Secondo un accordo segreto del 2008
L'Eni spadroneggia nel ministero degli Esteri
Il colosso petrolifero condiziona i governi e il loro operato

 
Non siamo sorpresi di quanto emerge dalla recente pubblicazione di Re:Common, associazione italiana che da anni monitora l’attività di ENI nel mondo e che ha, tra le altre cose, dato il via con le proprie denunce alle inchieste condotte dalla Procura di Milano per casi di sospetta corruzione in Nigeria e Repubblica del Congo, perché sappiamo bene che nel capitalismo la commistione fra lo Stato borghese al servizio delle multinazionali e del capitale, e gli stessi colossi d'affari è una caratteristica evidente, basica e naturale, seppur tenuta nascosta e negata per ovvi motivi.
 

Il protocollo segreto
Certo è che il rapporto “Tutti gli uomini del Ministero” è destinato a fare rumore, anche se al momento solo un articolo apparso su Il Fatto gli ha riservato l'attenzione che merita, poiché svela proprio quelle dinamiche attraverso le quali la grande multinazionale privata dell'energia, influenza apparati governativi a dir poco opachi e compiacenti, i cui rapporti sono stati scritti nero su bianco in un accordo fra ENI e il Ministero degli Affari esteri nell'ormai lontano 2008.
Si tratta di un vero e proprio protocollo tra le parti che permette al gigante petrolifero italiano di stanziare i propri uomini presso la Farnesina per un periodo illimitato di tempo. Il tutto per facilitare un “raccordo” tra l’azione diplomatica italiana e gli interessi dell’azienda, ma che in realtà nasconde molto di più, e rende ENI – sulla carta una semplice multinazionale di “mercato” tanto caro ai neoliberisti – un'azienda privilegiata capace di influenzare sul nascere, e a suon di milioni, le scelte strategiche di un intero Paese.
Insomma, come riporta l'accordo, ENI e il governo italiano si scambiano pedine, così da “rafforzare il raccordo tra l’azienda e il ministero degli Affari Esteri”, ma anche informazioni “sulla realtà economica, istituzionale e sociale dei Paesi oggetto di interesse”.
 

Un accordo avallato da tutti i governi
Questa vergognosa intesa dura ormai da 13 anni, ed è stata firmata nel settembre del 2008, quando a capo del governo c’era Silvio Berlusconi e sulla poltrona di amministratore delegato di ENI sedeva Paolo Scaroni. Qualche anno prima ENI aveva firmato con la russa Gazprom un contratto di fornitura di gas con scadenza 2035, e visti gli ottimi rapporti con Putin, l'ex-neoduce di Arcore “vide in Eni un asset formidabile per la sua politica estera, tanto da permettere alla compagnia petrolifera di insediare i propri funzionari all’interno della Farnesina”.
Re:common infatti assicura che il primo manager ENI distaccato al ministero degli Esteri è stato Giuseppe Ceccarini, fino ad allora responsabile delle relazioni istituzionali con la Russia per il colosso petrolifero, che ebbe proprio il ruolo principale di saldare l'intesa con il nipotino dello Zar, Vladimir Putin.
Ma chi crede che i cambi di governo abbiano fatto gridare allo scandalo la “sinistra” parlamentare al potere si sbaglia di grosso, ed ecco infatti che il Berlusconi di Rignano sull'Arno Renzi, allora Presidente del Consiglio, nel 2014 in TV sostanzialmente lo confessava affermando che “L’ENI è oggi un pezzo fondamentale della nostra politica energetica, della nostra politica estera, della nostra politica di intelligence . Cosa vuol dire intelligence? I servizi, i servizi segreti”.
Ecco che, con il sostanziale appoggio di tutti gli schieramenti parlamentari, a partire dal 2009, sono stati tre i manager ENI acquartierati al ministero degli Affari esteri, e precisamente il già citato Giuseppe Ceccarini, Alfredo Tombolini (2016-2019) e l'attuale in carica, Sandro Furlan. Il rapporto evidenzia poi che “in coincidenza con il loro impiego, al ministero sono state prese importanti decisioni sugli investimenti italiani in paesi sui quali i manager avevano una precedente competenza specifica, segnatamente Russia e Mozambico”.
Ecco dunque come l'indagine di Re:Common arriva più in là, dimostrando come “la protezione degli asset petroliferi del Cane a sei zampe ha motivato persino alcune delle missioni militari in cui è tuttora impegnato l’esercito italiano”; una dinamica di una gravità assoluta che mette alla berlina quello che effettivamente sono le cosiddette “missioni di pace”, che in realtà nascono solo meri interessi economici e finanziari, come abbiamo da sempre denunciato.
 

