Presentato dalla neofascista Meloni al vertice Italia-Africa
Piano Mattei: disegno neocolonialista ed egemonico dell'imperialismo italiano
80 Organizzazioni della società civile africane denunciano l'approccio colonialistico del piano meloniano. Critiche anche dal presidente dell'Unione africana

Dopo la prima conferenza di Roma dello scorso luglio, e dopo il varo a novembre della “governance” del tanto strombazzato Piano Mattei, il 29 gennaio Giorgia Meloni ha celebrato in pompa magna nell'aula del Senato il vertice Italia-Africa in cui ha presentato anche i contenuti del piano, o sarebbe meglio dire alcuni “progetti pilota” dello stesso, che per il resto è rimasto ancora una scatola vuota. Ma alla furba e ambiziosa premier neofascista è bastato come esca per attirare a Roma una nutrita partecipazione di 25 capi di Stato e di governo e 11 ministri degli Esteri di diversi Stati africani, dei rappresentanti dell'Unione africana, dell'Onu e del Fondo monetario internazionale. Sfruttando a questo scopo anche la presidenza di turno del G7, in cui ha promesso di inserire il tema Africa, e l'appoggio della UE rappresentata ai massimi livelli, con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, ormai sua alleata di ferro, il presidente del Consiglio europeo Charles Michel e la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola.

Meloni sulle orme dell'imperialismo mussoliniano
Come abbiamo già scritto fin dalla sua prima menzione, nel discorso di insediamento della premier neofascista, il Piano Mattei non è un “modello di cooperazione non predatoria”, come lei ama spacciarlo, ma il cavallo di troia in Africa della politica egemonica e neocolonialista del rinato imperialismo italiano, sulle orme già percorse storicamente dal suo predecessore e maestro Mussolini, dal quale ambisce riprendere le antiche direttrici colonialiste nel Sud del Mediterraneo: il “mare nostrum” che proietta l'imperialismo nazionale verso il Nord Africa, la regione del Sahel e oltre, spingendosi anche verso l'Africa occidentale, centrale e orientale (Nigeria, Congo, Etiopia, Kenya e Mozambico).
A breve e medio termine il disegno imperialista egemonico che sta dietro il Piano Mattei mira a due obiettivi principali: il primo è far diventare l'Italia un hub energetico dell'Europa (ciò che Meloni intende quando parla dell'Italia come “un ponte naturale tra l'Africa e l'Europa”), attraverso lo sfruttamento dei ricchi giacimenti di gas e petroliferi che gli garantisce l'Eni dell'amico Descalzi, secondo produttore energetico nel continente dopo Total. E il secondo è quello di bloccare il flusso di migranti verso il nostro Paese, attraverso accordi basati su finanziamenti ai paesi di origine e di transito che in cambio accettino di tenere i migranti bloccati nei lager o respingerli indietro, sul modello di quello da lei siglato col dittatore tunisino Saied e avallato dalla UE. A più lungo termine l'obiettivo della strategia meloniana è quello di sostituire l'egemonia italiana a quella dell'imperialismo francese, ora che è in ritirata da diverse sue ex colonie, in particolare dal Sahel, dove invece sta sempre più penetrando l'imperialismo russo, e che la Germania non ha rapporti coi paesi africani e anche la UE ha perso influenza.

Sfruttamento delle risorse e stop ai migranti
Tutto ciò traspare, al di là della retorica auto celebrativa, anche nell'intervento tenuto dalla premier neofascista, col quale ha offerto agli invitati africani “una cooperazione da pari a pari, lontana da qualsiasi tentazione predatoria, ma anche da quell’impostazione 'caritatevole' nell’approccio con l’Africa che mal si concilia con le sue straordinarie potenzialità di sviluppo”. Una cooperazione da concretizzare con un “ambizioso programma di interventi che sia capace di aiutare il Continente a crescere e prosperare partendo dalle sue immense risorse”.
Illustrando i “progetti pilota” relativi a 5 campi prioritari di intervento – istruzione e formazione, salute, agricoltura, acqua ed energia – a proposito di quest'ultimo Meloni ha ribadito infatti che “noi siamo sempre stati convinti che l’Italia abbia tutte le carte in regola per diventare l’hub naturale di approvvigionamento energetico per l’intera Europa. L’interesse che persegue l’Italia è aiutare le Nazioni africane interessate a produrre energia sufficiente alle proprie esigenze e ad esportare in Europa la parte in eccesso, mettendo insieme due necessità. Quella africana di sviluppare questa produzione e generare ricchezza, e quella europea di garantirsi nuove rotte di fornitura energetica”.
Quanto ai migranti, in un'intervista a quel suo megafono personale che è diventato il Tg1 Rai, la premier neofascista aveva appena rivendicato il “merito” di aver cambiato l'approccio europeo sul tema migratorio: “Si parlava solo di come redistribuire i migranti irregolari, mentre oggi si parla solo di come difendere i confini esterni”, si era vantata. E infatti nel discorso al vertice ha ribadito agli ospiti la sua offerta di soldi e sviluppo in cambio di contrasto agli “schiavisti del terzo millennio” e alla “immigrazione illegale di massa”: offerta di esternalizzare le frontiere europee sul modello Tunisia, insomma, anche se mascherata dietro la retorica pietistica del “diritto a non dover essere costretti a emigrare, e a non dover così recidere le proprie radici, in cerca di una vita migliore sempre più difficile da raggiungere in Europa”.

