Elezioni regionali in Sardegna del 25 febbraio 2024
L’astensionismo è il primo “partito” in Sardegna
Quasi la metà dell'elettorato sardo non ha fiducia nei partiti del regime capitalista neofascista. La sinistra del regime batte la destra. La Sardegna di nuovo direttamente in mano ai capitalisti. L’imprenditrice Todde eletta solo dal 23% dell'elettorato. FdI perde metà voti rispetto alle politiche. Crolla la Lega. Forza Italia arretra ancora. Flop di Soru, Azione, IV, PRC. Il PD sorpassa FdI ma perde voti. M5S prende un terzo dei voti rispetto alle politiche. Rifondazione e simili coprono a sinistra il regime e spargono illusioni parlamentariste, governative, riformiste e costituzionali
Il vento cambierà solo col socialismo

L’astensionismo è il grande vincitore delle elezioni sarde del 25 febbraio 2024. Temuto e combattuto in modo quasi ossessivo fino all’ultimo giorno di campagna elettorale da tutti i candidati governatori, è improvvisamente sparito dai commenti post-voto. Ma ignorarlo o far finta di ignorarlo non basterà a esorcizzarlo e renderlo innocuo. L’astensionismo è una strepitosa realtà ed è saldamente il primo “partito” in Sardegna realizzando un consenso di circa il 50% dell’elettorato, mentre il secondo partito, il PD, viaggia intorno al 6,5%. Un abisso.
Quasi un elettore su due ha sfiduciato tutti i partiti del regime capitalista neofascista, nessuno escluso, il governo centrale e le sue opposizioni di “cartone”, le istituzioni rappresentative borghesi regionali. È una sonora bocciatura sia per la destra del regime che ha governato fin qui la Sardegna attraverso una disastrosa e clientelare gestione dell’attuale governatore sostenuto dal PdAZ e dalla Lega, Christian Salinas, la cui ricandidatura è naufragata alla vigilia del voto a causa dell’inchiesta per corruzione aperta a suo carico; sia per la sinistra del regime che apparentemente le elezioni le ha vinte, anche grazie al premio di maggioranza, ma ora si appresta a governare già delegittimata in partenza, con un consenso ridotto ai minimi termini.
Eppure la neopresidente sarda Alessandra Todde prima di depositare il suo voto nell’urna ha continuato a insistere sull’appello agli astensionisti ad andare ai seggi: “Oggi l’importante è che la gente vada a votare, faccia valere il proprio voto e decida per il presente e il futuro della Sardegna”. Nei fatti, però, l’elettorato che si è riversato in massa nell’astensionismo non ha abboccato all’inganno del “voto utile”, invocato in modo ricattatorio dalla sinistra del regime per battere la destra.
 
L’astensionismo vola
Su 1.447.753 elettrici ed elettori che avevano diritto al voto, 696.856, pari al 48,1%, hanno disertato le urne. Altre decine di migliaia hanno annullato la scheda o l’hanno lasciata in bianco. L’astensionismo totale (diserzione dalle urne, scheda annullata o lasciata in bianco) è attualmente al 49,7%. Purtroppo non possiamo essere più precisi e definitivi perché ancora a 48 ore dalla chiusura dei seggi, lo scrutinio non è concluso e mancano all’appello 19 sezioni elettorali il cui spoglio sarà completato, probabilmente, come previsto dalle norme vigenti, dagli uffici dei Tribunali dei rispettivi territori.
La diserzione dalle urne è cresciuta rispetto alle elezioni regionali 2019 dell’1,8%. Un incremento significativo quando l’astensionismo viaggia già a percentuali da capogiro. Quest’anno gli elettori potevano scegliere fra 4 candidati a presidente, ben 25 liste e 1.419 aspiranti consiglieri regionali (per 58 posti disponibili), fra cui anche 7 candidati impresentabili secondo le verifiche della Commissione parlamentare antimafia. Ma non sono bastati a richiamare alle urne gli elettrici e gli elettori.
La Sardegna fra l’altro ha una storia di alta partecipazione alle urne. Dal 1949 al 1989 l’affluenza mai è andata sotto l’84,6%. Nel 2004 si recava alle urne ancora il 71% degli aventi diritto.
Nelle circoscrizioni di Carbonia-Iglesias (il capoluogo del distretto industriale del Sulcis) e di Medio Campidano, fra le aree più povere e disastrate, la diserzione va oltre il 50%, rispettivamente al 51,2% e 52,6%. Sfiorano il 50% anche Olbia-Tempio (49,6%) e Oristano (49,5%).
A Cagliari si registra il più forte incremento. La diserzione è infatti passata dal 44,6% del 2019 al 48,1% odierno, con +3,6%. L’unica circoscrizione dove la diserzione è diminuita del 3,3% è Nuoro. Un risultato dovuto probabilmente al richiamo alle urne della Todde nella sua città natale.
 