L'influenza di ENI sulle politiche del governo
Naturalmente il primo argomento tenuto sotto scacco da ENI è senz'altro la questione energetica e ambientale, ma non solo. Come suggerisce Il Fatto , prendiamo ad esempio il caso di Giulio Regeni; dati gli enormi interessi in Egitto di ENI, quale peso ha avuto la multinazionale stessa nella decisione del governo italiano di non rompere i rapporti con il regime di Al-Sisi? Non è certo, ma vista la situazione, la multinazionale avrà esercitato senz'altro pressioni di ogni tipo.
La presenza di questo accordo – che indirettamente rende difficile ipotizzarne l'unicità in Italia e nel mondo – rappresenta una chiara minaccia anche alla vita “democratica” dell’Italia, poiché porta con se altri temi come sicurezza (l'intelligence di Renzi), ma anche immigrazione e diritti umani.
L'importanza della Farnesina in merito alle politiche energetiche è enorme, tanto che all’interno dello stesso ministero sono presenti due cabine di regia proprio per indirizzare l’azione del governo in pieno coordinamento con la politica estera nazionale; strutture che decideranno anche il posizionamento dell’Italia nell’ambito dei vertici internazionali sul clima alle porte.
Re:common afferma con certezza che Tombolini e Furlan hanno partecipato ad almeno tre riunioni di queste cabine di regia su “Energia” e “Ambiente e Clima” tenutesi tra il dicembre del 2019 e la scorsa estate e che, come sappiamo, hanno partorito sempre il topolino. In pratica siamo di fronte ad un Paese, o meglio uno Stato borghese, al servizio degli interessi di un colosso multinazionale energetico che monetizza e rende merito a chi gli da una mano; questo è quanto ci “regala” il capitalismo nostrano, infarcendo la portata con tante nefaste conseguenze per le popolazioni dei Paesi coinvolti, su tutti la nostra.
“Quello in corso sarà un anno fondamentale per la politica energetica italiana. Il nostro paese avrà la co-presidenza della prossima COP 26 (che si terrà nel prossimo novembre in Scozia, ndr), e quella del G20. Un tema chiave sarà proprio quello dei finanziamenti pubblici a nuovi progetti fossili. Alla luce di quanto abbiamo scoperto, viene da chiedersi però quali siano le possibilità concrete che l’esecutivo smetta di finanziare i devastanti progetti di Eni, fintanto che la compagnia godrà di una posizione privilegiata all’interno della stessa Cabina di regia incaricata di coordinare la posizione dell’Italia nell’ambito di questi negoziati”, è quanto affermato da Alessandro Runci, campaigner di Re:Common e autore del rapporto.
 
