I riders cinesi scioperano contro i ritmi e i salari di fame

I lavoratori che consegnano il cibo a domicilio, i ciclofattorini, o riders come sono comunemente chiamati, stanno lottando in molti Paesi del mondo per migliorare le proprie condizioni di lavoro. Anche in Cina si sono fatti sentire. Negli ultimi mesi l'aumento dello sfruttamento e le particolari condizioni operative dettate dalla pandemia del Coronavirus hanno spinto un numero sempre maggiore di lavoratori del settore a organizzare scioperi e proteste. China Labour Bulletin, un’organizzazione no-profit di Hong Kong, ha registrato lo scorso anno ben 45 scioperi da parte degli addetti alla consegna di cibo, un numero considerevole se paragonato ai soli 10 censiti nel 2017.
Da quanto emerso dalle ricerche condotte per più di sei mesi dal team di giornalisti, la concorrenza spietata che va avanti dal 2016 tra Meituan e Ele.me, le piattaforme di consegna di cibo che assieme controllano il 90% del mercato del grande paese asiatico, ha aggravato le condizioni lavorative dei rider del cibo. Ma per molti cinesi un’occupazione nel settore del food delivery rappresenta l'unica opportunità di lavoro.
Stando alla relazione sull’occupazione dell’Istituto di ricerca della società Meituan, durante la pandemia di Covid-19 si sono registrati sulla piattaforma 336.000 nuovi rider. Si tratta principalmente di ex-operai delle fabbriche e piccoli lavoratori autonomi, spesso lavoratori migranti che provengono dalle sconfinate zone rurali del paese e che hanno sofferto licenziamenti e mancanza di lavoro. L'intensa concorrenza tra le aziende e l'abbondanza di manodopera hanno portato a una riduzione dei compensi ridotti da 1,30 yuan a 1,00 yuan per ordine. Questo significa che i riders devono effettuare ulteriori consegne giornaliere per guadagnare la stessa retribuzione.
Questi lavoratori sono divenuti essenziali durante la prima crisi pandemica anche se il loro trattamento economico e normativo non ha subito alcun miglioramento. Le aziende del settore hanno registrato un rilevante aumento dei profitti mentre i ciclofattorini sono sempre più impegnati a correre velocemente per non consegnare in ritardo ed evitare valutazioni negative che potrebbero pregiudicare l'affidamento di nuove consegne, punizioni economiche o addirittura il licenziamento.
Tramite algoritmi sempre più sofisticati le aziende impongono ritmi massacranti. Non sorprende quindi che in Cina nel 2019 il tempo medio di consegna dei pasti pronti è diminuito di dieci minuti rispetto a tre anni prima. Tutto ciò ha abbassato anche il livello della sicurezza perché i lavoratori per sbrigarsi sempre di più tendono a passare con il rosso, andare contromano e violare sistematicamente le norme stradali. Innumerevoli sono i casi di cronaca che li vedono protagonisti di incidenti e tamponamenti. Nel 2018, dei 121 incidenti che coinvolgono i fattorini, 19 hanno comportato la morte del lavoratore. I dati del dipartimento di polizia stradale di Shanghai mostrano che nella prima metà del 2017 in media ogni due giorni e mezzo un rider ha un incidente, a volte mortale.
Sono più o meno le stesse dinamiche e condizioni di lavoro dei riders che lavorano nel resto del mondo capitalistico, di cui la Cina fa parte. Anzi, il capitalismo con caratteristiche cinesi, spacciato come una “particolare” forma di socialismo, rende la vita dei lavoratori, ciclofattorini compresi, ancora peggiore perché la cricca revisionista e socialimperialista di Pechino ha instaurato nel paese una dittatura di tipo fascista che non tollera nessuna protesta o lotta che intralci o rallenti la politica di accumulazione capitalistica forzata che vige oramai da alcuni decenni.

9 dicembre 2020