Un risultato non scontato
Il risultato eccezionale dell’astensionismo non era scontato. Queste elezioni sarde, che inaugurano una impegnativa e delicata stagione di appuntamenti elettorali a livello regionale, amministrative e quindi europeo, non hanno avuto un valore puramente regionale ma politico, di carattere nazionale. Un banco di prova per il governo neofascista e in particolare per l’ambiziosa ducessa Meloni che si è spesa personalmente per queste elezioni. Ha innanzitutto imposto un candidato presidente del suo partito; ha condotto una campagna elettorale con il proprio volto e non del suo candidato Paolo Truzzu sui manifesti elettorali; ha inviato tutti i suoi ministri, uno a uno, quotidianamente, a fare passerella in Sardegna e per finire ha annullato tutti i suoi impegni per fiondarsi sull’isola insieme agli altri due leader, Salvini e Tajani, per il comizio conclusivo.
D’altro canto per la “sinistra” del regime e in particolare per il PD e la Schlein queste elezioni erano quasi un ultimo appello per la sua segreteria a distanza di un anno dalle primarie. Erano un test per sondare l’efficacia della politica del “campo largo”, cioè l’alleanza con il M5S, come è avvenuto in Sardegna, e aperta anche Azione di Calenda e Italia Viva di Renzi, come è già previsto nelle prossime elezioni regionali in Abruzzo, il prossimo 10 marzo. Un’alleanza trasversale che non aveva pagato nelle precedenti elezioni regionali e comunali ma che ora viene vista come l’unica possibilità per queste forze per riconquistare le poltrone perse a livello locale e centrale. Persino Calenda, riottoso all’alleanza col M5S, dopo il voto sardo è arrivato ad affermare: “Mai più soli alla regionali. Impossibile non parlare con Conte”.
 
Governatrice delegittimata
La sinistra del regime è a dir poco euforica per essere riuscita a strappare la guida di una regione alla destra. Non avveniva dal 2015. Ma non c’è proprio niente da esultare. La candidata di PD, M5S e altre otto liste minori, Alessandra Todde passa con uno scarto di appena 2.615 voti nei confronti del suo diretto avversario Paolo Truzzu, già sindaco di Cagliari. Sui soli voti validi lo scarto è di un misero 0,4%. Ma mentre Todde ha ottenuto oltre 40 mila voti in più delle liste che l’hanno sostenuta, Truzzu ne ha ottenuti 5 mila di meno. Ciò significa che Todde, grazie al voto disgiunto, ha ottenuti voti anche dallo schieramento avversario. Un’evidenza che sta alimentando l’ipotesi di una sorta di vendetta interna alla coalizione di destra da parte di Salvini alla Meloni che aveva rifiutato di ricandidare Solinas e imposto il suo candidato Truzzu.
Fatto sta che i partiti che hanno sostenuto Todde hanno ottenuto circa 43 mila voti in meno di quelli che hanno sostenuto Truzzu e solo per effetto del premio di maggioranza che assegna il 60% dei seggi alla presidente che supera il 40% dei voti validi potrà avere in consiglio regionale la maggioranza. Ma non ce l’ha certo fra le elettrici e gli elettori sardi.
Se si rapportano i voti presi dalla Todde all’intero corpo elettorale e non già ai soli voti validi, il suo 45,4% corrisponde appena al 22,9%. Poco più di un quinto delle elettrici e degli elettori che ne avevano diritto l’hanno votata.
La Todde ha fra l’altro voluto enfatizzare come un fatto storico la sua elezione in quanto donna. “Orgogliosa di essere la prima donna a capo della Sardegna, dopo 75 anni abbiamo rotto il tetto di cristallo” ha esultato. In realtà non è stato rotto nessun tetto, la sua elezione non rappresenta una conquista delle donne, almeno delle donne sfruttate e oppresse che sono completamente escluse dal potere fermo restando il capitalismo. Piuttosto con la Todde la Sardegna è di nuovo direttamente in mano ai capitalisti come era già accaduto in passato con la presidenza del patron di Tiscali, Renato Soru. Todde è stata per quasi tutta la sua vita esclusivamente una manager e una imprenditrice. Classe 1969, famiglia democristiana, due lauree e fino al 2018 ha lavorato all’estero in giro per l’Europa e negli Usa occupandosi di tecnologia, energia e finanza. Nel 2019 è iniziata la sua carriera politica. È Di Maio a pensare a lei, allora manager di Olidata, come capolista alle europee, anche se poi il seggio non è stato raggiunto. Nel frattempo viene nominata sottosegretaria al ministero dello sviluppo economico del governo Conte-2 e poi viceministra sempre allo sviluppo nel governo Draghi. E’ stata vicepresidente del M5S dall’ottobre 2021 al dicembre 2023. Nel 2022 è stata eletta deputata nelle liste M5S. Con siffatto curriculum non è certo un caso che abbia potuto raccogliere consensi al centro ed anche a destra.
 
