiero di Mao, e se non si ritiene che questo pensiero costituisca un proseguimento e uno sviluppo della teoria rivoluzionaria del proletariato. Il trattino che mettiamo tra marxismo-leninismo-pensiero di Mao rappresenta l'espressione politica e grafica della continuità e dello sviluppo che esistono tra il marxismo-leninismo e il pensiero di Mao.
Il marxismo-leninismo e il pensiero di Mao non sono due cose a sé, distinte e separate, ma due componenti di una sola unità dialettica. Come sarebbe sbagliato staccare il pensiero di Mao dal marxismo-leninismo e considerarlo a sé, un'esperienza rivoluzionaria particolare da tenere facoltativamente presente, altrettanto sbagliato sarebbe restringere il marxismo-leninismo al solo pensiero di Marx e Lenin. In tal caso vorrebbe dire da una parte privarsi della più recente e autorevole interpretazione del marxismo-leninismo data dal presidente Mao, e dall'altra permettere che il marxismo-leninismo gradualmente inaridisca e muoia. Infatti senza il pensiero di Mao, esso non sarebbe più all'altezza della situazione odierna, incapace di rispondere in pieno alle nuove esigenze rivoluzionarie. Sarebbe carente in particolare sulle questioni che riguardano la costruzione del socialismo e del Partito, l'economia socialista, il materialismo dialettico e il materialismo storico, l'analisi dell'attuale situazione internazionale, la strategia e la tattica della lotta contro le due superpotenze, l'imperialismo e il colonialismo, e la lotta contro il revisionismo moderno.
Senza contare che emarginando il pensiero di Mao dal marxismo-leninismo si farebbe un grosso favore alla banda revisionista di Breznev, che sulla libera e mistificante interpretazione del marxismo-leninismo costruisce le sue fortune, inganna il proletariato russo e internazionale, copre il suo espansionismo e egemonismo e si ingerisce arbitrariamente negli affari della Polonia e degli altri Paesi, partiti e movimenti di liberazione che si trovano nella sua orbita. Un favore altrettanto grande e insperato si farebbe anche alla banda revisionista di Deng Xiaoping, che vede il pensiero di Mao come il fumo negli occhi e agogna che esso cada nell'oblio per aver completa via libera alla restaurazione del capitalismo in Cina.
In genere tutte le centrali revisioniste, comprese quella italiana ed “eurocomunista”, hanno lo stesso interesse a stendere un velo sul pensiero di Mao, perché sanno bene che se esso penetra nelle masse su larga scala riemerge inevitabilmente il marxismo-leninismo con tutta la sua luce e forza d'attrazione, e allora le loro fasulle teorizzazioni perderebbero lo smalto e apparirebbero per quello che effettivamente sono, delle mistificazioni ideologiche e politiche escogitate al solo scopo di impedire alla classe operaia di abbattere il capitalismo e di conquistare il potere politico.
Considerare il pensiero di Mao come un elemento costitutivo e inseparabile del marxismo-leninismo e uno sviluppo di questo è perciò una questione di fondamentale importanza da cui dipende la vittoria della rivoluzione proletaria mondiale, il trionfo del marxismo sul revisionismo, la corretta costruzione dei nuovi Partiti marxisti-leninisti e la riorganizzazione, l'unità e lo sviluppo del movimento comunista internazionale. Alla luce dei fatti, possiamo ben dire che chi non fa questa scelta difficilmente potrà tenere a lungo testa al revisionismo, e prima o poi cadrà inevitabilmente nella reazione.
Il pensiero di Mao, naturalmente, non è l'ultima parola del marxismo. Questo si sviluppa continuamente nella lotta e si arricchisce incessantemente del contributo dei vari Partiti autenticamente marxisti-leninisti. A un certo punto della storia, avvicinandosi l'epoca del comunismo, è probabile che il popolo in quel momento più avanzato ed emancipato darà la vita a un altro grande Maestro del proletariato, che porterà ancora più avanti il marxismo. Ma finché la teoria rivoluzionaria del proletariato non raggiungerà una nuova sintesi superiore e più avanzata, il pensiero di Mao rappresenta la vetta più alta del marxismo-leninismo.
Siamo ancora nell'epoca dell'imperialismo e della rivoluzione proletaria, e finché non passa quest'epoca il marxismo-leninismo-pensiero di Mao sarà sempre attuale e valido ovunque. È vero che tanti avvenimenti nuovi, ed anche importanti, accadono ogni giorno nel mondo, compreso la grande e generale contesa tra le due superpotenze per il dominio assoluto del globo, ma nessuno di essi ha finora capovolto o intaccato l'analisi e le indicazioni di fondo dei grandi Maestri del proletariato, tanto più che il pensiero di Mao è aggiornatissimo.
Il marxismo-leninismo non è morto con la scomparsa del grande Maestro contemporaneo, esso è nella pienezza delle sue forze e sicuramente giocherà un ruolo molto importante in questo ultimo squarcio di secolo. Aveva cominciato Benedetto Croce, il massimo filosofo borghese italiano, a decretarne la fine già nel 1890, ma la realtà l'ha smentito in pieno. Anche i necrologi di Piccoli, Craxi e di tutti i reazionari non sono stati capaci di seppellirlo, anzi gli hanno allungato la vita.
 

L'influenza del pensiero di Mao in Italia e nel mondo
Il pensiero di Mao prende corpo organico e acquista la sua completa autorità in Cina nel 1943, ma già in precedenza la sua influenza benefica si avvertiva sensibilmente all'interno del movimento operaio e comunista internazionale. Un'influenza che diventò decisiva dopo la scomparsa di Stalin, più precisamente nel '56, quando iniziò la titanica lotta contro il revisionismo moderno capeggiato da Krusciov, che col famigerato XX Congresso del PCUS aveva restaurato il capitalismo nella gloriosa Unione Sovietica.
Ma è col lancio della Grande rivoluzione culturale proletaria che questo prodigioso pensiero valica i confini della Cina e del movimento comunista e operaio internazionale e dilaga con l'impeto della valanga e la forza del fulmine in tutto il mondo e fra le masse popolari.
Fu un evento grandioso, raro nella storia, un avvenimento per diversi aspetti simile a quello suscitato dalla Rivoluzione d'Ottobre. Il vento dell'Est prevalse sul vento dell'Ovest. Ovunque infuriò la lotta di classe. La lotta armata dei Paesi del Terzo mondo riprese nuovo vigore e slancio, l'Occidente divenne un vulcano in fiamme. In Francia il regime capitalistico fu a un passo dal tracollo, nel nostro Paese esplose la grande stagione di lotta del 1968-69 che scosse dalle fondamenta il regime capitalistico e ha lasciato un'impronta indelebile su un'intera generazione. I giovani, così sensibili al nuovo e al progresso, furono galvanizzati dal pensiero di Mao che divenne rapidamente il loro vessillo di combattimento.
Per un momento, alcuni anni, sembrò che potesse accadere in Italia ciò che era successo in Cina sotto l'influenza della Rivoluzione d'Ottobre. Questo avvenimento il presidente Mao lo raccontò così: “Nel suo libro 'L'estremismo malattia infantile del comunismo', scritto nel 1920, Lenin ha descritto la ricerca di una teoria rivoluzionaria da parte dei russi. Solo dopo parecchie decine di anni di avversità e di sofferenze i russi trovarono il marxismo (…)
I russi fecero la Rivoluzione d'Ottobre e crearono il primo Stato socialista del mondo. Sotto la guida di Lenin e Stalin, l'energia rivoluzionaria del grande proletariato e del grande popolo lavoratore della Russia, fino ad allora latente e non avvertita dagli stranieri, esplose all'improvviso come un vulcano, e i cinesi come tutta l'umanità, videro i russi in una nuova luce. Allora, solo allora, ebbe inizio un'èra completamente nuova nel pensiero e nella vita dei cinesi. Essi scoprirono il marxismo-leninismo, la verità universale applicabile ovunque, e il volto della Cina cominciò a cambiare.
Fu grazie ai russi che i cinesi scoprirono il marxismo. Prima della Rivoluzione d'Ottobre i cinesi ignoravano Lenin e Stalin, ma non conoscevano neppure Marx ed Engels. Le cannonate della Rivoluzione d'Ottobre ci portarono il marxismo-leninismo. La Rivoluzione d'Ottobre aiutò i progressisti cinesi e quelli di tutti i paesi ad adottare la concezione proletaria del mondo come strumento per studiare il destino della propria nazione e per esaminare daccapo tutti i loro problemi. Seguire la strada dei russi, questa fu la loro conclusione” 3.
In verità, non è che in Italia il marxismo-leninismo fosse ancora sconosciuto, perché il nostro proletariato è stato tra i primi del mondo a conoscere Marx e Lenin, solo che i revisionisti vecchi e nuovi lo avevano già da tempo messo in soffitta e i suoi echi giungevano ormai flebilmente agli orecchi delle masse. Cosicché l'esplosione della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria e l'irrompere nell'arena mondiale del pensiero di Mao riportarono prepotentemente alla ribalta il marxismo-leninismo e suscitarono, specialmente fra i giovani e gli intellettuali, una grande sete di cono​ scerlo e una decisa volontà di utilizzarlo nella lotta. Di colpo era tornata d'attualità la grande parola d'ordine di Lenin: “Senza teoria rivoluzionaria non vi può essere movimento rivoluzionario” 4.
Le lotte di piazza erano accompagnate da un grande fervore culturale, le ricerche teoriche si moltiplicavano e si espandevano in tutte le università. Si voleva trovare velocemente la via più breve per liberarsi dal capitalismo. Purtroppo queste ricerche e questi studi furono egemonizzati da intellettuali piccolo borghesi, trotzkisti, anarchici e operaisti manovrati dalla borghesia e dal partito revisionista che spinsero fuori strada le masse studentesche e quei settori operai e contadini che erano stati attratti alla rivoluzione dal pensiero di Mao. Ma non tutto è stato perso, perché proprio da quella esperienza è nato il PMLI il quale è riuscito lo stesso a sistematizzare le idee giuste scaturite da quei grandiosi movimenti di massa del '68-69 e a elaborare una linea politica e programmatica adeguata alla realtà del nostro Paese. Ciò grazie al pensiero di Mao che ci ha fatto scoprire il marxismo autentico, la vera via dell'emancipazione della classe operaia e la necessità di separarsi dai revisionisti moderni per costruire un vero Partito comunista.
Mao nei confronti del marxismo-leninismo ha avuto lo stesso ruolo svolto da Lenin verso il marxismo e da Stalin verso il leninismo. Ha, cioè, riordinato le idee dei comunisti e del proletariato, stabilito qual è il vero marxismo-leninismo discriminandolo da quello falso, rimesso in luce il carattere universale della via della Rivoluzione d'Ottobre e smascherato la natura borghese e gli scopi controrivoluzionari dei revisionisti moderni.
