Nel 1921 centinaia di morti e case bruciate nel quartiere nero di Greenwood
Una strage impunita: il massacro di Tusla

Il presidente americano Joe Biden si recato il 31 maggio a Tulsa, in Oklahoma, in occasione del centenario dei massacri e distruzioni compiuti da una folla di razzisti lasciati agire indisturbati dalla polizia nel quartiere cittadino di Greenwood, il ghetto della comunità afroamericana. Biden prometteva di istituire il "Giorno della memoria" affinché sia ricordata una strage razzista impunita e subito cancellata dai libri di storia; una promessa che ha il sapore di una iniziativa strumentale per tenere legato ai democratici quella parte di elettorato nero e progressista che ha dato vita al movimento Black Lives Matter e alla rivolta popolare dopo l'assassinio di George Floyd che ha contribuito in parte alla sua vittoria nelle presidenziali dello scorso novembre e nelle successive elezioni supplettive dei senatori in Georgia che gli hanno garantito la maggioranza in tutte e due i rami del Congresso Usa. Ma a cento anni dal massacro in Oklahoma nulla è sostanzialmente cambiato in Usa, in particolare nel comportamento razzista e assassino di agenti della polizia contro le minoranze etniche del paese.
Nella "patria" della democrazia borghese la segregazione razziale era legge nel 1921, e lo sarà fino all'abrogazione soprattutto formale nel 1964, una condizione di oppressione vissuta anche dagli afroamericani del quartiere di Greenwood a Tulsa, nella città dove forte era il famigerato gruppo terrorista di razzisti bianchi del Ku Klux Klan. Alla notizia, amplificata dai giornali locali, dell'arresto di un giovane afroamericano, chiuso in carcere ingiustamente solo perché nero e non per un episodio di tentata violenza di una giovane bianca, smentito dalla stessa giovane, un migliaio di razzisti armati si riuniva il 31 maggio davanti il carcere cittadino puntando al linciaggio, una pratica criminale di giustizia sommaria allora piuttosto comune. Molti afroamericani si schierarono davanti al carcere per impedire il linciaggio. Dai primi scontri e spari all'assalto razzista al quartiere di Greenwood il passo fu breve. Nella notte i razzisti dettero fuoco alle case e alle prime luci del mattino dell'1 giugno rastellarono il quartiere in una caccia all'uomo e dettero vita a decine e decine di esecuzioni sommarie, appoggiati persino da alcuni aerei privati. Il massacro terminò solo nella tarda mattina con l'arrivo tardivo e complice della Guardia nazionale e la proclamazione della legge marziale.
Il governatore di Tulsa aprì un’inchiesta che durò una sola settimana e si chiuse con nessuna condanna per i razzisti, anzi con l'assegnazione delle responsabilità dei disordini agli afroamericani, una versione presa per buona anche dalle agenzie di assicurazione per rifiutare le richieste di risarcimento degli abitanti del quartiere fino alle cause del 2001 degli ultimi sopravvissuti. L'indagine del governatore non appurò neanche il numero dei morti, quantificati in centinaia sulla base dei resoconti giornalistici, e dei feriti; bruciarono trenta isolati del quartiere e almeno 10 mila furono i senzatetto.
Il massacro di Tulsa sparì velocemente dalla cronache, cancellato dalla storia per decenni. Fino al 2001, quando in seguito alle inchieste di un giornalista afroamericano locale, che aveva ricostruito la vicenda e pubblicato una descrizione dettagliata dei danni subìti dalla comunità durante il saccheggio, i pochi sopravvissuti e parenti della vittime chiesero un risarcimento negato dal parlamento dell'Oklahoma e dalla Corte federale. Se non altro servì a riaccendere le luci sulla terribile vicenda e a rilanciare la denuncia del massacro.
Ignorata anche nel decennio del doppio mandato presidenziale di Barack Obama e del suo vice Jo Biden, tra il 2008 e il 2017, e solo adesso "riscoperta" dal Biden presidente che da Tulsa dichiarava che "il suprematismo bianco è la prima minaccia nel Paese" e che dobbiamo "impegnarci ad abbattere il razzismo sistematico che soffoca la crescita della nazione". Finora non ha mosso un dito, neanche a fronte delle minacce razziste che hanno portato alla cancellazione del concerto del musicista John Legend, premio Oscar per la colonna sonora di Selma, previsto nelle cerimonie della commemorazione.

9 giugno 2021