Dopo giorni di rivolta popolare
Le masse colombiane costringono il governo a rinunciare alla “riforma” tributaria
36 morti in dieci giorni di proteste in piazza

 
Il presidente della Colombia Ivan Duque chiedeva il 2 maggio al parlamento di Bogotà il ritiro della proposta governativa di "riforma" tributaria depositata dal ministero delle Finanze. La richiesta ufficiale era la conseguenza di una rivolta popolare, di una dura battaglia iniziata il 28 aprile con le imponenti manifestazioni di piazza che accompagnavano lo sciopero generale indetto dai sindacati, dalle associazioni dei contadini e dalle comunità indigene; per diversi giorni le masse popolari colombiane affrontavano la repressione poliziesca, segnata da almeno 36 morti e diverse centinaia di feriti e arrestati, bloccavano le strade, assaltavano le sedi di quartiere della polizia e costringevano il governo al passo indietro.
Il disegno di legge del presidente Duque, battezzato Legge di Solidarietà Sostenibile, era stato presentato il 5 aprile e quali misure principali prevedeva l’aumento generale dell’Iva e un incremento delle tasse sui redditi medi. Soluzioni dettate dal Fondo Monetario Internazionale affinché la coperura del deficit di bilancio e il mantenimento dell'affidabilità dei titoli di Stato fossero pagati dalle masse popolari, già pesantemente colpite dalla crisi economica accentuata dalla pandemia e con un livello di povertà che secondo gli stessi dati ufficiali arriverebbe fino al 42,5% della popolazione, 21 milioni sui circa 50 milioni di abitanti. La Colombia ha inoltre registrato finora il terzo numero più alto di infezioni del Sud America, con 2,8 milioni di casi e 73.200 morti.
L'indirizzo del presidente Duque era quello seguito sostanzialmente da tutti i governi borghesi di fronte alla crisi causata dal coronavirus, come aveva ribadito il 13 aprile "è più importante garantire la stabilità delle finanze pubbliche” e gli interessi economici dei capitalisti che vanno avanti al diritto alla salute della masse popolari.
La rivolta popolare ha accompagnato i primi sei giorni di sciopero generale indetto unitariamente da tre centrali sindacali (CUT, CTC e CGT) e dalla Federazione dei docenti. L'adesione allo sciopero e alle grandi manifestazioni di massa in tutto il paese a partire dalla capitale Bogotà alla città di Calì paralizzava il paese, bloccava le attività produttive, trasporti e servizi. Una rivolta che non si affievoliva ma che reagiva con forza alla repressione delle speciali squadre di polizia antisommossa del presidente Duque, respingeva il tentativo del governo di fermare la protesta in cambio della semplice promessa di modifica della controriforma, e otteneva alla fine il ritiro del progetto e le dimissioni del ministro delle Finanze Alberto Carrasquilla. Una prima vittoria importante che non esauriva le richieste dei manifestanti allargate al ritiro della riforma sanitaria ritenuta quantomeno inadeguata, l'istituzione di un reddito di base e soprattutto lo scioglimento della squadra di polizia antisommossa Esmad responsabile dei morti nelle piazze della protesta e assieme a altri corpi militari e milizie private fasciste dell'assassinio di oltre 900 leader e attivisti sociali e sindacali solo negli ultimi cinque anni.
La repressione sistematica dell'opposizione sociale da parte del regime di Duque va di pari passo con la subordinazione del paese agli interessi dell'imperialismo americano che lo adopera nella sua guerra contro il confinante Venezuela di Maduro. E mentre polizia e esercito picchiavano e sparavano sui manifestanti nelle città colombiane la ministra degli Esteri, Claudia Blum, chiedeva che la "comunità internazionale aumenti la pressione diplomatica per ottenere che finisca la dittatura e si faccia giustizia di fronte alle gravi violazioni dei diritti attribuite al regime di Maduro”.
Il primo successo della sollevazione popolare in Colombia contro le "riforme" del presidente Duque è un successo e un esempio importante per le lotte delle masse popolari contro le proprie borghesie nazionali. E non solo, come sottolineava correttamente una presa di posizione del 5 maggio da parte del Partito Comunista dei Lavoratori e del Partito della Rifondazione Comunista: "Proprio l'esperienza di queste giornate dimostra una volta di più che la via della rivoluzione vera non passa per le mitologie della guerra di guerriglia. Passa per la sollevazione di massa della classe lavoratrice e della gioventù, per il loro diritto di autodifesa contro la repressione militare, per l'esercizio collettivo della loro forza. O rivoluzione socialista o reazione militare: questa è la lezione che ci viene dai fatti di Colombia di questi giorni e di queste ore". Ed è proprio su questo tema che il Segretario generale del PMLI Giovanni Scuderi invitava nel suo Editoriale per il 44° Anniversario della fondazione del Partito ad aprire una grande discussione “per trovare una intesa e costituire un’alleanza, un fronte unito, per aprire la via alla conquista del potere politico da parte del proletariato”.

12 maggio 2021