Governi al servizio delle multinazionali
Il protocollo segreto Farnesina – ENI, conferma quanto già visto in altri campi, sostanzialmente in tutti.
Recentemente la questione “vaccini” ha messo alla luce una Europa con tutti i suoi Stati che si guardano bene dall'impugnare la Dichiarazione di Doha dell' OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio), relativa all'accordo sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale, che supererebbe i brevetti consentendo a tutti di produrre vaccini anticovid.
Una “mancanza” utile solo a tutelare gli interessi di Big Pharma sulla pelle di miliardi di persone in tutto il mondo, ma basta guardarsi attorno per comprendere immediatamente le dinamiche generali del capitalismo, fatte di attività di lobby perfettamente legalizzate, accordi, sotterfugi, interessi e corruzione.
Dopo aver letto il rapporto di Re:Common, ci sono tornati alla mente numerosi episodi, fatti e leggi stesse che nel nostro Paese hanno indirizzato la politica energetica verso il mantenimento degli incentivi alle energie fossili – come per fare un esempio l'azzeramento di fatto delle royalties alle multinazionali delle estrazioni (fra le quali l'ENI) che gli ambientalisti hanno tentato di bloccare con il referendum del 2016 sulle trivellazioni – e verso la marginalità per la produzione di massa di tutte le forme “rinnovabili” come il solare o l'idrico su tutti, che a nostro avviso dovrebbero essere prodotte non da super impianti in mano alle multinazionali stesse, ma con piccole e diffuse strutture territoriali a gestione pubblica locale.
Ai tempi della COP 21 di Parigi che fu osannata nel globo, il nostro giornale fu tra i pochissimi a definirlo un “Nulla di fatto” e il tempo gli ha dato ragione; una delle motivazioni, oltre all'insufficienza degli obiettivi posti e alla non vincolabilità dell'adesione, fu certamente anche la promozione della conferenza ONU frutto dei denari di sponsorizzazione di alcune Banche d'affari, di compagnie automobilistiche e multinazionali del petrolio e dell'energia in generale.
Ricordiamo poi i continui fallimenti dei piani ambientali dei singoli Paesi, inclusa l'Italia, che continuano a sforare con puntuale regolarità gli obiettivi che si pongono, nonostante essi stessi siano già ampiamente al di sotto di quelli indicati come minimi dalla comunità scientifica mondiale per fermare il riscaldamento globale.
Questo per dire che la commistione fra le multinazionali e i governi nazionali e sovranazionali, disposti a improntare le loro scelte nell'interesse delle prime, non è una novità e non la si scopre certo oggi con il rapporto di Re:Common; è, come abbiamo detto, una caratteristica del capitalismo e della sua “fase suprema” imperialista, come la definiva Lenin, nella quale non bastano più le ricchezze dei propri Paesi, ma conta l'egemonia, l'ingerenza e il controllo mondiale, partendo dalle proprie zone di influenza.
Dinamiche che stanno portando il mondo, l'ambiente e l'umanità al collasso con una rapidità straordinaria, e che saranno superate solo con la rivoluzione proletaria e il socialismo.
Certo è però che l'accordo in questione rappresenta un salto in avanti di questo genere di rapporti e di ingerenze, e mostra anche la spregiudicatezza e l'arroganza dei politicanti borghesi al servizio delle multinazionali che non si vergognano nemmeno, ritenendolo probabilmente un fatto “normale”, di mettere su carta bollata un accordo di questa portata, che marchia e smentisce anche la più basilare – quanto formale e inesistente – indipendenza del governo.
 

Nessuna svolta dal governo Draghi
Ora, che il governo del banchiere massone Draghi dopo essersi insediato con un golpe bianco ha formato la propria squadra di governo, rileviamo che la conferma di Di Maio agli Affari esteri è un segnale di continuità con il passato, ma non ci sfugge che il richiamo dello stesso Presidente del Consiglio come prima caratteristica del nuovo esecutivo definito “Atlantista”, è senz'altro un rafforzamento di certe dinamiche e ingerenze nazionali e internazionali di chiaro segno imperialista.
Cosa aspettarsi poi dal nuovo Ministro dell'ambiente, Roberto Cingolani, supertecnico della multinazionale degli armamenti Leonardo – settore che certo non si contraddistingue per avere a cuore l'uomo e l'ambiente – che possiede anche una visione critica sulle fonti rinnovabili tale da definirle “impossibili da utilizzare in via continuativa”?
Ci risponde egli stesso con le parole che pronunciò da ospite alla Leopolda di Renzi: “l'ecosostenibilità nel lungo termine non ci sarà (…) uno scienziato deve analizzare le cose in maniera fredda e onesta”. Con queste premesse, l'ENI continuerà a spadroneggiare nelle stanze dei bottoni, ora in mano agli uomini di Draghi e della finanza massonica internazionale.

31 marzo 2021