I risultati delle liste
Il PD gongola per aver superato di nuovo Fratelli d’Italia nella regione, tace però sul fatto che ha perso diverse centinaia di voti rispetto alle regionali 2019 e ben 34 mila rispetto alle politiche 2022. Si ferma così al 13,8% dei voti validi, che corrispondono ad appena il 6,5% dell’intero corpo elettorale. Senza contare che nel frattempo sono sparite liste come Liberi ed uguali e altre liste alla sua sinistra che avrebbero dovuto avvantaggiarlo.
Non di meglio ottiene il M5S che perde 16 mila voti rispetto al 2019 e ben 96 mila voti rispetto alle politiche 2022, aggiudicandosi il record di perdita di voti in questa tornata elettorale. Può dunque ringraziare il PD per avergli gentilmente concesso la presidenza della regione Sardegna nonostante Conte abbia ottenuto circa la metà dei voti della Schlein. Il M5S non va oltre il 7,8% pari al 3,7% del corpo elettorale.
D’altra parte Renato Soru, uscito dal PD nell’autunno scorso per lanciare la sua “rivoluzione gentile” e che successivamente, contrario all’accordo PD-M5S e alla decisione di non organizzare le primarie per la scelta del candidato alla presidenza della regione, ha deciso di correre da solo, ha fatto un vero e proprio flop. Sostenuto ufficialmente da cinque liste fra cui +Europa, Azione di Calenda e PRC, e dall’esterno anche da Italia Viva di Renzi, non è riuscito nemmeno a superare la soglia di sbarramento del 10% e si è fermato all’8,6% dei voti validi, risultando completamente escluso dal consiglio regionale. La sua ambizione di rappresentare il “terzo polo” e di dar vita a un nuovo partito regionalista e autonomista sardo ne risulta così fortemente frustata.
La destra del regime esce da questa competizione con le ossa rotte. Innanzitutto l’ambiziosa ducessa Meloni che pensava di navigare ormai col vento in poppa pronta a raccogliere lungo la strada solo dolci e succosi frutti. Non è così. Ovviamente nell’ambito della sua coalizione è riuscita a prosciugare i voti dei suoi alleati rispetto alle elezioni regionali 2019 passando dal 4,7% al 13,6% sui voti validi. Ma rispetto alle elezioni politiche del 2022, dove aveva ottenuto nell’isola il 23,6% dei voti validi, perde addirittura la metà dei suoi consensi passando da circa 160 mila voti agli attuali 93 mila.
D’altra parte Matteo Salvini col voto in Sardegna vede allontanarsi ulteriormente se non definitivamente il sogno di fare della Lega un partito nazionale. Oltre ad aver dovuto digerire la mancata ricandidatura di Solinas e l’imposizione di Meloni di un suo candidato, oggi deve raccattare i cocci del suo partito che ha ottenuto appena il 3,7% dei voti validi, pari all’1,8% del corpo elettorale. Rispetto alle regionali 2019 dove aveva ottenuto l’11,4% dei voti validi, perde ben 55.812 voti, quasi quanti ne guadagna oggi Fratelli d’Italia.
Sebbene Tajani sostenga che il voto in Sardegna non inciderà a livello nazionale e sulla coalizione, gongola per aver superato i consensi della Lega. Seppure a tutto ed esclusivo demerito di quest’ultima. Infatti, anche Forza Italia che ottiene circa 43 mila voti, perde sia rispetto alle regionali 2019 (-14 mila voti), sia rispetto alle politiche 2022 (-15 mila voti). Davvero lontani i tempi in cui all’esordio nel 1994 Forza Italia ottenne in Sardegna oltre 194 mila voti.
La quarta candidata a presidente era Lucia Chessa leader del partito Rossomori, un partito degli indipendentisti sardi nato da una scissione del Partito sardo d’Azione quando nei primi anni Duemila il partito fondato da Emilio Lusso ha svoltato decisamente a destra. La Chessa ha concorso con un’unica lista autonomista SardignaR-esiste che ha tentato di far convergere i consensi degli elettori di sinistra delusi dal PRC e da Leu che sono finiti con l’appoggiare Soru e di quei partiti come PCI, Potere al popolo e altri che non hanno presentato liste. Anche il partito dei Carc aveva dato indicazione di votare Lucia Chessa. Tentativo praticamente fallito. La Chessa ottiene 7.158 voti e solo l’1% dei voti validi. Dieci anni fa, alleati col PD, i Rossomori ottennero 18 mila voti e 2 consiglieri regionali.
Una riflessione meritano Rifondazione, Leu e partiti simili che, presentando proprie liste o appoggiandone altre, di fatto continuano a coprire a sinistra il regime e spargono illusioni parlamentariste, governative, riformiste e costituzionali fra l’elettorato di “sinistra” alimentando la menzogna che un vero cambiamento sia possibile attraverso queste istituzioni rappresentative borghesi ormai marce, irrecuperabilmente fascistizzate e completamente inservibili a un qualsiasi uso da parte del partito del proletariato. In questo modo essi tengono intrappolati nell’elettoralismo una parte importante dell’elettorato di sinistra che avrebbe invece bisogno di liberarsi completamente da queste catene e agire liberamente sul fronte della lotta di classe e di piazza.
La Sardegna ha un grande bisogno di lotta di classe e di piazza. Una regione dove il rischio di esclusione sociale è cresciuto in modo esponenziale arrivando a riguardare 36 persone su 100. Dove il tasso di natalità è sotto l’1%, il più basso in tutto il Paese, a causa di una popolazione sempre più vecchia, decimata dall’emigrazione dei giovani e dalla povertà. Una regione dove la sanità pubblica è stata colpita a morte dai tagli delle giunte di “centro-sinistra”, prima, e dalla giunta Solinas poi. Una regione dove già ricadono il 60% delle servitù militari italiane con costi socio-ambientali enormi. Per di più il governo il governo Meloni ha prospettato l’idea di ampliare i poligoni militari in Sardegna e far diventare la regione un grande deposito di scorie nucleari utilizzando gli stessi siti militari.
Vi è inoltre un piano governativo annunciato l’anno passato che prevede di aumentare di ben dodici volte la quota di energia rinnovabile prodotta in Sardegna. Un piano che comporterà uno sfruttamento indiscriminato del territorio e delle risorse naturali dell’isola, con gravi danni per il paesaggio e l’ambiente. Senza parlare dell’endemica mancanza di lavoro.
 