Il ruolo svolto dal presidente Mao su questo piano non sta tanto nell'avere riaffermato i principi fondamentali del marxismo-leninismo - cosa di per sé già molto importante - quanto di averli rivitalizzati, attualizzati e resi operanti nel più grande Paese del mondo e in questa èra contemporanea.
 

Le calunnie dei revisionisti non potranno cancellare il pensiero e l'opera di Mao
L'elaborazione teorica e politica del presidente Mao e la sua azione pratica rappresentano la risposta più calzante e la smentita più bruciante alle tesi dell'omuncolo di Pechino, e del suo omologo italiano, secondo il quale il marxismo-leninismo non può dare le risposte a tutti i nuovi problemi, per cui oggi occorrono “nuovi principi” e “nuove conclusioni”.
Costui ha avuto persino l'ardire di salire in cattedra e di decretare "errati", “avventuristi” ed “estremisti” gli atti più qualificanti compiuti dal presidente Mao durante il periodo della costruzione del socialismo in Cina. Attraverso un mucchietto di carta straccia, che è stato pomposamente chiamato “Risoluzione su qualche questione della storia del nostro partito dopo la fondazione della Repubblica popolare”, la banda di Deng Xiaoping si è illusa di poter cancellare la validità dell'opera e del pensiero di Mao dall'estate del 1955 al 9 settembre 1976. In pratica la cooperazione agricola, la trasformazione dell'artigianato e del commercio individuale, il Grande Balzo in avanti, le Comuni popolari, la linea generale della costruzione del socialismo in Cina, la lotta contro le cricche revisioniste di Peng Dehaui, Liu Shaoqi e Deng Xiaoping e la lotta contro il revisionismo internazionale capeggiato prima da Krusciov e poi da Breznev.
Bersaglio principale di questa illegale, arbitraria e unilaterale “Risoluzione” antimarxista e antisocialista, naturalmente non poteva non essere che la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria, i cui principi, elaborati personalmente dal presidente Mao, vengono definiti addirittura “non conformi né al marxismo-leninismo né alla realtà cinese”. È sempre così, quando i comunisti cominciano a pestare sul serio i calli della borghesia, ecco che gli strilli dei servi arrivano al cielo nel tentativo di proteggere i loro padroni.
Per coprire le proprie colpe passate e i propri intrighi e loschi obiettivi attuali, l'arcirevisionista Deng afferma che il presidente Mao avrebbe commesso dei "grossi errori" negli ultimi anni della sua vita. Ma allo stato degli atti gli errori menzionati rappresentano invece dei grandi meriti teorici, politici e storici del presidente Mao. Con ciò non vogliamo dire che il fondatore della Nuova Cina non abbia mai commesso errori, perché quando ha sbagliato si è prontamente autocriticato e corretto, non certo però per abbandonare la via socialista ma per correggerne la rotta e avanzare con più sicurezza.
È cosa comune cadere in errore. Anche Marx ha fatto qualche sbaglio, per esempio all'inizio non credeva alla Comune di Parigi ma poi l'ha appoggiata ed esaltata, e sulla base di questa esperienza ha teorizzato la necessità della dittatura del proletariato, della violenza rivoluzionaria di massa e del Partito comunista. Perfino Lenin ha commesso degli errori, per esempio dopo la Rivoluzione di Febbraio del 1917 pensava che il proletariato potesse andare al potere per via pacifica, ma non gli ci volle poi molto per ricredersi e lanciare e guidare personalmente la rivoluzione socialista.
I Maestri del proletariato non hanno perciò avuto mai alcuna difficoltà a riconoscere e correggere i propri errori, e quando non l'hanno potuto fare ci hanno pensato i loro successori a mettere le cose a posto. Per quanto riguarda il presidente Mao, sulla base delle nostre conoscenze attuali, non ci sembra che ci sia nulla da rettificare nel suo pensiero e nella sua opera. Comunque, se ci dovesse essere qualcosa da rivedere non sarà certo compito dei rinnegati giudicarlo, ma del movimento marxista-leninista internazionale nel suo insieme.
I revisionisti non hanno alcun interesse a correggere gli errori reali dei grandi maestri marxisti, il loro obiettivo, com'è il caso di Deng, è solo quello di rovesciare la linea proletaria rivoluzionaria, distruggere la teoria rivoluzionaria del proletariato e dar via libera al capitalismo, allo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e all'egemonismo. D'altra parte, com'è possibile dare un benché minimo credito a Deng che il presidente Mao ben dipingeva con queste magistrali pennellate: “È uno che non afferra la lotta di classe, non ha mai parlato di quest'asse principale. È rimasto ancora al 'gatto bianco e nero', senza preoccuparsi se si tratta di imperialismo o di marxismo” . “Non sa niente di marxismo-leninismo, rappresenta la borghesia. Ha giurato controvoglia di 'non rimettere in causa i giusti verdetti', non gli si può far credito" 5.
Checché ne dica l'omuncolo, il presidente Mao, fino all'ultimo giorno della sua vita, è sempre stato lucido e coerente col marxismo-leninismo e col suo stesso pensiero. La sua lungimiranza, che non era frutto di un dono divino ma gli derivava dalla profonda conoscenza e padronanza della dialettica e della realtà, era proverbiale. Da tempo aveva capito chi era Deng, ed era anche convinto che non sarebbe stata sufficiente una sola rivoluzione culturale per estirpare radicalmente il capitalismo dalla Cina e spazzare via i rappresentanti della borghesia che si erano annidati ai vertici del Partito e dello Stato.
In una lettera famosa del 6 luglio 1966 scrisse: “Nel mondo ci sono più di cento partiti comunisti e la maggioranza di essi non crede più nel marxismo-leninismo; ha fatto a pezzi Marx e Lenin: perché non potrebbe succedere anche a noi?” . Sono passati da allora appena 15 anni e il capo banda della borghesia cinese ha fatto a pezzi il pensiero e l'opera di Mao restaurando il capitalismo in Cina e trasformando il glorioso Partito comunista cinese in un partito revisionista, anticomunista e fascista. Con ciò è tutto finito? No, non lo crediamo. Né in Cina né in tutto il mondo. La rivoluzione è inarrestabile, può marcare il passo, subire delle sconfitte, ma nessuno è in grado di soffocarla per sempre. Non dimostrano forse questo le rivoluzioni, per non citarne altre, delle Filippine, Malaya, Kalimantan del Nord, Thailandia e della Birmania tutte quante guidate da Partiti comunisti che tengono alta la bandiera dei marxismo-leninismo-pensiero di Mao?
I grandi maestri del proletariato possono essere calunniati e rinnegati dai revisionisti, ma questi non riusciranno mai a cancellare il loro pensiero e la loro opera. Finché sulla terra ci sarà un solo sfruttato e oppresso il loro pensiero rimarrà vivo e illuminerà il cammino verso la libertà, la giustizia sociale, l'emancipazione e la pace. Tuttavia gli eredi diretti dei grandi maestri del proletariato, i·Partiti e le Organizzazioni autenticamente marxisti-leninisti del mondo, hanno il dovere di salvaguardare il pensiero e l'opera di Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao e difenderli come la propria stessa vita dagli attacchi frenetici dei revisionisti di Mosca, Pechino, Tirana, Roma e degli altri paesi.
Bisogna capire bene che dopo l'usurpazione del potere nel Partito e nello Stato da parte dei vecchi seguaci di Liu Shaoqi è iniziata su scala internazionale una nuova fase della lotta contro il revisionismo moderno. Si tratta di una lotta per la vita o la morte, della stessa importanza e significato storico di quella guidata da Lenin contro Bernstein e Kautsky, da Mao contro Krusciov, Breznev e Liu Shaoqi.
Attualmente questa lotta ha al suo centro la difesa aperta del pensiero e dell'opera di Mao, la denuncia e l'espulsione della banda di Deng dal movimento comunista internazionale, la ripulitura dei Partiti marxisti-leninisti dai capitolazionisti e dai revisionisti incalliti e incorreggibili, la riorganizzazione del movimento comunista internazionale sulla base del marxismo-leninismo-pensiero di Mao, dell'internazionalismo proletario e della lotta conseguente contro l'imperialismo, il socialimperialismo, il colonialismo, il razzismo e l'apartheid.
Nessuna forza autenticamente marxista-leninista - in qualsiasi Paese essa operi e qualunque siano le circostanze interne e internazionali - può ignorare e rimandare la lotta contro il revisionismo moderno, che costituisce tutt'oggi il nemico principale esistente all'interno del movimento operaio e comunista internazionale. Perché, come dimostra la pratica, se non si combatte questa pericolosa corrente borghese infiltrata nelle file del proletariato e dei comunisti non è possibile fare la rivoluzione, difendere la dittatura del proletariato e assolvere i propri doveri verso l'internazionalismo proletario.
 

La rivoluzione è la via universale per la conquista del socialismo
Il presidente Mao è stato il primo che si alzò in piedi per intimare l'alt al revisionismo moderno. Eravamo nel '56 e nel movimento comunista e operaio internazionale regnava una grande confusione e incertezza. Per via della predicazione dei revisionisti, non si sapeva più quale via dovesse seguire il proletariato per la conquista del potere politico. Era sempre valida la via della Rivoluzione d'Ottobre oppure, come diceva Krusciov, bisognava abbandonarla per praticare la via parlamentare?
Allora, per rimettere ordine nelle cose e per ridare al proletariato quelle certezze che erano state messe seriamente in dubbio dai revisionisti, intervenne con tutta la sua autorità rivoluzionaria e marxista il presidente Mao. Egli disse: “Secondo me ci sono due spade: una è Lenin, l'altra è Stalin. Adesso i russi hanno gettato via quella spada che è Stalin. L'hanno raccolta Gomulka e certi ungheresi per colpire l'Unione sovietica, per combattere il cosiddetto stalinismo. I partiti comunisti di diversi paesi europei criticano anche loro l'Unione sovietica. Il loro leader è Togliatti. Anche l'imperialismo ha raccolto questa spada per lanciarsi all'attacco, Dulles l'ha presa e se n'è servito per qualche manovra. Questa spada non è stata data in prestito, bensì gettata via. Noi in Cina non l'abbiamo gettata via (...) Si può dire che alcuni dirigenti sovietici hanno in qualche misura gettato via anche quella spada che è Lenin? Secondo me l'hanno fatto in misura notevole. La Rivoluzione d'Ottobre è ancora valida? Può costituire o no un modello per tutti i paesi? Nel rapporto di Krusciov al XX Congresso del Partito comunista dell'Unione sovietica si dice che si può conquistare il potere seguendo la via parlamentare, ossia che i vari paesi possono fare a meno di prendere l'esempio dalla Rivoluzione d'Ottobre. Una volta aperta questa breccia, sostanzialmente si è gettato via il leninismo" 6.
