I neofascisti e la Rai di Meloni attaccano i cantanti di Sanremo a favore della Palestina e dei migranti
Decine di manifestazioni di protesta nelle principali città italiane. Importante comunicato del sindacato CdR Rai

Quello che accade su un palco di fronte a oltre 14 milioni di persone non può certo essere nascosto, arriva direttamente ai telespettatori e non può essere bloccato al momento, qualunque messaggio sia. Una diretta in questa edizione dei record con il 74% di share, che è sfuggita per qualche momento alla pesante e asfissiante regia governativa e al suo controllo, costringendo Meloni e il Cda Rai che controlla a fare ciò che di meglio le riesce, e cioè a intervenire ancora una volta in maniera censoria, repressiva e antidemocratica.

Il cantante Ghali chiede in diretta lo “stop al genocidio”
Direttamente dal palco è stato il cantante Ghali, di origini familiari tunisine, che dialogando con il suo pupazzo, ha lanciato lo slogan “Stop al genocidio”, chiaramente riferito all'invasione nazisionista della Palestina. Immediata e rabbiosa la reazione dell'ambasciatore israeliano in Italia che con un post su X, ha affermato di come sia stato “vergognoso che il palco del Festival sia stato sfruttato per diffondere odio e provocazioni in modo superficiale e irresponsabile”, ricordando il 7 ottobre e rammaricandosi che quello stesso palco non avesse espresso solidarietà a Israele.
A ruota, si sono susseguite una serie di dichiarazioni di fascisti e di filo-israeliani, fra le quali spiccano quelle del componente della Commissione Vigilanza RAI l'ex missino e poi berlusconiano Maurizio Gasparri e della presidente delle Comunità Ebraiche Noemi Di Segni, che hanno attaccato la RAI stessa per aver consentito quello che coloro definiscono uno scempio “che offende la storia del nostro Paese e dell'Europa tutta”.

Dargen D'Amico a Domenica In
Nel giro di pochi giorni un secondo cantante, Dargen D'Amico, che già sul palco dell'Ariston aveva affermato “La storia non accetta la scena muta”, è stato oggetto di censura.
Durante la puntata post-Sanremo di Domenica In, è stato costretto al silenzio dalla conduttrice Mara Venier mentre stava parlando di immigrazione. “I soldi dei versamenti del lavoro dei cittadini stranieri nella case della previdenza italiana è più alto di quelli spesi per l’accoglienza”, affermava il cantante dopo aver spiegato il significato della sua canzone in competizione all’Ariston. A questo punto è intervenuta Venier che lo che lo ha bruscamente interrotto affermando: “Siamo qui per parlare di musica e divertirci. Questi sono temi importanti ma ci vuole il giusto tempo per approfondirli, non possiamo farlo in due parole. Chiedo scusa a tutti quanti.”. Poi dopo aver lanciato l’ospite successiva, avvicinandosi ai giornalisti e credendo che il microfono fosse spento, ha detto loro: “Così mettete in imbarazzo me. Non vi faccio parlare più, perché non è questo il posto per dire alcune cose”, intimando loro di non trattare queste tematiche.

Il comunicato ufficiale della RAI
Come annunciato anche dai conduttori del festival per sfilarsi dalle polemiche, è arrivata anche la nota ufficiale della RAI, letta dalla stessa Venier. Un comunicato nel quale la TV di stato neofascista, per mano dell'Amministratore Delegato della RAI di Meloni, Roberto Sergio, ricorda unicamente “la tragedia degli ostaggi nelle mani di Hamas” e le vittime del 7 ottobre, esprimendo al popolo di Israele ed alla comunità ebraica la sua “sentita e convinta solidarietà”. Una solidarietà unilaterale che tace sulle stragi israeliane, e che riflette interamente la posizione filo-sionista del governo.
Questo comunicato ha suscitato l'indignazione e le proteste dei sinceri democratici e degli antifascisti, che hanno chiesto il rispetto della libertà di opinione, calpestata in una delle pagine più nere della Rai. Alcune forze politiche hanno chiesto le dimissioni dello stesso Roberto Sergio, un fedelissimo della Rai fin dal 2004, amico di Pier Ferdinando Casini e vicino alle posizioni della destra. Ma i tentacoli del governo Meloni sono già pronti a sostituirlo nell'ambito dei rinnovi delle cariche, con Giampaolo Rossi, in quota Fratelli d'Italia, docente di stampo neofascista, fan sfegatato di Netanyahu, Putin e Orban. Un destrorso che punterà quindi a trasformare definitivamente la tv di Stato nel fedele megafono sovranista e anticomunista del governo Meloni.