“Progetti pilota” scritti da Eni e altre grandi partecipate
Che il vero e unico contenuto del Piano Mattei sia rappresentato dallo sfruttamento delle risorse energetiche africane e dal contrasto all'immigrazione, mentre tutto il resto – agricoltura, salute, istruzione ecc. - sia solo fuffa di contorno per contrabbandare meglio la politica neocolonialista e anti migranti del governo neofascista, è dimostrato dall'investimento stanziato e dai “progetti pilota” previsti in 9 paesi africani. L'investimento consiste in 5,5 miliardi in tutto, solo in parte però a fondo perduto ma anche a credito o sotto forma di garanzie sui prestiti. Inoltre non si tratta di nuovi investimenti ma i fondi sono presi per 3 miliardi dal fondo italiano pluriennale per il clima, e dovrebbero essere vincolati alla lotta ai cambiamenti climatici e non per l'estrazione di idrocarburi; e per 2,5 miliardi sono sottratti ai fiondi per la cooperazione e lo sviluppo.
Quindi si tratta in realtà di una redistribuzione di risorse, e per di più a spese della transizione ecologica e delle Ong, che non sono neanche coinvolte nella partita e si vedono scippare anche le poche risorse per la cooperazione internazionale. Infatti la “governance” del Piano Mattei è rigorosamente verticistica e accentrata nelle mani della premier, ed esclude qualsiasi coinvolgimento delle Ong e del parlamento (è prevista solo una relazione annuale a titolo puramente informativo); mentre, al contrario, ne fanno parte e hanno piena voce in capitolo i rappresentanti delle società partecipate nazionali e locali, a cominciare da Eni, Enel, Terna, Cdp, Sace, Snam, Leonardo, Fincantieri, Acea ecc., che non a caso erano presenti in forze al vertice di Roma.
Quanto poi ai “progetti pilota”, da attuare in Marocco,Tunisia, Algeria, Egitto, Costa d'Avorio, Kenya, Congo, Etiopia e Mozambico, si tratta in realtà per la maggior parte di vecchi progetti già in essere e riguardanti soprattutto lo sfruttamento di energia fossile. Non per nulla in questi progetti fa quasi sempre da traino l'Eni, che ricava il 60% della sua produzione totale in Africa, ed è al terzo posto tra i promotori di progetti per lo sfruttamento di nuovi giacimenti: in particolare in Angola, Algeria, Egitto e Mozambico, tanto che c'è chi ha ribattezzato il Piano Mattei come Piano Meloni-Descalzi. E non a caso anche Snam, Enel, Terna e Intesa Sanpaolo, riunite nella fondazione Res4africa, hanno un grosso ruolo nella stesura e nella realizzazione di questi progetti. Tra l'altro uno di questi prevede lo sviluppo della coltivazione intensiva di semi per biocarburanti (raffinati non in loco ma nell'impianto di Gela), che l'Eni gestisce già in Kenya e che vorrebbe estendere anche ad Angola, Congo, Costa d'Avorio, Mozambico e Ruanda: in regioni cioè con forti deficit alimentari e dove sarebbe più sensato sviluppare l'agricoltura e l'industria a scopo alimentare.