Con queste decise e chiare affermazioni indubbiamente il presidente Mao poneva una questione di fondamentale importanza per l'avvenire della rivoluzione proletaria mondiale. Una questione già posta con forza da Lenin e sulla quale si svolsero accanite dispute tra marxisti e revisionisti che portarono alla separazione irreversibile dei comunisti dai socialdemocratici. Una questione che quasi 40 anni dopo riconquistava tutto il suo antico significato e ritornava di piena attualità dopo che, con la conclusione vittoriosa della 2ª guerra mondiale e la caduta in quasi tutti i Paesi dell'Occidente del nazismo e del fascismo, sembrava si fosse aperta, per le manipolazioni e le distorsioni del marxismo da parte dei revisionisti e il loro partecipazionismo governativo strategico, una nuova situazione che consentiva al proletariato di prendere il potere per via pacifica e parlamentare. Una questione infine che ha un carattere preliminare a qualsiasi altra, perché da essa dipendono la tattica e la strategia della conquista del potere politico da parte del proletariato.
La conquista del potere politico con la lotta armata è infatti una questione di principio e di metodo. Di principio perché essa determina se si ha o no la volontà effettiva di realizzare il socialismo, di metodo perché essa è l'unico mezzo di cui dispongono la classe operaia e le masse popolari per rovesciare dal potere la classe dominante sfruttatrice. Questo è quanto è stato confermato puntualmente e ripetutamente dalla storia passata e presente, a Oriente e a Occidente, a Nord e a Sud, qualunque sia stato il tipo di rivoluzione: borghese, socialista, antimperialista, anticolonialista. Sono stati sempre i fucili a portare al potere la classe in ascesa o a liberare un Paese dalla dominazione straniera.
La conquista del potere politico con la lotta armata è perciò un metodo valido ovunque e non solo in Asia, in Africa e in America Latina. Questo metodo di lotta, che è l'ultimo mezzo a cui ricorre il proletariato dopo che avrà esaurito la sua lotta legale e pacifica sul terreno della democrazia borghese, e dopo che si saranno create tutte le condizioni favorevoli per la conquista del potere, è valido anche nei Paesi capitalisti, compresa l'Italia.
Il presidente Mao per rendere esplicito il suo pensiero in proposito, facendo il bilancio dell'esperienza della dittatura del proletariato in Cina e nel mondo, ha detto: “Le contraddizioni della società capitalista si manifestano con antagonismi e conflitti acuti, con un'accanita lotta di classe e non possono essere risolte dallo stesso regime capitalistico, ma soltanto dalla rivoluzione socialista” 7 .
Parole sacrosante e profondamente vere, che ogni operaio cosciente può verificare direttamente da sé guardando la realtà dell'Italia. Eppure i revisionisti non sono d'accordo, secondo loro la rivoluzione socialista non va più bene, specialmente in Occidente. Oggi, essi dicono, i tempi sono cambiati e la situazione anche, e perciò occorre dare un taglio netto col passato e il marxismo-leninismo ed escogitare nuove strade.
Ecco esattamente come la pensa il capofila dei revisionisti italiani, Berlinguer: “Di fronte alla situazione di fatto che c'è oggi, sarebbe errore gravissimo non riconoscere il differenziarsi delle strade, il bisogno di ricerca, la impossibilità di adattarsi in schemi, o in presunti 'immortali principi', - il cui esaurimento è storicamente compiuto ed è divenuto evidente (...) Quello che è stato chiamato l'eurocomunismo ha tra le sue caratteristiche decisive proprio quella di muovere dalla consapevolezza della radicale novità e non solo delle molteplicità - delle condizioni con le quali bisogna misurarsi oggi, e di quanto quindi sia diventato indispensabile liberarsi, con un impegno critico e di fatto, di arretratezze ideologiche, di contraddizioni materiali, di chiusure politiche e culturali, che in parte erano storicamente inevitabili nel corso di fasi politiche precedenti, ma che - pur essendo ancora presenti nel mondo e nel movimento operaio comunista contemporaneo - non sono più accettabili, appartengono al passato”8.
Un discorso quello di Berlinguer che è già un programma di rinnovamento totale, di liberazione e purificazione rispetto al passato, ma che però non spiega quali “radicali novità” sarebbero sopraggiunte tanto da avere la forza di sconvolgere la politica classica dei comunisti. Comunque, a prescindere dalle vere novità, peraltro già individuate e inquadrate dal presidente Mao, è un dato elementare per dei comunisti che qualunque sia la situazione bisogna sempre partire dal considerare qual è la classe al potere e chi ha in mano i mezzi di produzione. Ora, poiché nel caso dell'Italia e dell'Occidente, il potere politico ed economico è in mano alla borghesia, non è possibile non fare i conti con questa realtà e stabilire una politica atta a rovesciare questa situazione.
Si possono avere tutte le aperture politiche che si vogliono e fare i più disparati giri, ma alla fine, se si vuole davvero il socialismo, bisogna pur affrontare questo scoglio e imboccare risolutamente la via della rivoluzione socialista. A meno che non si voglia prenderla apposta così larga per non arrivare mai al dunque, alla prova di forza con la borghesia. Allora non si dica che gli “immortali principi” sono “esauriti”, ma si ammetta lealmente che con i principi comunisti non si vuole avere più nulla a che fare, e che non si è disposti a lottare per il socialismo. Di Berlinguer comprendiamo una sola cosa, e cioè che il marxismo-leninismo gli sta un po' troppo stretto, e quindi è giusto che se lo tolga, questo è un affare suo, ma non pretenda però che il proletariato sia disposto a fare altrettanto.
Se vuole essere credibile, Berlinguer deve dire al proletariato con chiarezza se questa nuova via che egli vagheggia e propone porta comunque alla distruzione dei vecchi rapporti di produzione, dei vecchi rapporti sociali, del vecchio Stato, della fonte stessa dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, altrimenti l'“eurocomunismo” è solo una frottola, un ennesimo inganno che si aggiunge alla “guerra di posizione”, alla “via italiana al socialismo” e al “compromesso storico” per raggirare i sinceri comunisti, i rivoluzionari e gli operai e per gettare un'àncora di salvezza al capitalismo.
Appare tuttavia evidente che l'“eurocomunismo” è in palese contraddizione con la via della Rivoluzione d'Ottobre, e non rappresenta nulla di diverso e originale rispetto alle “vie nuove al socialismo” già predicate fin dal 1907 da Bonomi e Bissolati e successivamente da Turati, Nenni e Craxi. Se le cose stanno così, e stanno così, ci sarebbe allora da domandarsi a che cosa è valsa la scissione del '21.
Per ben due volte, nel 1892 e nel 1921, il proletariato ha tentato di organizzare il suo partito per fare la rivoluzione socialista, e tutte e due le volte i revisionisti sono riusciti a frastornarlo, a turlupinarlo, a deviarlo dai suoi propositi iniziali. E questo, e non altro, è il vero motivo perché la rivoluzione socialista non è ancora scoppiata in Italia, nonostante che dall'inizio del secolo vi siano state più di un'occasione per farla. Ma non sarà più così nel futuro. Il PMLI che è nato per fare la rivoluzione socialista, non tradirà mai il proletariato e terrà fede al suo programma sul quale a lettere d'oro c'è scritto che “il programma fondamentale del Partito marxista-leninista italiano è di guidare il proletariato alla conquista del potere politico, abbattere la dittatura borghese, instaurare la dittatura del proletariato ed assicurare il completo trionfo del socialismo sul capitalismo”.
 

In Italia tutto spinge a favore della rivoluzione, anche il pericolo di guerra mondiale
Nel nostro Paese non ci sono fattori che sconsigliano o rendono impossibile e impraticabile la rivoluzione socialista. Chi afferma diversamente o non conosce bene la situazione di fondo, o non ha fiducia nelle masse, oppure lavora apertamente o sotto sotto per impedire che essa scoppi e trionfi. Tutto spinge a favore della rivoluzione. Abbiamo una potente ed esperta classe operaia, un proletariato agricolo rotto a tutte le fatiche e prove, un movimento femminile che ha preso saldamente in pugno il processo della propria emancipazione, una gioventù forte, coraggiosa e generosa, zone intere del Meridione che sono una polveriera; abbiamo alle spalle un'esperienza insurrezionale che si è forgiata nel tempo attraverso il Risorgimento, la Resistenza e la lotta di piazza contro i governi De Gasperi, Scelba e Tambroni, per non parlare dei grandi movimenti di massa del '68-69 e del '77.
Oggi le masse sono in gran movimento, e ovunque nel Paese cresce e si sviluppa la volontà di cambiamento, di giustizia sociale, di nuovi rapporti umani, di pace. Pensiamo, per esempio, ai meravigliosi 35 giorni di lotta alla Fiat, all'aperta, e in qualche caso anche violenta contestazione dei revisionisti e dei sindacalisti collaborazionisti, alla penalizzazione elettorale del partito revisionista mediante l'astensionismo nelle elezioni politiche, amministrative e studentesche, e alle strepitose vittorie nei referendum sul divorzio e l'aborto.
Pensiamo anche al commovente movimento di solidarietà e di soccorso popolare e giovanile verso i terremotati della Campania e della Basilicata, alle potenti manifestazioni operaie e popolari contro il terrorismo e a quelle contro l'imperialismo, alle gigantesche manifestazioni nazionali dei contadini e alle recenti lotte dei viticoltori di Barletta e della Sicilia, alle dure lotte dei disoccupati e dei senza casa, alle rivolte in Sicilia per l'acqua e ai movimenti ecologici e antinucleari.
Pensiamo infine ai movimenti ancora informi e vaganti di un'enorme moltitudine di giovani, che ricercano il soddisfacimento dei loro bisogni materiali, spirituali e sociali e, di più, un nuovo ideale, una nuova via, una nuova aggregazione che siano in grado di cambiare realmente la vita.
Di contro, ci sono uno Stato e delle istituzioni inquinate dalla corruzione e dagli scandali, che cadono letteralmente a pezzi e sono sempre più invise alle masse; dei governi squallidi e discreditati che rotolano giù uno dietro l'altro come dei sacchi di patate; un indebolimento del campo borghese, squassato da furibonde faide e dalla guerra per bande che mirano a stabilire una nuova distribuzione del potere tra i più potenti clan finanziari, economici e industriali e un nuovo assetto istituzionale e governativo; il declino della DC e l'ascesa del PSI, come conseguenza di questo terremoto che sta avvenendo all'interno della grande borghesia e dello Stato; infine c'è un'economia che fa acqua da tutte le parti e che si riprende a tratti grazie ai sacrifici che il governo, il padronato, i sindacalisti collaborazionisti e i revisionisti impongono alle masse.