La stretta del governo
Come se non bastassero questi episodi di chiaro assoggettamento della TV di Stato alla premier e ai partiti di governo, a far scattare l'ennesimo allarme è la notizia trapelata in questi giorni, secondo cui la Lega si appresta a presentare in Commissione di Vigilanza Rai nella quale chiede di allontanare da tutti i programmi che vanno in onda sulla televisione di Stato, gli artisti come Ghali, che si osano esprimere un parere non allineato ai diktat governativi. Nella proposta si parlerebbe di “artisti”, intesi però come “l'insieme dei personaggi del mondo dello spettacolo che esprimono opinioni politiche”, confermando con chiarezza dove questo provvedimento fascista vuole andare a parare.
Ma la Lega non si ferma qui. Pochi giorni fa sei componenti leghisti della commissione di Vigilanza hanno presentato una interrogazione rivolta all’amministratore delegato della Rai contro il giornalista Marco Damilano e l’attivista e scrittrice Flavia Carlini. Colpevoli, nello specifico, di essersi permessi di criticare il ministro Salvini in una puntata del talk serale “Il Cavallo e la Torre”, di cui chiedono la chiusura, per le sue posizioni sul caso di Ilaria Salis sostenendo che “la sua posizione ci dice tantissimo sullo stato di salute della nostra democrazia”. Inoltre l’attivista aveva spiegato quanto il governo non accettasse più ogni forma di dissenso. Proprio Carlini infatti, il 13 febbraio era presente tra i manifestanti manganellati dalla polizia fuori dalla sede Rai di Napoli, nel corso della protesta contro la televisione pubblica dopo la censura ai danni del cantante Ghali.

Manifestazioni e scontri davanti alle sedi RAI
Intanto le proteste contro l'occupazione neofascista della TV di stato hanno coinvolto le piazze di alcune delle principali città italiane. Manifestazioni con centinaia o migliaia di partecipanti si sono svolte infatti davanti alle sedi RAI di Roma, Napoli, Bologna, Firenze, Genova, Brindisi, Palermo, Torino, Pescara, Trieste e Perugia. I combattivi presidi, organizzati da attivisti dei centri sociali, dai collettivi studenteschi e da organizzazioni di sinistra, hanno visto anche la partecipazione convinta e numerosa di militanti delle associazioni palestinesi.
La più numerosa si è tenuta a Roma il 17 febbraio, dove oltre cinquemila persone di tutte le età hanno manifestato davanti alla sede centrale di viale Mazzini e a quella di piazzale Clodio. La piazza ha chiesto ai canali di informazione di parlare dei 30 mila morti palestinesi e di non difendere un genocidio in nome della lotta al terrorismo, segno inequivocabile di “una Rai, che è diventato lo strumento di propaganda di Meloni al servizio del governo di Israele”, come hanno detto alcuni dei partecipanti. Il giorno precedente, sempre a Roma decine di persone si sono radunate sotto la sede di Repubblica chiedendo le dimissioni del direttore Molinari. Nello slargo di via Cristoforo Colombo è stata montata una struttura sulla quale venivano proiettati i video in cui giornalisti di Gaza raccontano la realtà dalla striscia.
Dopo i pestaggi polizieschi alle analoghe iniziative di Torino, Napoli e Bologna, alla manifestazione romana erano presenti anche osservatori di Amnesty International, riconoscibili dalle pettorine gialle.
A Napoli, dopo che la Digos aveva consegnato le prescrizioni della Questura su cartelli e cori pro-Gaza e i relativi risvolti penali prima dell'inizio del presidio ad un sindacalista SiCobas e attivista del Movimento 7 novembre co-organizzatore del presidio, è stato sufficiente che i manifestanti si avvicinassero ai cancelli serrati delle sedi, per far scattare la repressione squadrista della polizia che in tenuta antisommossa ha manganellato indiscriminatamente tutti, fino a disperdere il presidio con la forza. “Abbiamo avuto prescrizioni rispetto alla data di una manifestazione, al percorso da tenere, - afferma a il Manifesto il sindacalista - ma mai rispetto a cosa scrivere sui cartelli o cosa denunciare e mai per un presidio statico. È evidente il tentativo di mettere il bavaglio al dissenso e di farlo facendo tintinnare la minaccia penale, lasciando parlare solo i manganelli” (si legga l'articolo a parte).
Scontri anche a Bologna dove le “forze dell'ordine” borghese hanno reagito alle pressioni dei manifestanti con manganellate e colpi di scudi, dopo che la Rai non aveva dato garanzie di leggere integralmente un documento elaborato dalla piazza dal titolo: "Comunicato contro il negazionismo del genocidio in corso, la censura e la narrazione filoisraeliana della Rai". Al termine del presidio al quale hanno partecipato oltre un migliaio di persone, i manifestanti hanno ottenuto di poter leggere integralmente il testo nel quale chiedono le dimissioni dell'ad Roberto Sergio e una informazione RAI senza censura e non filo-sionista sul genocidio che si sta consumando a Gaza. Dal presidio è poi partito un corteo che si è diretto verso piazza dell'Unità.
Centinaia di manifestanti in presidio anche davanti alle sedi RAI di Firenze e Genova al grido di “Fuori Israele dalla RAI” e “Palestina libera”. Ripetuta più volte anche la canzone partigiana Bella Ciao.