La logica neocolonialista del piano
Questo ci dice anche che questi progetti non sono comunque mirati a promuovere lo sviluppo agricolo e industriale dei paesi africani nella parte alta della catena del valore, ma a sfruttare solo le materie prime di cui sono ricchi e la loro mano d'opera a basso costo, quanto basta ad estrarle ed importarle in Europa dopo una prima sommaria lavorazione, esportando invece in Africa macchinari e prodotti finiti. Così si finisce per mantenere questi paesi nella parte bassa della catena del valore e aumentare il loro indebitamento già insostenibile, e per arricchire solo le grandi società monopolistiche italiane ed europee.
La premier neofascista ha rivendicato come un “grande successo” la “riuscita del vertice”. Senza temere il ridicolo il suo consigliere personale e sottosegretario, Fazzolari, ha dichiarato che “Meloni ha appena ribaltato 200 anni di storia europea”, e il di lei cognato e ministro Lollobrigida ha aggiunto che ha fatto più lei “che altri in 100 anni”. Anche il filogovernativo “Corriere della Sera” del 9 febbraio, il più importante portavoce dell'establishment economico-finanziario capitalista, ha lodato il pragmatismo del piano Meloni, specie su su gas e migranti, invitando le opposizioni a “confrontarsi con la maggioranza” su questi ed altri “dossier di interesse nazionale”.
Ma le mire neocolonialiste e imperialiste camuffate dietro il suo piano non sono sfuggite del tutto agli ospiti africani. Lo stesso presidente dell'Unione africana, Moussa Faki, ha criticato il governo italiano lamentando che “sul Piano Mattei avremmo auspicato di essere consultati”, e ha aggiunto: “Siamo pronti a discutere le modalità ma serve passare dalle parole ai fatti, non ci accontentiamo di semplici promesse che poi non sono mantenute”; rivendicando anche per il continente africano rapporti “non allineati su un blocco unico, in cui nulla ci viene imposto”. E sui migranti ha messo in guardia la premier italiana sul suo approccio poliziesco alla questione: “Serve amicizia, non barriere securitarie che sono barriere di ostilità”, l'ha ammonita.

La denuncia delle CSO africane
E la sua non è stata la sola voce critica e scettica a pesare sul vertice perché, ancor prima che questo si tenesse, ben 80 Organizzazioni della società civile africane (CSO) avevano inviato una lettera presentando una serie di richieste da sottoporre ai leader africani e italiani, tra cui: “porre fine agli approcci neocoloniali dei paesi europei”, la “trasparenza, partecipazione e inclusione della società civile africana” nei processi, un “approccio integrato alle questioni climatiche, energetiche e di sviluppo dell’Africa”, “agroecologia e sovranità alimentare” e il riconoscimento dell'“enorme ruolo della crisi climatica nelle migrazioni”.
Nel chiedere al vertice di tracciare “un nuovo corso per la cooperazione euro-africana, proteggendo le popolazioni africane, gli ecosistemi e la biodiversità del continente, e affrontando l’emergenza climatica”, le CSO africane non mancavano inoltre di osservare che la stessa intitolazione del piano al fondatore dell'Eni, Enrico Mattei, “non lascia dubbi sul fatto che il suo obiettivo principale sia quello di espandere l’accesso dell’Italia al gas fossile dall’Africa all’Europa e di rafforzare il ruolo delle imprese italiane nello sfruttamento delle risorse naturali e umane dell’Africa”, e contestavano anche “l’opacità che circonda il piano dell’Italia per affrontare la 'migrazione illegale' dall’Africa all’Italia”.
Invitando il Vertice ad andare oltre gli interessi delle élite e delle imprese e a mettere in primo piano le voci del popolo africano, Dean Bhekumuzi Bhebhe, responsabile delle campagne di Don’t Gas Africa, una delle organizzazioni che hanno scritto la lettera, ha dichiarato: “Il Piano Mattei è un simbolo delle ambizioni italiane in materia di combustibili fossili, un piano pericoloso e un’ambizione miope che minaccia di trasformare l’Africa in un mero condotto energetico per l’Europa. Questa ambizione trascura l’urgente crisi climatica e le voci della società civile africana. I percorsi perseguiti per lo sviluppo africano devono essere sostenibili ed equi. Devono essere guidati in primo luogo dai bisogni e dalle voci del suo popolo, non da richieste energetiche esterne”. E Fadhel Kaboub, economista membro del Gruppo di esperti indipendenti sulla transizione giusta e lo sviluppo, ha aggiunto: “Se il Vertice Italia-Africa non rispetta le esigenze dell’Africa, allora il Piano Mattei non è altro che un palese progetto coloniale che deve essere smascherato e respinto piuttosto che celebrato dai leader africani. Non possiamo accettare offerte di partenariato che aggravano i problemi strutturali dell’Africa”.

21 febbraio 2024