Dati Istat riferiti al periodo marzo-novembre 2020
+30 mila morti in Italia oltre il Covid

 
Alla fine di dicembre l’Istat, in collaborazione con l'Istituto Superiore di Sanità, ha emanato i dati relativi alla mortalità del 2020, dai quali emerge che tra marzo e novembre - ossia i mesi nei quali, pur a fasi alterne, la pandemia di coronavirus ha toccato il picco della prima ondata – il numero totale dei decessi in Italia è stato di 85.624 (con un aumento del 19% rispetto allo stesso periodo degli anni compresi tra il 2015 e il 2019) dei quali tuttavia, come accertato dal sistema sanitario, soltanto 55.576 sono morti a causa della pandemia.
Ci sono stati quindi oltre 30.000 decessi che, in base ai dati ufficiali, non sono stati provocati dal coronavirus.
Analizzando su base territoriale i dati dell'Istat emerge che in alcune province il numero dei decessi totali rispetto alla media degli anni 2015 - 2019 è rimasto pressoché inalterato (Cagliari, Caltanissetta, Rieti), che in altre il numero è leggermente aumentato (Agrigento, Messina, Reggio Calabria, Vibo Valentia, Matera, Chieti, Salerno, Benevento, Viterbo, Siena) e, infine, che nelle province più colpite dalla pandemia il numero dei decessi è quasi raddoppiato (a Bergamo l'aumento è stato dell'86%, a Cremona del 76%, a Lodi del 62%, a Brescia del 57% e a Milano del 41%).
Per ciò che riguarda la Città metropolitana di Milano, essa ha avuto tra marzo e novembre dello scorso anno un eccesso di quasi diecimila morti in più rispetto allo stesso periodo degli anni 2015 – 2019, e un aumento notevole di mortalità si è avuto anche in altre province - come quelle di Pavia, Lecco, Parma, Piacenza, Rimini e Pesaro Urbino - che sono state duramente colpite dalla pandemia, soprattutto tra marzo e maggio dello scorso anno.
Chiarito il rapporto tra l'aumento del tasso di mortalità e l'incidenza della pandemia sui singoli territori, resta da capire se ciò che ha provocato il decesso delle ulteriori 30.000 persone è il coronavirus o altre patologie.
Nel primo caso si può ipotizzare che un certo numero di persone siano morte prima che venisse fatto loro un tampone e comunque che siano decedute senza che venisse accertata l'infezione da virus, mentre nel secondo caso si può pensare che siano morte per gravi patologie che non sono state adeguatamente trattate dal sistema sanitario che, concentrato quasi esclusivamente nella lotta contro il Covid-19, ha trascurato il resto.
Per ciò che riguarda il rapporto tra l'aumento di mortalità generale e quello dovuto al coronavirus nei singoli territori provinciali e regionali, bisogna considerare che più alta è la quota di decessi per Covid-19 sul totale dei morti in eccesso, più è chiaro che una singola provincia o singola regione è riuscita a mantenere le cure anche per le altre malattie e a diagnosticare gran parte dei contagiati dal virus. D'altra parte, una bassa percentuale di deceduti a causa della pandemia sul totale dei morti in eccesso può voler dire che molti morti per il virus non hanno avuto un tampone, oppure che i malati di patologie diverse non hanno ricevuto cure come in precedenza, tanto da avere un esito fatale.
In entrambe le ipotesi considerate, è chiara la responsabilità del sistema sanitario italiano, perché i 30.000 morti in più rispetto agli anni precedenti non possono che essere stati provocati, in tutto o in parte, o da deficienze nella diagnosi sul coronavirus (e questo sarebbe molto grave, in quanto significherebbe che le strutture sanitarie non avrebbero avuto il pieno controllo della situazione creata dalla pandemia) o da mancanza di cure adeguate per patologie diverse rispetto al Covid-19 (e questo sarebbe ancora più grave, in quanto significherebbe che le strutture sanitarie non sarebbero state lo scorso anno, e forse non sono tuttora, in grado di far fronte contemporaneamente alla pandemia e di erogare cure essenziali alla popolazione per il resto delle patologie).

27 gennaio 2021