Anche le Forze armate, la finanza e la polizia sono coinvolte in questo processo di disgregazione e di crollo verticale del regime capitalistico. Ma ciononostante, grazie all'attenzione particolare con cui sono seguite da Pertini, dal governo e in particolare dal sedicente “socialista” Lagorio, esse riescono meglio delle altre istituzioni ad ammortizzare gli effetti devastanti della decadenza generale; anzi vengono rafforzate sempre più in mezzi, equipaggiamenti, addestramenti e uomini, come dimostrano le recenti misure prese a favore delle Forze armate e della polizia, perché esse, tonificate nello spirito e nel morale, incentivate economicamente, continuino a sostenere l'espansionismo e l'egemonismo dell'imperialismo italiano verso il Mediterraneo e l'Africa, e nel contempo siano in grado, e ne abbiano la volontà, di battersi per soffocare all'interno la guerra civile.
Un programma ambizioso e malvagio, foriero di gravi sciagure per l'Italia, per i popoli vicini e per l'avvenire stesso del proletariato e della rivoluzione socialista.
Per quanto riguarda le questioni interne, cioè le contraddizioni e la lotta tra il proletariato e la borghesia, intanto bisogna dire che non dobbiamo aver paura dell'apparente forza dell'apparato militare e poliziesco italiano, perché nessun esercito reazionario e mercenario è mai riuscito ad arrestare la marea insurrezionale delle masse. Seconda di poi, siamo proprio sicuri che dentro Ie Forze armate non ci sia nessuno che passerà al momento giusto dalla parte della rivoluzione?
L'esperienza storica fa supporre che le Forze armate, la polizia e la finanza non rimarranno compatte, e una parte di esse si schiererà con la rivoluzione. Tuttavia fin da oggi - oltre a svolgere un lavoro legale dentro e fuori i rispettivi organi rappresentativi ed elettivi - occorre lavorare con molta intelligenza e abilità per creare al loro interno delle basi rivoluzionarie segrete. Perdurando il capitalismo, non possiamo certo far cambiare natura alla macchina militare e repressiva e farla agire secondo le vedute politiche e gli interessi del proletariato, possiamo però spostare sulle posizioni rivoluzionarie una parte, benché minima di essa, oggi sul piano politico e organizzativo, domani sul piano militare e operativo.
Per quanto riguarda l'atteggiamento esterno delle nostre Forze armate, bisogna dire che: 1° non vogliamo che esse siano impiegate per l'aggressione e per la guerra imperialista né per gli interessi della classe dominante borghese italiana, né per gli interessi dell'imperialismo Usa e di Reagan; 2° chiediamo che esse vengano trasformate, istruite ed equipaggiate per la guerra di difesa territoriale, per la lotta partigiana in città e in montagna da condurre insieme al popolo che va armato e addestrato fin da ora alla resistenza contro l'invasore straniero.
Pertanto diciamo fermamente “No” al riarmo atomico dell'Italia, “No” agli “euromissili” a Comiso o in altre parti del Paese. Non siamo affatto convinti che uno sbarramento atomico sia atto a preservare la pace e a tenere fuori dalla nostra Penisola dalle mire espansionistiche del socialimperialismo sovietico. Noi pensiamo che la sola barriera impenetrabile sia costituita dal popolo unito e pronto a battersi con le armi in pugno per impedire allo straniero di occupare e assoggettare la nostra amata Italia. Diciamo "No" anche alla bomba al neutrone, e chiediamo al governo italiano di pronunciarsi contro di essa e di dichiarare pubblicamente che non permetterà mai che questo barbaro e inumano ordigno bellico venga trasferito sul suolo italiano.
Noi siamo contro tutte le armi atomiche, compresi gli SS20, e chiediamo che vengano tutte quante distrutte. Siamo contro l'imperialismo americano e il socialimperialismo sovietico, perché entrambi, e nella stessa misura, sono dei nemici mortali di tutta l'umanità.
L'uno e l'altro si avviano a passi da gigante - come dimostra fra l'altro il recente deprecabile e pericoloso duello aereo tra caccia Usa e libici nel Mediterraneo verso una nuova guerra mondiale, che non avrà lo stesso carattere della 2ª guerra mondiale. Allora si scontrarono sul campo di battaglia le forze antinaziste contro quelle naziste, e fu giusto che i popoli dei Paesi interessati vi partecipassero per annientare la belva hitleriana e fascista. Quella prossima sarà invece una guerra imperialista che dovrà decidere quale delle due superpotenze deve avere il dominio assoluto del mondo. In una simile circostanza i vari popoli del mondo, anzitutto quelli direttamente interessati, non dovranno parteggiare né per l'una né per l'altra.
Noi siamo a favore della tesi classica di Lenin, e cioè che bisogna rispondere con la guerra civile rivoluzionaria alla guerra imperialista. Questa tesi è tuttora valida, e il presidente Mao l'ha sempre sostenuta vigorosamente a più riprese. Egli ha detto: “Per quanto riguarda il problema della guerra mondiale, non esistono che due possibilità: l'una è che la guerra suscita la rivoluzione, e l'altra è che la rivoluzione impedisce la guerra" 9. "Popoli di tutto il mondo, unitevi per combattere ogni guerra d'aggressione lanciata da qualsiasi imperialismo o dal socialimperialismo, in particolare una guerra d'aggressione condotta con bombe atomiche come armi! Se scoppierà tale guerra, i popoli di tutto il mondo dovranno eliminare la guerra d'aggressione con la guerra rivoluzionaria: la preparazione al riguardo deve essere fatta fin da ora!" 10.
La guerra mondiale quindi non allontana, anzi avvicina e attualizza la rivoluzione socialista. È una ragione in più per sostenere la rivoluzione con forza e per prepararla alacremente come si conviene senza perdere tempo.
 

La rivoluzione è opera delle masse non di un pugno di uomini
La rivoluzione non si fa da soli, e senza che le masse ne siano convinte e siano pronte a gettarsi con slancio nell'insurrezione. "La guerra rivoluzionaria - dice il presidente Mao - è la guerra delle masse; è possibile condurla alla vittoria soltanto mobilitando le masse e facendo affidamento su di esse" 11.
Questo concetto basilare ed elementare è quanto non hanno capito coloro che spendono vanamente la loro vita nel terrorismo cosiddetto "rosso", senza rendersi conto del grave danno che arrecano alle masse e alla rivoluzione. I terroristi pensano con le loro azioni di poter smuovere la situazione, di scuotere le masse e di innescare la guerra civile, ma non vedono che le loro rapine, gli attentati agli uomini e alle cose, le rappresaglie, i sequestri, i "processi popolari" e le esecuzioni sommarie non spostano di un millimetro le masse, mentre forniscono al governo i pretesti per fascistizzare lo Stato e rafforzare i corpi speciali antiguerriglia.
I fatti dovrebbero convincere ogni terrorista in buona fede che non si può sostituirsi alle masse, non si può convincerle con la forza e con azioni avventuristiche e isolate a fare ciò che non vogliono.
Le masse proletarie e popolari, per esperienza diretta, per le circostanze che si determineranno e per l'azione politica dei marxisti-leninisti, arriveranno senza dubbio a comprendere la necessità di fare la rivoluzione. Ma finché non avranno preso questa coscienza è inutile e controproducente spingerle ad azioni di cui non sono convinte, specialmente quando ancora bisogna conquistare la loro fiducia sul piano politico e contendere il terreno millimetro per millimetro al partito revisionista.
Non importa il tempo che ci vorrà per accumulare le forze rivoluzionarie necessarie, quello che conta è non essere impazienti, non gettarsi in avventure, non stancarsi mai nel perseguire questo obiettivo, anche se dovessimo impiegarci una vita, perché senza e contro le masse non è possibile fare e vincere la rivoluzione socialista. “Noi dobbiamo agire - insegna il presidente Mao - in base alle condizioni concrete e raggiungere il nostro scopo naturalmente, senza forzature. Per la nascita di un bimbo, ad esempio, occorrono nove mesi, se il medico la vuole provocare al settimo mese, esercitando una pressione, è un male: è una deviazione di 'sinistra'. Se si tenta di impedire la nascita, quando i nove mesi sono già trascorsi e il bambino stesso desidera veramente venire alla luce, è quello che chiamiamo deviazione di destra. In breve, le cose evolvono nel tempo, quando è il momento di agire bisogna farlo, se lo si impedisce si devia a destra; ma se il momento non è ancora arrivato e si forza ad agire si devia a 'sinistra'” 12.
Se questi sono gli inequivocabili insegnamenti del presidente Mao, come mai allora le sedicenti "Brigate rosse", e altri gruppi simili, che pur dicono di essere marxisti-leninisti e si rifanno alla Grande Rivoluzione Culturale Proletaria, forzano in tale misura i tempi e praticano un così feroce terrorismo alle spalle e ai danni della classe operaia e delle masse popolari? Evidentemente perché essi non sono per niente comunisti, e non hanno a cuore effettivamente gli interessi delle masse e del socialismo.
La loro pratica sociale è la negazione in termini del marxismo e della rivoluzione socialista. Anche nel loro programma13 non c'è un'acca di marxismo, ogni suo punto contraddice palesemente la Rivoluzione d'Ottobre. Esso infatti parla di "rivoluzione comunista" e non di rivoluzione socialista, di "guerra civile antimperialista di lunga durata" e non di insurrezione di massa per abbattere la dittatura borghese e realizzare il socialismo, di conquistare le masse alla "lotta armata" e non al socialismo e alla via della Rivoluzione d'Ottobre, di costruire un "potere rosso" che si manifesta "nella forma di basi rosse invisibili" da realizzare perdurando il sistema capitalistico, di "annientamento militare" delle "iene-cerniera" revisioniste e non di lotta aperta ideologica e politica contro il revisionismo moderno, di "costruire il partito comunista combattente", cioè un'organizzazione armata, e non un Partito comunista marxista-leninista.
