Nazionalizzare le aziende farmaceutiche
Il popolo non può dipendere dai privati per i vaccini e le medicine

 
La nazionalizzazione delle aziende farmaceutiche, e più in generale quella di tutti gli asset d'interesse pubblico in periodi di crisi e di emergenza, è un obiettivo strategico per il quale non occorre attendere l'avvento del socialismo, ma che invece va rilanciato nell'immediato, come unica soluzione politica che possa abbattere alcune delle maggiori ingiustizie, distorsioni e inefficienze proprie del capitalismo che si ripercuotono pesantemente sulle masse popolari di tutti i Paesi del Mondo.
Il socialismo poi, quando sarà finalmente realizzato, non solo si occuperà di nazionalizzare le aziende strategiche, ma anche tutti i mezzi di produzione e la terra, intesa come tale, e le guiderà con il Partito e il suo Stato socialista nell'interesse esclusivo del proletariato e delle masse popolari.
Tuttavia oggi è essenziale rivendicare per mille ragioni la nazionalizzazione delle aziende in crisi, e l'abbiamo fatto sempre, come ad esempio nei casi dell'acciaieria ILVA di Taranto, dell'Alitalia e della Banca Monte dei Paschi di Siena; l'emergenza Covid però ha evidenziato la necessità, estrema, di porre sotto l'esclusivo controllo dello Stato – seppur borghese – le aziende farmaceutiche.
Il popolo non può dipendere dai privati per le cure, e nemmeno per i medicinali, inclusi i vaccini, tanto al centro del dibattito e delle necessità in questo periodo.
Abbiamo visto nell'articolo sui vaccini pubblicato sul giornale della scorsa settimana il vincolo inaccettabile dei brevetti, conservato e blindato dai governi nazionali e sovranazionali come l'UE che nonostante tutto non hanno nessuna intenzione di avvalersi neppure della Dichiarazione di Doha dell' OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio), relativa all'accordo sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale, il cui punto numero 5 stabilisce che agli stati membri è concesso il diritto di istituire “licenze obbligatorie” che autorizzano la produzione o l’importazione dei farmaci senza pagare i diritti a chi detiene il brevetto qualora sorga “un'emergenza nazionale o altre circostanze di estrema urgenza” , come appunto quella sanitaria attuale.
Un provvedimento strappato nel 2001 dalla larghissima mobilitazione del Movimento No Global che però rimane lettera morta a causa della subalternità dei governi agli interessi delle multinazionali farmaceutiche; ad oggi infatti, nonostante il disastro sulla distribuzione dei vaccini anticovid e le risposte inadeguate dei governi alla pandemia, la quasi totalità dei Paesi del mondo – fatte salve pochissime eccezioni non ancora concretizzate – ha provveduto in tal senso, probabilmente per il timore di ritorsioni commerciali che potrebbero penalizzare le industrie farmaceutiche nazionali o comunitarie.
È proprio in questo modo che essi dimostrano di tenere più ai profitti delle multinazionali dei farmaci – e di conseguenza anche ai loro stessi interessi - che alle necessità fondamentali delle loro popolazioni.
D'altra parte nel sistema economico capitalista ogni cosa, compresa la salute dello stesso genere umano, diventa un campo dal quale trarre redditizi affari; a nulla contano le condizioni generali delle masse e anzi, nei periodi di crisi finanziaria, ma anche sanitaria, i profitti aumentano.
Abbiamo poi pubblicato un articolo nello scorso dicembre dal titolo “Il Covid arricchisce le multinazionali” che ha spiegato in maniera dettagliata partendo da un rapporto dell'Oxfam “Potere, profitti e Pandemia” che a livello globale alcune grandi multinazionali, e in modo particolare i colossi tecnologici, del commercio on-line e anche i farmaceutici, stanno registrando livelli di utili mai raggiunti in precedenza, approfittando della domanda eccezionale dei loro beni e servizi causata dalla pandemia, e applicando incrementi ingiustificati dei prezzi, vaccini inclusi.
Già nel 2009 lo svilupparsi nel mondo di alcune migliaia di casi di influenza suina, evidenziò il ruolo centrale e egemone di Big Pharma che, con l'appoggio dei governi di tutto il mondo, non solo lucrò complessivamente oltre 10 miliardi di dollari pubblici dalla produzione e vendita del Vaccino, ma ottenne collaborazione, soprattutto mediatica, per estendere al massimo la vaccinazione in tempi rapidi e senza sperimentazioni adeguate, fatto che fu denunciato da numerose riviste specifiche e anche sulle colonne de “Il Bolscevico”.
Non è un caso, non rappresenta dunque una eccezionalità bensì la regola, il processo di eventi e di contraddizioni al quale stiamo assistendo oggi, di fronte a un virus ben peggiore dei precedenti, che necessita di una soluzione globale che non escluda nessuno in nessuna parte del mondo.