L'appello del CdR Approfondimento RAI
A seguito delle vicende scaturite durante e dopo il festival, il Comitato di Redazione Approfondimento della RAI ha risposto ai vertici con un importante comunicato. “La Rai che vogliamo ha solo due padroni: i cittadini italiani, tutti e coloro che ci lavorano: professionisti, tecnici, giornalisti e autori dalla cui competenza, creatività, curiosità nasce il servizio pubblico radiotelevisivo”, si legge sul documento del sindacato. “La Rai che sogniamo non risponde ai diktat dei governi, né quello italiano né tanto meno governi stranieri. Non è proprietà dei suoi alti dirigenti, né di ministri o partiti politici. Non accetta reprimende, censure, tirate di orecchie. Non toglie la parola a nessuno, ma la offre a chi è senza voce”.
Anche i pestaggi indiscriminati di giovani, donne ed anziani delle manifestazioni appena descritte, che seguono alle molteplici precedenti contro studenti ed operai colpiti per altri motivi dal manganello neofascista di Piantedosi, sono stati oggetto di critica da parte del sindacato: “La Rai che desideriamo non ha bisogno di essere difesa da un cordone di polizia in tenuta antisommossa. Apre invece le porte a tutte e tutti, ascolta, perché è permeabile a ciò che si muove nella società. Davanti alle sedi della Rai non dovrebbero esserci scontri, ma solo incontri”.

Cacciare il governo neofascista Meloni prima che sia troppo tardi
“Siamo pronti – assicurano infine dal CdR RAI – a difendere la nostra autonomia e indipendenza a ogni costo”. Noi auguriamo pieno successo alla lotta del CdR Rai, e ci uniamo in maniera militante alle lotte e alle denunce che si oppongono alla censura, al bavaglio antidemocratico e liberticida e al controllo politico assoluto che il governo neofascista Meloni si sta assicurando nella televisione pubblica.
Un motivo in più per costruire, allargare e rafforzare, prima che sia troppo tardi, il fronte unito che abbia come obiettivo quello di cacciare il più presto possibile il governo Meloni, se vogliamo impedire e battere il presidenzialismo neofascista, l'egemonia della cultura neofascista nel Paese e la sempre più ampia fascistizzazione dello Stato borghese.

21 febbraio 2024