In altri termini questo programma da una parte sposta in avanti gli obiettivi della rivoluzione, saltando a piè pari la fase della rivoluzione socialista e della dittatura del proletariato, mentre dall'altra stravolge tutti i compiti che sono oggi da assolvere per organizzare davvero la rivoluzione, sostituendoli con dei diversivi che, oltre a rappresentare delle vere e proprie provocazioni, lasciano immutata l'attuale situazione. Non è quindi un caso che il "terrorismo rosso" sia completamente assente nel dibattito e nella lotta politica. Esso è particolarmente muto verso il governo, mai una parola ha speso, per esempio, per condannare il genocidio che esso ha commesso ritardando il soccorso ai terremotati, e nemmeno una parola sui recenti scandali e sulla terrificante strage fascista di Bologna. E se non parla, se non prende posizione via via a favore del proletariato e contro il governo, il padronato, le istituzioni borghesi, l'imperialismo, il socialimperialismo e il revisionismo, vuol dire che non ha alcun interesse che le cose cambino, che l'Italia diventi un paese socialista.
Ma il "terrorismo rosso" non potrà mai essere diverso da quello che in effetti è, perché la sua ideologia è un misto di trotzkismo, anarchismo, operaismo e spontaneismo e la sua politica è costituzionalmente avventurista, provocatoria, controrivoluzionaria e anticomunista. E ciò spiega perché esso, pur essendo diverso nella forma, non si distingue nella sostanza e in molti effetti collaterali dal terrorismo nero col quale collude, spiega anche come mai è così facile infiltrarvi agenti provocatori e dei servizi segreti, perché viene strumentalizzato, manipolato e guidato da quella parte della borghesia che lavora per uno Stato e un governo forti e per un'aperta dittatura fascista.
Il terrorismo è una pianta malefica di questo ordinamento capitalistico degenerato e in putrefazione, che va sradicata e distrutta per permettere alle forze autenticamente rivoluzionarie di riunirsi nello stesso Partito e di seguire una linea veramente proletaria rivoluzionaria, di discriminare nettamente il campo della rivoluzione da quello della controrivoluzione, di togliere al governo ogni pretesto per rafforzare l'apparato repressivo e di impedire che i revisionisti di destra si coprano dietro i revisionisti di "sinistra".
Noi da tempo abbiamo sfidato il governo a scovare e punire duramente i mandanti del terrorismo, ma le cose stanno al punto di prima, non si ha il coraggio di indagare fra gli adepti della P2 nei vertici dello Stato e dei partiti borghesi in primo luogo nella DC e nel MSI, ma anche in quelli che si sono più distinti nelle trattative coi terroristi e nei gesti umanitari, nei circoli finanziari e industriali e nello stesso governo, negli ambienti insomma in cui solo potrebbe nascondersi e manovrare indisturbato il famoso, ma non tanto misterioso, "grande vecchio".
Il colpo di grazia al terrorismo glielo daranno comunque i giovani e tutti coloro che, ingenuamente, per inesperienza o per mancanza di formazione marxista, sono stati o vengono attratti da esso, quando attraverso la pratica avranno visto che il terrorismo rafforza e non indebolisce lo Stato capitalistico, complica e non semplifica il lavoro dei rivoluzionari per ottenere la fiducia delle masse e convincerle, educarle, organizzarle e mobilitarle alla lotta armata rivoluzionaria contro il capitalismo.
Le masse non si conquistano alla rivoluzione e al socialismo con gli strilli rivoluzionari e con le azioni avventate, ma interessandosi dei loro problemi, difendendole dagli attacchi dei loro nemici, vivendo la loro stessa vita, avendo rispetto dei loro sentimenti ed elevando gradualmente la loro coscienza politica. "lo sostengo davanti a questo congresso - sottolineava il presidente Mao - che bisogna prestare seria attenzione ai problemi della vita delle masse, da quelli della terra e del lavoro a quelli della legna, del riso, dell'olio e del sale (...). Dobbiamo aiutare le larghe masse a capire che rappresentiamo i loro interessi, che la loro vita è la nostra stessa vita. Dobbiamo aiutarle a capire, partendo da queste cose, i compiti ancora più alti che abbiamo posto, i compiti della guerra rivoluzionaria, in modo che esse appoggino la rivoluzione e la estendano in tutto il paese, rispondano ai nostri appelli politici e lottino fino in fondo per la vittoria della rivoluzione" 14.
Indicazione politica preziosissima a cui il PMLI si attiene con la massima diligenza. Infatti noi sosteniamo, per esempio, forti aumenti uguali per tutti dei salari e delle pensioni dei lavoratori, la piena occupazione, le 35 ore settimanali, la riduzione delle categorie, la parificazione delle normative, il diritto alla casa e a canoni veramente equi e proporzionati al reddito degli operai, l'assistenza sanitaria per i lavoratori e pensionati totalmente gratuita, servizi sociali generalizzati atti a sgravare realmente le donne dalla schiavitù domestica e familiare, la completa parità economica, politica, giuridica e sociale tra la donna e l'uomo, l'applicazione e il miglioramento della 194, il recupero della contingenza sulle liquidazioni, il diritto allo studio per i figli dei lavoratori, e ogni altra rivendicazione, sia pur piccola, venga avanzata dalle masse.
Mentre siamo contro la cosiddetta “riforma del salario”, che privilegia la professionalità, minimizza l'incidenza della scala mobile e penalizza gli operai generici e della piccola e media industria, contro gli aumenti dei prezzi e delle tariffe e la tassazione dei lavoratori, di cui chiediamo anzi uno sgravio, la mobilità, la cassa integrazione, il part-time, l'aumento della produttività, l'autoregolamentazione dello sciopero e ogni altra misura che tenda a soffocare la democrazia sindacale e le libertà sindacali.
In questo quadro siamo decisamente contrari alla "cogestione" o "codecisione" e al "patto antinflazione", che peggiorerebbe sensibilmente le condizioni di vita e di lavoro delle masse lavoratrici, senza che esse ne ricevano alcuna contropartita accettabile per oggi e per domani. Tanto più grave sarebbe politicamente stipulare un simile patto col governo Spadolini i cui primi atti qualificanti sono stati l'approfondimento della dipendenza militare ed anche finanziaria, economica ed energetica dell'Italia dagli Usa mediante l'installazione dei missili Cruise a Comiso e il colossale accordo Eni-Oxy.
Al governo Spadolini non si deve concedere nulla, se non si vuole che si prenda il dito con tutta la mano. Questo governo intende a tutti i costi ridurre l'inflazione scaricandone tutto il peso sulla classe operaia e sulle masse popolari mediante il taglio della spesa pubblica riguardante la sanità, la previdenza, l'istruzione e i trasferimenti, il "raffreddamento" della scala mobile, contratti di lavoro capestro incentrati su bassi salari, la mobilità, la produttività e la professionalità, l'autodisciplina dello sciopero. Un governo che non è credibile nemmeno sul piano della moralità, visto che l'indennità dei parlamentari è aumentata di 300 mila lire nette al mese a partire dal 1° luglio 1980, come pure sul piano della democrazia borghese, visto che ha preso a balzo la necessità di sciogliere la P2 per mettere un'ipoteca su tutte le organizzazioni non gradite al governo e alla classe dominante.
Come si vede è cambiato il direttore, da un democristiano siamo passati a un repubblicano ex repubblichino, ma la musica è sempre la stessa, ma quanto durerà ancora? Dipende dal tempo che occorrerà per creare le condizioni soggettive necessarie alla rivoluzione.
 

Il Partito, il Fronte unito, l'Esercito rosso sono gli strumenti fondamentali della rivoluzione
Facendo il bilancio dell'epopea rivoluzionaria cinese, il presidente Mao indicava nel Partito, nell'Esercito rosso e nel Fronte unito i tre strumenti fondamentali per organizzare e dirigere la rivoluzione. Ecco le sue precise parole: "Un partito disciplinato, armato della teoria marxista-leninista, che pratica l'autocritica ed è legato alle masse popolari; un esercito sotto la direzione di tale partito; un fronte unito di tutte le classi rivoluzionarie e di tutti i gruppi rivoluzionari sotto la direzione di tale partito; ecco le tre armi principali con le quali abbiamo sconfitto il nemico" 15.
Come si capisce facilmente, lo strumento più importante è il Partito, perché senza di esso non è possibile né creare e dirigere il Fronte unito e l'Esercito rosso né riunire il proletariato su posizioni rivoluzionarie.
Il Partito è l'anima e la guida di tutte le battaglie del proletariato, senza di esso non è possibile ispirare e dirigere le multiformi attività del movimento operaio in campo politico, sociale, economico, sindacale e culturale, non è possibile assicurare in ogni frangente e in ogni stadio della rivoluzione l'egemonia del proletariato. Sul piano organizzativo non statale, il Partito è la massima e più alta espressione del proletariato rivoluzionario.
Naturalmente quello di cui si parla e che occorre non è un Partito qualsiasi, un partito di tipo socialdemocratico o dì tipo revisionista ai quali non si attagliano il centralismo democratico e il marxismo-leninismo, ma un partito dalle marcate caratteristiche ideologiche, politiche, programmatiche e organizzative proletarie rivoluzionarie ben precise, definite e codificate, in cui la classe operaia sia sovrana e la cui volontà sia legge per tutti i membri. Un partito di quadri responsabili, coscienti, disciplinati, pronti all'estremo sacrificio, capaci di organizzare e guidare le masse rivoluzionarie.
Nel nostro Paese questo tipo di partito c'è già, ma è ancora troppo piccolo e debole per dare il meglio di sé e per essere completamente all'altezza dei grandi compiti rivoluzionari. Ma cosa potevamo fare di più considerando le condizioni di partenza, le miriadi di gruppi manovrati dai revisionisti se non dalla DC e dal PSI che nel passato ci contendevano il nome di marxista-leninista, la mancanza per un lungo periodo di tempo di un concreto appoggio del movimento comunista internazionale, la presenza del più grosso partito revisionista non al potere del mondo e di diverse organizzazioni sedicenti rivoluzionarie ad esso collegate, l'estrema povertà di mezzi e il numero esiguo di militanti? Siamo però in grado, dato le basi che abbiamo gettato e l'esperienza che abbiamo accumulato, di fare meglio, di costruire il Partito più rapidamente se il proletariato ci darà la forza in uomini, in appoggio e in mezzi.
Molti rivoluzionari e sinceri comunisti non hanno ancora capito che se non si rafforza il PMLI la preparazione della rivoluzione va a rilento e il grande potenziale del proletariato rimane soffocato sotto la cappa del revisionismo. Non si è ancora capito che, quando batte il tempo della rivoluzione, i rivoluzionari devono andare con i rivoluzionari e i revisionisti con i revisionisti. Non si può sperare di fare la rivoluzione con un partito revisionista, come non si può pensare di cambiarlo dall'interno quando l'alternativa a Berlinguer potrebbe essere o l'estrema destra di Napolitano o i filosovietici di Cossutta, quest'ultimi pronti a svendere l'indipendenza dell'Italia a Mosca.