Tornando strettamente alla questione relativa alla produzione e alla gestione dei farmaci, i tragici effetti di questa logica di mercato e di profitto sono sotto gli occhi di tutti; basta vedere le conseguenze che hanno provocato soprattutto tra gli strati più poveri della popolazione e nei paesi poveri del mondo malattie come Ebola e l'Aids, per fare solo alcuni recenti esempi, fino ad arrivare ai milioni di morti Covid19 in tutto il mondo.
Ma le cose non cambiano, e anche oggi emergono in modo evidente e dirompente le conseguenze del capitalismo in questo settore, causa per la quale anche la lotta al Covid è lenta, disomogenea e foriera di disuguaglianze fra i Paesi più ricchi e quelli più poveri e anche fra le fasce più ricche e più povere all'interno dello stesso Paese di riferimento.
Non dobbiamo dimenticare che la stessa logica abbraccia le cure a tutte le altre malattie gravi e specifiche, da quelle tumorali non garantite ancora in tutto il mondo, così come l'assenza di investimenti pubblici e la prospettiva di pochi profitti privati porta alla rinuncia della ricerca relativa alle malattie cosiddette “Rare”, infrangendo ancora una volta il tanto decantato quanto rimasto su carta “Diritto universale alla salute”.
La ricerca privata, fra l'altro, viene posta non in collaborazione facendo partecipi gli altri operatori dei successi e dei risultati ottenuti, ma al contrario tutto viene nascosto semplicemente perché ogni multinazionale vuole per sé la fetta più grande del mercato; un obiettivo questo che allunga i tempi rispetto a una eventuale sinergia fra Paesi, che consuma e dilapida infinitamente più energie economiche e naturali (si pensi alla sperimentazione sugli esseri viventi) di quante ne utilizzerebbe una ricerca pubblica indirizzata e concordata, e allo stesso tempo non garantisce nemmeno più di tanto la sicurezza dei medicinali stessi proprio perché produrre e vendere più rapidamente di tutti è sinonimo di profitti più alti e conseguentemente di maggior potere negoziale mondiale.
Nell'interesse collettivo – cosa che dovrebbe essere centrale in particolare in ambito sanitario – ci sono invece altri parametri, opposti a quelli delle multinazionali, come la produzione e la diffusione di massa di medicinali effettivamente efficaci e sicuri, la ricerca e la produzione tempestiva e coordinata di vaccini o di nuove cure pronte a fronteggiare le nuove necessità sanitarie che inevitabilmente si verificheranno, e una sperimentazione del medesimo stampo che possa ridurre al minimo il dispendio di risorse economiche, ambientali e animali.
Se sui medicinali non si facessero profitti, l'enorme risparmio economico sarebbe ampiamente capace di trasformarsi in ulteriori investimenti tali da consentire ulteriore ricerca biomedica, e l'esportazione gratuita di farmaci e vaccini nelle aree più povere del mondo, eliminando tutte quelle disparità e disuguaglianze che il capitalismo non solo non frena, bensì accelera e aumenta anno dopo anno, avvenimento dopo avvenimento.
Oggi assistiamo regolarmente alla stipula di contratti capestro, di accordi secretati fra le multinazionali e i governi borghesi, che altro non fanno che nascondere condizioni di grande vantaggio delle prime a discapito dei secondi, e in ultima analisi delle loro popolazioni; in una situazione diversa, con una farmacia interamente statalizzata, questi processi potrebbero essere meglio controllati e indirizzati al benessere e alla tutela della salute della popolazione.
Insomma, rivendicare la nazionalizzazione delle grandi imprese capitalistiche, a cominciare da quelle farmaceutiche è un passaggio fondamentale da percorrere assieme a tutti coloro che vogliono strappare dalle mani degli speculatori la ricerca e la produzione di vaccini così come di altri medicinali, sottraendoli dall'utilizzo che ha per unico obiettivo la ricerca del massimo profitto. È per questo che, ad esempio, ad oggi dopo l'ok dell'EMA ai vaccini anticovid di Pfizer e Moderna che sembrerebbero avere una percentuale di efficacia altissima, il “mercato” impone di usare anche quelli di AstraZeneca efficaci appena al 60%; sarebbe stato sufficiente che tutti gli stabilimenti esistenti avessero potuto produrre i primi per avere vaccini di ottima qualità e in abbondanza per tutti.
Ecco perché le industrie farmaceutiche devono diventare un patrimonio pubblico, così come pubblici devono essere le innovazioni e le scoperte, tecnologiche e biomediche che soltanto così potranno essere davvero a disposizione di tutti e non utili solo al profitto delle multinazionali farmaceutiche e delle grandi banche che le finanziano.
Noi marxisti-leninisti italiani rivendichiamo il diritto universale ai vaccini e ai farmaci per tutti, in ogni angolo del Mondo.

10 febbraio 2021