Il vero cambiamento
Sono davvero incredibili e inspiegabili i toni trionfali usati dalla sinistra del regime per il risultato ottenuto in Sardegna. “Cambia il vento, c’era chi non scommetteva neanche che arrivassimo fino a qui” dice entusiasta la Schlein. “I cittadini sardi hanno chiuso la porta a Meloni e soci e l’hanno aperta all’alternativa. L’aria è cambiata” aggiunge Conte. Per l’ambizioso sindaco di Firenze e candidato europarlamentare del PD, Dario Nardella, “la vittoria in Sardegna può essere uno spartiacque nazionale”.
La verità è che il vento non cambierà mai finché esiste il capitalismo e il potere politico sarà saldamente in mano alla borghesia. Solo il socialismo e il potere politico del proletariato può liberare le masse sarde dallo sfruttamento, dall'oppressione, dalla disoccupazione e dalla povertà.
Ma come si arriva al socialismo? Ce lo indica in modo sintetico ma fulminante il Segretario generale del PMLI, Giovanni Scuderi, nel messaggio alle celebrazioni del centenario della morte di Lenin che si sono svolte contemporaneamente a Cavriago e a Capri il 21 gennaio scorso con queste parole: “Ma qual è la ricetta di Lenin per aprire questa via in ogni Paese? Studiare approfonditamente il marxismo, applicare con intelligenza tattica il marxismo, studiare attentamente la situazione del proprio Paese e nel mondo, unire le masse sfruttate e oppresse, a partire dal proletariato e dai contadini, e le forze rivoluzionarie, anche quelle culturali e religiose, combattere senza tregua il riformismo e revisionismo di destra e di “sinistra”, spendere interamente la propria vita per la causa.
Dopo gli apporti ideologici, politici, organizzativi e pratici di Lenin, Stalin e Mao il marxismo è divenuto il marxismo-leninismo-pensiero di Mao. Le forze politiche e sociali sostenitrici di Lenin dovrebbero impugnare con forza questa potente arma ideologica, l'unica che ci discrimina dalla cultura e dall'ideologia borghese, trasmetterla al proletariato, alle masse popolari e alle nuove generazioni, ricercando l'aiuto degli intellettuali del popolo, unirsi e combattere insieme i comuni nemici, senza farsi condizionare dalle divergenze, come quella grave sull'Ucraina”.

28 febbraio 2024