Comunque sia, in attesa che le coscienze maturino, noi continueremo a gettare tutte le nostre energie nella costruzione del PMLI, tenendo sempre le porte aperte e sperando che molti elementi avanzati del proletariato e sinceri rivoluzionari entrino nel Partito prima della celebrazione del 2° Congresso nazionale che terremo entro il prossimo anno, per ricevere da essi nuove idee, nuove esperienze e nuove energie tali da rendere il Partito più esperto, più legato alle masse, presente in più parti d'Italia.
Senza il Partito marxista-leninista niente vittoria della rivoluzione proletaria, ma col solo Partito non è però possibile organizzare e mobilitare tutte le forze sociali e politiche rivoluzionarie. Occorre che accanto al Partito e sotto la sua direzione vi sia un potente e il più largo possibile Fronte unito capace di raccogliere la classe operaia, il proletariato agricolo, i contadini poveri, la piccola borghesia dello strato inferiore, i giovani e le donne avanzate e tutti i raggruppamenti politici e sociali non marxisti che vogliono pure loro la rivoluzione e il socialismo.
Poiché nel nostro caso non si tratta di fare una rivoluzione borghese, ma proletaria, cioè una rivoluzione che ponga la parola fine alla proprietà privata capitalistica, è chiaro che nel Fronte unito non vi potranno entrare forze capitalistiche e tutti coloro che in un modo o nell'altro avversano il socialismo, tuttavia può raccogliere singoli elementi della borghesia media e della piccola borghesia dello strato alto che rinunciano alle rivendicazioni della propria classe e vogliono anch'essi battersi per la nuova società socialista.
Il fronte unito dei revisionisti non fa distinzione tra forze operaie e lavoratrici e forze borghesi, perché il loro scopo è semplicemente quello di fare una politica diversa, almeno a parole, da quella della DC e di realizzare un nuovo governo sempre nell'ambito dell'attuale quadro costituzionale. Il Fronte unito rivoluzionario deve essere invece chiaramente demarcato a destra affinché non vengano stravolti la sua natura, la sua composizione e i suoi scopi fondamentali.
In questo Fronte non deve esistere però alcuna discriminazione di origine religiosa o filosofica, esso deve essere quindi aperto a non credenti e credenti, che devono coesistere su un piano di uguaglianza nei diritti e nei doveri, fermo restando le loro rispettive convinzioni ideologiche e dottrinarie.
La classe operaia - attraverso il suo Partito - deve avere un ruolo egemone nel Fronte unito rivoluzionario perché è la sola classe rivoluzionaria veramente conseguente e antagonista al capitalismo, la sola classe che può assicurare che la rivoluzione abbia effettivamente un carattere socialista e vada fino in fondo, la sola classe in grado di riunire tutte le classi e i gruppi sociali anticapitalisti, di neutralizzare le forze intermedie e di isolare la grande borghesia e le forze statali a questa asservite, la sola classe che ha la forza e la capacità di costruire un nuovo mondo.
Il presidente Mao così descrive la classe operaia: “Il proletariato, che numericamente è molto superiore alla borghesia e si sviluppa contemporaneamente ad essa, ma che si trova sotto il suo dominio costituisce la forza nuova; mentre nel periodo iniziale esso occupava una posizione dipendente nei confronti della borghesia, gradualmente si rafforza e diventa una classe indipendente, che svolge una funzione dirigente nella storia, che alla fine prende il potere e diventa una classe dominante" 16. Sono la collocazione nella produzione e nella società, l'ideologia, l'esperienza produttiva e di lotta, le capacità organizzative e mobilitatrici che fanno della classe operaia la classe più potente, più avanzata e più rivoluzionaria della storia, i cui compiti fondamentali rimangono immutati nel tempo e nello spazio, e che non possono essere manomesssi da alcun artificio e da nessuna teorizzazione cervellotica e astratta.
Oggi, per sminuire la funzione storica della classe operaia e il suo peso nella società, e per trovare in essa addirittura l'avallo alla propria politica controrivoluzionaria di capitolazione alla borghesia, il PCI e il PSI, rispettivamente attraverso un'inchiesta del Cespe effettuata alla Fiat e del Cesac fatta fra gli operai della piccola e media industria, presentano un'immagine del proletariato moderata e riformista, soddisfatto di vivere in questa società. Ma i fatti già descritti parlano diversamente, e il prossimo futuro non mancherà certo di mostrare la potente carica rivoluzionaria della classe operaia.
Visto come stanno le cose, nella presente circostanza, e se non si formeranno in avvenire dei partiti e dei raggruppamenti sociali non proletari che vogliono apertamente il socialismo, il Fronte unito rivoluzionario non può che essere costruito alla base, e non anche al vertice, perché i gruppi dirigenti dei partiti che si richiamano al socialismo - PCI, PSI, PSDI, PdUP e DP - hanno escluso dai loro programmi la rivoluzione socialista e la dittatura del proletariato.
Al momento attuale non ci rimane allora che agire solo alla base, ricercare ardentemente l'unità, oltre che con le masse senza partito, con i semplici membri e le sezioni, in qualche caso anche con le Federazioni, dei partiti summenzionati e dei partiti radicale e liberale per organizzare insieme, o con alcuni di essi, battaglie e attività che sono di comune interesse, e che noi riteniamo utili per espandere l'influenza del Partito e della linea proletaria rivoluzionaria. Naturalmente, ricercare l'unità alla base non esclude che il nostro Partito partecipi a tutti i livelli, anche al vertice, al confronto ordinario che esiste tra i vari partiti parlamentari e non, con la sola esclusione del MSI.
Noi dobbiamo praticare un'abile politica di fronte unito in ogni campo, dal politico al sindacale, dal culturale al ricreativo, fra gli operai e i contadini, fra le donne e i giovani e gli studenti, fra i disoccupati e i senza casa, fra i pensionati e gli handicappati, fra gli intellettuali, i militari e gli sportivi. Concentrando di volta in volta le nostre forze in questo o quel settore dove vi è maggiore possibilità di penetrazione del PMLI, ma privilegiando sempre e comunque la classe operaia.
Dovunque è possibile - nei modi e nelle forme dovute e diversificate, manovrando sui tre livelli d'azione - dobbiamo far sentire, direttamente o indirettamente, la voce del Partito e legarci con coloro che ci sono più vicini, mediante le correnti rivoluzionarie o organismi di massa che si possono via via creare secondo la fantasia e le singole situazioni ed esigenze. Di pari passo non va trascurato, anzi bisogna rafforzarlo, il lavoro nei grandi organismi di massa diretti dai revisionisti come per esempio il sindacato della Cgil. In ogni caso bisogna però sempre ricordare quali sono i nostri scopi strategici generali, la nostra tattica, i nostri compiti particolari e specifici, la classe per cui lavoriamo, e agire sotto la direzione del Partito.
Gradualmente dobbiamo creare una rete organizzativa di massa politica, sindacale, sociale, culturale e militare che successivamente potremo centralizzare e unificare nel Fronte unito rivoluzionario. Per assicurarci la direzione di questo Fronte, noi dobbiamo seguire i due seguenti criteri elaborati dal presidente Mao: "La classe e il partito dirigente possono esercitare la direzione sulle classi, gli strati sociali, i partiti politici e le organizzazioni popolari soltanto a due condizioni: a) Guidare coloro che essi dirigono (gli alleati) a lottare risolutamente contro il nemico comune e conquistare la vittoria; b) Apportare vantaggi materiali a coloro che essi dirigono o almeno non danneggiare i loro interessi e, al tempo stesso, dar loro una educazione politica. Senza queste due condizioni, o con una sola di esse, la direzione non può essere stabilita" 17.
Il terzo strumento fondamentale, come abbiamo già detto, per organizzare e portare alla vittoria la rivoluzione socialista è l'Esercito rosso. Ma non lo si può realizzare subito, il processo di costruzione del Partito e del Fronte unito è ancora troppo indietro, e i tempi non sono maturi perché le forze rivoluzionarie si armino e scendano in piazza.
Con ogni probabilità l'Esercito rosso si creerà formalmente a ridosso dell'insurrezione perché esso non ha bisogno di una preliminare preparazione e addestramento militari e di compiere delle azioni armate, isolate, lontane e staccate dall'insurrezione. La nostra non sarà una rivoluzione di lunga durata, né un semplice scontro fra le forze armate contrapposte, ma una rivoluzione fulminea e breve che scatterà solo quando saremo sicuri della vittoria, una grande offensiva insurrezionale di massa che assedierà il nemico da tutte le parti senza lasciargli alcuna via di scampo. Date queste caratteristiche della nostra rivoluzione, basterà solo pensare a disegnare la struttura dell'Esercito rosso, stabilendone esattamente i compiti e le funzioni per costruirlo al momento opportuno nel concreto, facendo pernio sulle squadre di combattimento operaie e contadine.
Una volta realizzati compiutamente il Partito, il Fronte unito e l'Esercito rosso sarà allora possibile creare una situazione sotto tutti gli aspetti rivoluzionaria e passare così rapidamente e fulmineamente all'insurrezione di massa per abbattere la dittatura della borghesia e realizzare il socialismo.
 

La democrazia borghese è antagonistica al socialismo
Secondo il segretario della DC, e non soltanto lui, in Italia non ci sarebbe più bisogno di una rivoluzione perché essa sarebbe già avvenuta nel dopoguerra, soddisfacendo interamente, persino sul piano economico, le masse popolari. Egli infatti dice: “Questi trent'anni raccontano la storia di un popolo che, per la prima volta dopo secoli, sperimenta la democrazia non solo formale, una sostanziale, perviene, cioè, a toccare alcune delle mète proprie di quella democrazia pluralista che in altri Paesi, hanno richiesto esperienze secolari e vere e proprie rotture rivoluzionarie. Da noi, pur senza fratture traumatiche, una vera e propria rivoluzione nella libertà democratica c'è stata ed è stata una rivoluzione economico-sociale che ha sconvolto i rapporti di classe, favorendo, a livello delle masse popolari, una altissima integrazione economica”18.
Noi non la pensiamo affatto allo stesso modo, dato che la realtà è lì pronta a smentire sonoramente queste macro-falsità di Piccoli. Anzitutto perché la rivoluzione che vogliono i lavoratori non tollera la benché minima esistenza dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, poi perché l'attuale democrazia è il regno della libertà e del privilegio per i ricchi e i capitalisti e l'inferno per gli operai, le masse e i poveri, e infine perché al potere è ancora la classe borghese.
È vero soltanto, pensando al passato - al Risorgimento, alla fase dell'Unità d'Italia, alla fine della dittatura fascista di Mussolini e della monarchia e all'avvento della Repubblica e della Costituzione -, che nel nostro Paese c'è stata una rivoluzione borghese, ma questa ormai è storicamente interamente compiuta, e non ha più nulla da offrire stil piano del progresso economico, politico e sociale.
Quelle che furono le novità democratiche, economiche e istituzionali, introdotte dalla borghesia sulla spinta anche del proletariato, progressiste rispetto al feudalesimo e alla monarchia, si avviano rapidamente a trasformarsi in elementi di un regime forte, reazionario, se non apertamente fascista, in cui scompaiono anche i residui margini delle libertà e della democrazia di origine borghese.
Sintomi preoccupanti in tal senso sono i ripetuti tentativi di golpe, da quello preparato nel '64 da De Lorenzo-Segni a quelli architettati da Sindona e Gelli rispettivamente negli anni '72 e '78, l'atteggiamento presidenzialista di Pertini, le richieste di una seconda repubblica avanzate in particolare dal nuovo aspirante duce Craxi, ma anche le proposte dei revisionisti, quali ad esempio la "riforma del parlamento" e della presidenza del Consiglio, vanno in tal senso, la legislazione repressiva che ha al suo centro le famigerate leggi fasciste Cossiga e Reale, e, infine, l'integrazione dei partiti parlamentari nello Stato attraverso il finanziamento pubblico, ora in via di raddoppio, che costituisce la più colossale rapina del reddito dei lavoratori e l'esempio più clamoroso dell'immoralità pubblica elevata a sistema.
Il terrorismo, gli scandali, la corruzione, l'immoralità e lo sfacelo istituzionale non sono quindi fenomeni a sé, anomali, eccezionali e contraddittori rispetto a questo Stato, a questa Costituzione e a questo tipo di democrazia. Ma tutti quanti prodotti dal vecchio regime borghese ormai giunto allo stato estremo della sua putrefazione e congeniali a esso e che niente e nessuno può rigenerare e ridargli la forza e la vitalità degli anni verdi. Lo sfascio dell'attuale società e la cancrena della democrazia borghese non derivano quindi tanto dal "sistema di potere democristiano" quanto dal sistema capitalistico.
La democrazia borghese è bloccata a sinistra e aperta a destra. D'altra parte la Costituzione stabilisce dei vincoli insormontabili a sinistra, delle regole di un gioco che non consente di cambiare l'attuale rapporto di forza esistente fra le classi, e che la classe operaia acceda pacificamente e legalmente al potere e cambi questo tipo di società. È inutile perciò farsi delle illusioni costituzionali, intestardirsi a muoversi solo dentro i confini della Costituzione vuol dire dare altro ossigeno alla borghesia morente e tagliarsi da sé ogni prospettiva di cambiamento sociale.
La democrazia borghese, sancita e tutelata dalla Costituzione, si può spremere quanto si vuole e si può estendere a sinistra al massimo della sua sopportabilità, ma non si potrà mai valicare il suo limite estremo che è costituito dall'esistenza e dalla difesa della proprietà privata capitalistica.
Questo limite sacro - checché ne dicano Piccoli e tutti gli altri politicanti borghesi e revisionisti - spiega perché nel nostro Paese non c'è una reale e sostanziale democrazia ma solo una democrazia formale, una democrazia che fondamentalmente tutela gli interessi della borghesia. “Libertà e democrazia - sostiene a ragion veduta il presidente Mao - esistono solo in concreto, mai in astratto. In una società in cui esiste la lotta di classe, se le classi sfruttatrici hanno la libertà di sfruttare i lavoratori, i lavoratori non hanno la libertà di sottrarsi allo sfruttamento; dove esiste democrazia per la borghesia non può esservi democrazia per il proletariato e per gli altri lavoratori" 19.
Come non dargli ragione! Ché forse in Italia, tanto per fare due esempi, i lavoratori hanno le stesse condizioni economiche e sociali dei capitalisti e dispongono di mezzi di comunicazione e di informazione nella stessa quantità e della stessa qualità di quelli in mano ai padroni? Non ci risulta, e allora di quale democrazia si ciancia? La realtà è che in questa democrazia chi nasce operaio muore operaio e chi nasce ricco muore ancor più ricco.
Il suffragio universale e le libertà formali - per altro conquistate a caro prezzo dal proletariato - non possono essere considerate in alcun modo elementi probanti dell'esistenza di un regime democratico. Già Marx ha smascherato il carattere truffaldino dell'elettoralismo e del parlamentarismo borghesi attraverso i quali le classi oppresse ricevono periodicamente il diritto di votare i rappresentanti della classe borghese che "rappresenteranno e schiacceranno" il popolo in parlamento. Così come è un puro inganno e una finzione giuridica e costituzionale, il principio secondo cui il potere sta nella maggioranza. Infatti i lavoratori, che pure costituiscono la maggioranza, non possono decidere effettivamente sugli affari dello Stato, perché l'ordinamento statale attuale non è congegnato in modo che essi possano far valere realmente la propria volontà, perché sono esclusi dalla direzione delle varie istituzioni, e perché non possiedono gli strumenti materiali del potere economico e politico.
Su questo tipo di democrazia, falsa, monca e oggi anche retrograda e reazionaria, è impensabile quindi poter costruire il socialismo. Diversamente la pensa Berlinguer, il quale sostiene invece che la “democrazia è il valore storicamente universale sul quale fondare un'originale società socialista”20. Pudicamente egli non dice di quale democrazia si tratta, ma è sottinteso che si riferisce alla democrazia borghese, altrimenti l'avrebbe definita con il suo termine di classe.
Sta di fatto che fondando la loro politica sulla democrazia borghese, e addirittura erigendo a simbolo e modello questa vecchia e logora bandiera della borghesia, i revisionisti portano alle estreme conseguenze la linea della “democrazia progressiva” elaborata da Togliatti con la cosiddetta "svolta di Salerno", si ricongiungono con l'Internazionale socialdemocratica, che fin dal '14 anziché porsi come obiettivo l'abbattimento del potere borghese scelse la via della conquista della macchina statale attraverso le elezioni, e rompono definitivamente col leninismo anche sulla importante questione della democrazia.
E chiaro che per i revisionisti l'attuazione piena della democrazia borghese è il fine ultimo della lotta del proletariato, perché essi considerano questa democrazia il "non plus ultra" di ogni altro tipo di democrazia, compresa quella socialista.
Per noi marxisti-leninisti invece la democrazia borghese è solo una tappa storica dello sviluppo della società, una tappa che oggi bisogna affrettarsi a superare per i pericoli involutivi e fascistizzanti che essa ha accumulato, uno strumento da utilizzare contro la classe dominante borghese e per difendere i diritti del proletariato e creare le condizioni necessarie per il passaggio verso una democrazia superiore, più avanzata e fatta su misura dei lavoratori. Ebbene questo passaggio non può certo avvenire nell'ambito della vecchia democrazia borghese e senza una frattura netta col vecchio ordinamento statale, perché questa volta il potere non passa da una minoranza a un'altra, ma da una minoranza di sfruttatori alla maggioranza degli sfruttati. Si tratta della rivoluzione più profonda della storia dell'umanità che, abolendo lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e dando tutto il potere alla classe operaia, instaura nuove forme di democrazia e nuove istituzioni che consentano finalmente ai lavoratori di poter godere veramente e pienamente la libertà, la democrazia e l'uguaglianza.
 

La classe operaia può avere il potere solo nel socialismo
L'Italia non si cambia e non si rinnova, se non si spezzano i vincoli della vecchia democrazia borghese, se non si imbocca decisamente la via della Rivoluzione d'Ottobre. Solo il socialismo può risanare economicamente e moralmente l'Italia, salvarla dalla guerra imperialista e dal fascismo e assicurarle un avvenire di pace, democrazia e benessere sociale. Solo il socialismo permette alla classe operaia di esercitare il potere politico e di costruire un nuovo mondo senza più sfruttamento, miseria, disoccupazione, disuguaglianze sociali, arretratezze territoriali e dislivelli fra industria e agricoltura, città e campagna.
Dal dopoguerra ad oggi si sono sperimentate diverse maggioranze governative, con la partecipazione anche del PCI e del PSI, ma le cose non sono andate a migliorare, il proletariato è ancora lontano dal potere e l'Italia è alla deriva.
La DC si è logorata nella gestione degli affari della borghesia, e ora il PCI, dopo averla circuita per ben sei anni attraverso il "compromesso storico", cerca di rimpiazzarla con la nebulosa e contraddittoria "alternativa democratica", una strategia questa che tuttavia rimane ancora sospesa nel limbo del pensiero dell'autore. Ma per far che cosa, se non la stessa politica della DC, come si capisce da queste parole di Berlinguer: "Che cosa faremo noi se governassimo e che cosa cerchiamo di fare pur stando all'opposizione? L'Italia è un Paese che è in crisi da tempo (...) in queste condizioni non si può avere tutto. E tanto meno si può avere tutto e subito (...). Servono quattro cose, o meglio, quattro decisioni politiche (...) decidere quali cose è possibile fare (...), calcolare quanto costa il farle (...), stabilire in che proporzione e in quali modi lo Stato, le imprese, le famiglie, i cittadini vi partecipano, in quale misura proporzionale contribuiscono a sostenere quelle spese (...), identificare gli strumenti e i meccanismi idonei al conseguimento di tali fini (...) sapendo, soprattutto, che non è possibile programmare tutto, che al mercato deve essere garantito uno spazio, e uno spazio importante (...). Quella che serve è una programmazione, una vera programmazione che sia il più possibile indiretta e non - tanto per essere chiari - una pianificazione coercitiva"21 .
Ma quali novità sono mai queste! Dal momento che al mercato - cioè il sistema di produzione, commercio e scambio capitalistici - si deve dare "uno spazio importante” e che la programmazione non deve essere coercitiva, e per giunta deve essere sostenuta e anche pagata dalle "famiglie" e dai "cittadini", comé possibile che in tal modo si possa uscire dal capitalismo? È evidente che ci troviamo di fronte a una grande impostura da parte dei revisionisti i quali dimostrano nella pratica di lavorare per la borghesia, di minare gli interessi fondamentali del proletariato e di boicottare la lotta per il socialismo.
Senza considerare il fatto che, nelle presenti circostanze, la semplice partecipazione a un governo borghese vuol dire dare ancora un po' di ossigeno alla classe dominante, sfiancare il movimento operaio e soffocare la rivoluzione. La pratica dovrebbe già aver dimostrato che la partecipazione dei partiti che si richiamano al socialismo ai governi borghesi non è altro che un vano ornamento, una copertura a sinistra per continuare a sfruttare e opprimere meglio i lavoratori e dirottare le loro lotte nel vicolo cieco del riformismo, del pacifismo e del parlamentarismo.
Anche la grande illusione creatasi con l'avvento di Mitterrand e del ''governo delle sinistre" in Francia non dovrebbe smentire l'esperienza storica acquisita dal proletariato, visto l'allineamento sostanziale di Mitterrand e del suo governo alla politica militare, estera e monetaria di Reagan e visto che essi non intendono affatto far scomparire le classi e il sistema economico che le genera.
Quando sono maturi i tempi per la conquista del potere politico da parte del proletariato, e ci troviamo, come nel nostro caso, di fronte al crollo verticale della vecchia società, l'unica posizione che il partito del proletariato può assumere è l'alternativa di classe, cioè l'opposizione frontale e su tutti i piani al governo e alle istituzioni borghesi, e la lotta conseguente per il socialismo.
Dobbiamo essere però consapevoli che l'economia socialista e la sovrastruttura statale socialista non possono nascere all'interno del capitalismo, perché i nuovi rapporti di produzione e il nuovo ordinamento statale non possono coesistere con quelli vecchi, che costituiscono i loro antagonisti diretti. È un controsenso perciò affermare che si possono realizzare "elementi di socialismo" nella società capitalista. Bisogna prima rovesciare e distruggere il vecchio Stato con la rivoluzione socialista per poter abolire i rapporti di produzione capitalistici e dar vita a un nuovo sistema economico e a una nuova società.
Non è affatto vero, come dicono le tesi del XV Congresso nazionale del PCI, che "per realizzare una società socialista, non è necessario una statizzazione integrale dei mezzi di produzione". Anche in questo campo noi siamo d'accordo col presidente Mao, il quale giustamente afferma che il socialismo "consiste nella distruzione della proprietà privata capitalista e nella sua trasformazione in proprietà socialista di tutto il popolo, nella distruzione della proprietà individuale e nella sua trasformazione in proprietà collettiva socialista" 22. "Il marxismo è duro, senza pietà, quello che vuole è annientare l'imperialismo, il feudalesimo, il capitalismo e anche la piccola produzione. In questo campo è meglio non essere troppo indulgenti. Alcuni nostri compagni - continua il presidente Mao - sono troppo benevoli, non duri, in altre parole, non totalmente marxisti (...). Il nostro scopo è di estirpare il capitalismo, di estirparlo su tutto il globo, di farlo diventare un oggetto storico. Tutto quello che appare nel corso della storia dovrà sempre essere eliminato. Non c'è cosa o fenomeno nel mondo che non sia prodotto della storia; alla vita succede sempre la morte. Il capitalismo è un prodotto della storia, deve, dunque, morire, c'è un ottimo posto sottoterra per 'dormire' che lo aspetta" 23.
Parole migliori e più chiare non potevano essere dette per definire il socialismo, i cui connotati sono stati talmente deformati dai revisionisti da renderlo quasi irriconoscibile, se non addirittura simile al capitalismo e all'imperialismo. Invece, come si è visto, tra socialismo e capitalismo ci corre quanto tra il giorno e la notte.
Socialismo autentico significa cancellare completamente la maledetta proprietà privata capitalistica, che è la fonte principale dell'esistenza delle classi, dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, delle ingiustizie sociali, della guerra e del fascismo. Per essere ancora più espliciti e concreti, qui in Italia socialismo significa, in sintesi: statalizzazione di tutte le grandi, medie e piccole imprese industriali, agricole, commerciali e dei trasporti terrestri, marittimi, fluviali e aerei; statalizzazione di tutta la proprietà fondiaria, compreso le attrezzature, nelle città e nelle campagne, del suolo, sottosuolo, incluse le miniere, delle acque e le foreste; statalizzazione delle banche private e degli istituti finanziari e assicurativi; statizzazione del commercio e di tutti i mezzi di comunicazione di massa (radio, tv, giornali, telefono, telegrafo, ecc.).
Insomma tutto ciò che serve per la produzione, lo scambio e il commercio deve diventare proprietà socialista di tutto il popolo e deve essere controllato dal popolo, perché solo così la classe operaia può gestire effettivamente l'economia e soddisfare tutte le esigenze materiali e spirituali del popolo.
Naturalmente questo gigantesco trapasso dall'economia capitalista all'economia socialista non potrà avvenire di colpo e in pochi giorni; andrà realizzato gradualmente, cominciando dalle cose fondamentali e preliminari, secondo le condizioni concrete interne e internazionali che si determineranno dopo la rivoluzione, e l'atteggiamento che i piccoli e medi proprietari e produttori e le classi intermedie avranno assunto verso la rivoluzione e il socialismo.
Socialismo in Italia significa anche abrogazione della Costituzione borghese e promulgazione di una nuova Costituzione socialista; soppressione delle Forze armate, della polizia e della finanza della borghesia e istituzione dell'Esercito rosso e dell'armamento del popolo; soppressione dell'apparato giudiziario borghese e istituzione di un nuovo apparato giudiziario formato e diretto dal popolo; soppressione dell'elettoralismo e del parlamentarismo borghesi e istituzione di un nuovo sistema elettorale basato sull'unità economica e produttiva (officine, fabbriche, aziende agricole, ecc.), sulla libertà e segretezza del voto, dal quale voto per un certo periodo verranno esclusi gli ex sfruttatori e i nemici del popolo, e sulla revocabilità in ogni momento degli eletti, e l'istituzione di un sistema di assemblee popolari in cui sia unito il potere esecutivo con quello legislativo; sostituzione della vecchia politica estera imperialista e delle alleanze Nato e Cee con una politica estera socialista basata sull'internazionalismo proletario, sui cinque principi della coesistenza pacifica con gli Stati a diverso regime sociale e sull'alleanza con i Paesi non allineati e del Terzo mondo.
Ma soprattutto socialismo significa in Italia dare tutto il potere alla classe operaia, che si deve insediare dal basso in alto in tutti i campi della gestione dello Stato, in tutto l'edificio dello Stato, esercitando con forza e sicurezza la dittatura del proletariato. La classe operaia attraverso il suo Partito deve dirigere tutto, dal governo alle singole istituzioni statali, dalle imprese alle banche, dai mezzi di comunicazione di massa ai centri culturali, educativi, ricreativi e così via. Niente deve sfuggire al suo controllo e alla sua direzione perché solo così i lavoratori possono soddisfare effettivamente il loro diritto al lavoro, alla casa, all'educazione, alla previdenza sociale, al riposo e vivere in piena libertà e democrazia.
Non c'è dubbio che l'instaurazione del socialismo significa aprire una pagina nuova nella storia millenaria dell'Italia, ma questo atto straordinario di incalcolabile portata nazionale e internazionale - come abbiamo già visto - non può essere compiuto se non si abbatte la resistenza dei capitalisti e dei loro servi e non si fa la rivoluzione socialista.
Noi siamo consapevoli che la via del socialismo non è lastricata di rose e fiori, ma non abbiamo paura di affrontare le prove e le vicissitudini che troveremo lungo il nostro cammino, perché siamo animati dalla stessa volontà e dallo stesso spirito rivoluzionario che erano propri dell'ultimo dei grandi Maestri del proletariato: “Dobbiamo lasciarci infiammare dalle grandi e sublimi aspirazioni proletarie, osare aprire sentieri mai esplorati e scalare vette mai raggiunte” 24.
Riposa in pace, amato compagno Mao, noi marxisti-leninisti italiani terremo per sempre fede ai tuoi insegnamenti e ti saremo riconoscenti in eterno perché grazie a te, a Marx, Engels, Lenin e Stalin un giorno anche l'Italia sarà rossa e socialista.
 

 
NOTE
 
1 - Mao, Alcune esperienze storiche nel nostro partito, (25 settembre 1956), Opere scelte, vol. V
2 - Mao, Il ruolo del Partito comunista cinese nella guerra nazionale, (ottobre 1938), Opere scelte, vol. II
3 - Mao, Sulla dittatura democratica popolare, 30 giugno 1949), Opere scelte, vol. IV
4 - Lenin, Che fare?, (autunno 1901-febbraio 1902), Opere complete, vol. V
5 - Mao, Giudizi espressi nel '75 e nel '76
6 - Mao, Discorso alla 2° Sessione plenaria dell'VIII CC del PCC, (15 novembre 1956), Opere scelte, vol. V
7 - Mao, Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo, (21 febbraio 1957), Opere scelte, vol. V
8 - Enrico Berlinguer, Intervista a "Critica marxista" n. 2 - marzo/aprile 1981
9 - Mao, Citato nel rapporto al IX Congresso nazionale del PCC tenutosi il 1-24 aprile 1969
10 - Mao, Citato nell'editoriale del "Quotidiano del popolo" del 1° gennaio 1970
11 - Mao, Preoccuparsi delle condizioni di vita delle masse, fare attenzione ai metodi di lavoro, (27 gennaio 1934), Opere scelte, vol. I
12 - Mao, Il dibattito sulla cooperazione agricola e l'odierna lotta di classe, (11 ottobre 1955), Opere scelte, vol. V
13 - Vedi "L'ape e il comunista" - numero speciale di "Corrispondenze internazionali", nn. 16/ 17 - ottobre/dicembre 1980
14 - Mao, Preoccuparsi delle condizioni di vita delle masse, fare attenzione ai metodi di lavoro, (27 gennaio 1934), Opere scelte, vol. I
15 - Mao, Sulla dittatura democratica popolare, (30 giugno 1949), Opere scelte, vol. IV
16 - Mao, Sulla contraddizione, (agosto 1937), Opere scelte, vol. I
17 - Mao, Alcuni problemi importanti della politica attuale del Partito, (18 gennaio 1948), Opere scelte, vol. IV
18 - Flaminio Piccoli, Discorso alla Camera nel dibattito sulla fiducia al governo Spadolini, 10 luglio 1981
19 - Mao, Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo, (27 febbraio 1957), Opere scelte, vol. V
20 - Enrico Berlinguer, Discorso pronunciato a Mosca il 7 Novembre 1977, in occasione del 60° anniversario della Rivoluzione d'Ottobre
21 - Enrico Berlinguer, Discorso alla Conferenza sulla casa, 22 marzo 1981
22 - Mao, Bisogna aver fiducia nella maggioranza delle masse, (13 ottobre 1957), Opere scelte, vol. V
23 - Mao, Il dibattito sulla cooperazione agricola e l'odierna lotta di classe, (11 ottobre 1955), Opere scelte, vol. V
24 - Mao, Frase pronunciata nel 1962 e citata dalla stampa cinese nel 1966

10 ottobre 2020